domenica 24 aprile 2022

L’Economia della Collaborazione tra Reciprocità e Profitto

 

L’iniziale orientamento alla relazione sociale tende a trasformarsi in generazione di revenues

Il libro intitolato “L’economia della collaborazione. Le nuove piattaforme digitale della produzione e del consumo” è stato scritto da Francesco Ramella e Cecilia Manzo nel 2019 e pubblicato a Bologna per il Mulino. Il libro ha 245 pagine ed un prezzo di copertina di 22,00 euro. Il libro è composto da una introduzione, 8 capitoli e dalle conclusioni.

Introduzione. Nell’introduzione gli autori fanno riferimento alla presenza dell’economia della collaborazione come nuovo paradigma derivante dall’incontro tra le innovazioni digitali che hanno consentito la creazione di piattaforme online di servizi e prodotti e l’attitudine delle persone a scambiare e collaborare per incrementare il proprio accesso ai consumi o il proprio reddito. Gli autori in modo particolare fanno riferimento alla contrapposizione tra vari modelli di “regolazione” degli scambi economici, tra i quali vi sono certamente la reciprocità e la transazione di mercato. Tuttavia tra questi due diversi poli sono presenti anche delle altre tipologie di forme di regolazione del mercato come per esempio forme mitigate di reciprocità che gli autori chiamano reciprocità bilanciata ed anche il caso della redistribuzione.  

La distinzione tra queste forme di regolamentazione del mercato è utile agli autori come schema per descrivere il complesso delle piattaforme collaborative che hanno delle finalità che variano della reciprocità generalizzata fino alla transazione finanziaria. Pertanto, anche se le piattaforme di collaborazione della sharing economy sono ispirate ad un principio di co-operazione tra i partecipanti, tale collaborazione non necessariamente avviene gratuitamente ed anzi in molti casi dà origine alle delle transazioni di mercato. Tale considerazione è utile agli autori per mettere in evidenza che le piattaforme della sharing economy non sono delle istituzioni che hanno la finalità di sovvertire il funzionamento del capitalismo grazie all’innovazione tecnologica, quanto piuttosto costituiscono delle strutture alternative alle tradizionali forme di organizzazione degli scambi di beni e servizi facilitate dall’attitudine cooperativa di produttori e consumatori.

Capitolo 1: I Drivers dell’Economia della Collaborazione. In questo paragrafo gli autori mettono in risalto quelle che sono le motivazioni che hanno spinto l’economia ad implementare dei modelli di tipo sharing economy. Uno di questi fattori è la transizione tecnologica ovvero il fatto che l’innovazione digitale ha consentito di ridurre i costi della collaborazione tra consumatori e produttori. Internet ha consentito di generare un effetto network nella connessione degli utenti garantendo il monitoraggio reputazionale grazie ai feedbacks, commenti e raccomandazioni. Tale fenomeno ha cambiato le modalità di consumo della popolazione creando il “consumo collaborativo” basato sul fatto di utilizzare la capacità di produzione di valore inespressa nei beni e servizi che vengono prestati, regalati, o dei quali si consente a terzi un utilizzo per periodi di tempo limitati entro certe condizioni. Ne deriva un modello nel quale pere consumare un bene non c’è bisogno di averne la proprietà ed invece basta l’accesso. Gli autori ritengono anche la globalizzazione abbia avuto un ruolo nella creazione dell’economia della collaborazione grazie alla costruzione delle Global Value Chains.

Capitolo 2: La Produzione Intelligente. In questo capitolo gli autori fanno riferimento alle nuove capacità produttive che sono state realizzate attraverso l’utilizzo della tecnologia nell’ambito dell’industria 4.0. La quarta rivoluzione industriale viene intesa come un insieme di tecnologie abilitanti tra le quali vi sono: Internet delle cose, Big Data Analytics, Cloud e Cloud Computing, Manifattura e stampa 3D, Cybersecurity, Robotica Avanzata, Realtà aumentata, Simulazione, Sistemi di integrazione orizzontarle e verticale. Le tecnologie disponibili consentono la realizzazione di un sistema di personalizzazione di massa della produzione. Viene superata quindi l’idea fordista-taylorista della produzione massificata per giungere ad un modello nel quale i consumatori possono personalizzare il prodotto acquistato. Tale riorganizzazione dei sistemi produttivi porta anche alla creazione di minacce per il lavoro. Infatti non è chiaro se l’effetto netto dell’industria 4.0 sia un aumento oppure una riduzione del numero di occupati nel settore dell’industria. Certamente per poter operare nell’ambito dell’industria 4.0 è necessario che i lavoratori sviluppino delle conoscenze sempre più approfondite in tema di tecnologie digitali e abbiano anche delle capacità di produzione di beni immateriali. Gli autori individuano tre competenze necessarie ovvero le “content skills” ovvero le capacità di problem solving, le social skills ovvero le capacità di sviluppare delle relazioni sociali e le process skills ovvero le capacità di monitoraggio di se stessi e degli altri. Non tutte le aziende però hanno gli incentivi giusti per potere accedere all’industria 4.0 ed è per questo che sono state introdotte delle politiche economiche che hanno l’obbiettivo specifico di sostenere le imprese negli investimenti necessari per diventare imprese digitali.

Capitolo 3: La Sharing Economy. In questo capitolo vengono introdotti alcuni esempi di sharing economy come il caso del gruppo Facebook “Te lo Regalo se te lo Vieni a Prendere” che ha consentito di ri-utilizzare dei beni che non erano efficientemente utilizzati dai proprietari e per il tramite di questo scambio ha consentito anche alle persone di allargare le proprie reti sociali deboli. Gli autori fanno riferimento anche al pensiero di Arun Sundararajan un esperto di teoria dell’impresa che ha erroneamente visto nella sharing economy un’opportunità di vincere il capitalismo. Infatti nella logica di Arun Sundararajan la produzione realizzata dalle crowd ovvero dalle folle avrebbe sostituito la produzione realizzata dalle organizzazioni. Ovviamente questa visione è una interpretazione che non rispecchia la realtà dei fatti in quanto anche le piattaforme di sharing economy tendono ad assumere le stesse caratteristiche estrattive, profit oriented e market based delle big corporations. In ogni caso, anche se la crowd production difficilmente sostituirà il capitalismo, è vero anche che l’economia della collaborazione ha modificato i comportamenti di molti consumatori. Infatti tradizionalmente i beni in proprietà privata difficilmente erano oggetto di forme di utilizzo condiviso che non prevedessero compensi o cessioni parziali o totali della proprietà privata. Invece nell’economia della collaborazione si è accresciuta la percentuale della popolazione che ha iniziato a condividere beni e servizi con degli estranei. Dal punto di vista economico la sharing economy nei paesi anglosassoni vale circa 1.3% del PIL. Un ruolo molto rilevante è svolto dalle città. Infatti esiste una dimensione dell’economia della collaborazione che risulta essere city based. Le città hanno quindi inteso divenire “shareable city” ovvero città basate sulla condivisione con l’adozione di un insieme di regolamenti che consentono a cittadini e amministrazioni comunali di collaborazione nella gestione, progettazione e manutenzione dei beni pubblici locali. Infine anche il mondo del lavoro risulta essere attraversato da una dimensione del tipo sharing economy per quanto tale cambiamento sembra essere associato ad un peggioramento e ad una precarizzazione della condizione dei lavoratori.

Capitolo 4: La Sfera dell’Innovazione. Gli autori fanno riferimento al ruolo crescente che l’innovazione ha assunto nell’ambito dell’economia a seguito della rivoluzione industriale. L’innovazione ha anche una sua dimensione locale come dimostrato dalla teoria dei distretti. A questo tipo di innovazione “tradizionale” l’economia della collaborazione ne aggiunge un'altra ovvero la “crowd innovation” che consiste nell’apporto che le persone danno alla risoluzione di problematiche produttive e alla introduzione di nuovi e più creativi sistemi di generazione di valore. Con riferimento alla dimensione dell’innovazione collaborativa gli autori individuano le seguenti tipologie di innovazione ovvero:

  • ·         Modello dell’open innovation: è un modello nel quale la produzione di innovazione avviene sia utilizzando le risorse interne delle organizzazioni produttive, sia utilizzando le risorse esterne. Tale modello è usato sia nel settore for profit che nel settore no profit ovvero nell’ambito dei modelli di innovazione sociale.
  • ·         Le invenzioni collettive: processi di innovazione nei quali partecipano un insieme di imprese ed organizzazioni derivanti dalla diffusione delle informazioni e dal vantaggio derivante dalla condivisione di piccole innovazioni marginali che nel complesso possono significativamente migliorare l’innovazione tecnologica.
  • ·         Le comunità di open innovation: sono modelli di innovazione molto diffusi nell’ambito della produzione del software. In questo caso non vi sono incentivi di mercato quanto piuttosto la partecipazione all’innovazione avviene per motivazioni intrinseche o di carattere reputazionale. Esempi di questo genere sono per esempio Linux ed i sistemi informatici realizzati attraverso la licenza General Public License-GPL.
  • ·         L’innovazione libera e la democratizzazione delle invenzioni: è un fenomeno molto ampio e complesso che richiede tuttavia un’ampia capacità di innovativeness da parte dei consumatori. Infatti in questo caso i consumatori riescono a modificare dei prodotti che sono stati realizzati attraverso dei sistemi di produzione di massa per farli diventare più personalizzati introducendo delle significative innovazioni. I free innovators possono in seguito condividere queste informazioni attraverso i social e consentire anche ai produttori di apportare le medesime modiche in fase di industrializzazione.


Capitolo 5: La Sfera del Consumo, della Produzione e dei Servizi. E’ un capitolo centrale nel libro nel quale gli autori identificano delle piattaforme collaborative digitale come esempi della sharing economy. Con riferimento alla dinamica del consumo collaborativo gli autori considerano quattro diverse dimensioni ovvero:

  • ·         Lo scambio di beni: avviene generalmente nella forma della donazione o del prestito e quindi mediante una forma di reciprocità generalizzata oppure parziale. Beni poco utilizzati vengono donati a persone che ne hanno maggiore necessità di utilizzo. Peerby è un servizio nato ad Amsterdam nel 2012 grazie al quale è possibile prestare utensili a persone che abitano nel medesimo quartiere mediante un’app.  
  • ·         La mobilità ovvero car sharing vs car pooling: c’è una distinzione significativa tra car pooling e car sharing. Infatti nel car pooling gli utenti della piattaforma collaborano nel sostenere i costi di un viaggio o di uno spostamento e vi è quindi un elemento di reciprocità parziale con costruzione di legami sociali deboli. Un esempio tipico di car pooling è BlaBlaCar. Nel car sharing invece i consumatori acquistano semplicemente un servizio ovvero affittano un’automobile senza cooperare che nessun altro utente e senza fare riferimento alla reciprocità.
  • ·         La coabitazione: è il caso di Airbnb e di CouchSurfing. Attraverso l’utilizzo di Airbnb gli utenti dichiarano di avere dei vantaggi ulteriori rispetto all’utilizzo dei sistemi tradizionali di alloggio in camere di albergo grazie alla possibilità di un clima più informale. Inoltre gli utenti di Airbnb possono anche contare sulle informazioni degli hosts per poter esplorare il territorio in modo più efficace.
  • ·         Il consumo di cibo: si è sviluppato mediante gli strumento del social eating. Il social eating si è sviluppato in Francia ed in UK ed anche in Italia grazie a delle app che consentono ai cuochi di cucinare a casa delle persone a seguito di prenotazione. In Italia ha avuto molto successo la piattaforma Gnammo che consente alle persone di organizzare dei pranzi e delle cene tra sconosciuti. Tuttavia esiste un meccanismo di reputazione dovuto ai feedback che gli utenti scrivono nella piattaforma.  

Relativamente alla produzione gli autori fanno riferimento all’open source, all’open manufacturing e all’open design. La produzione collaborativa avviene anche attraverso le varie forme di crowdsourcing ampiamente utilizzate in ambito informatico. Infine con riferimento all’utilizzo delle piattaforme collaborative nel settore dei servizi vi è la possibilità di utilizzare strumenti come TaskRabbit per costruire relazioni tra lavoratori, Amazon Mechanical Turk per lo svolgimento di micro-mansioni, varie banche del tempo digitali che consentono di sviluppare forme di vicinato digitale.

Capitolo 6: La Sfera del Finanziamento. Gli autori si riferiscono soprattutto al crowdfunding e alle forme di raccolta di finanziamenti attraverso internet. Tali sistemi possono coinvolgere vari tipi di relazioni sociali da quelle parentali-amicali, a quelle geografiche-territoriali, a quelle di tipo professionale-lavorativo fino a stakeholders generici. Esistono comunque anche nell’ambito del crowdfunding un insieme di modelli differenziati ovvero:

  • ·         Donation-based: è un sistema basato sulla donazione senza ricevere nulla in cambio.
  • ·         Reward based: il finanziatore riceve una cartolina, un’anteprima del prodotto o del servizio, e quindi viene “ricompensato” dell’offerta;
  • ·         Social lending: è un vero e proprio prestito che viene realizzato a tassi di interesse più bassi rispetto a quelli praticati dal sistema bancario;
  • ·         Equity based: è un tipo di finanziamento che consente di entrare nel capitale di rischio con la possibilità di ottenere anche la partecipazione ai profitti;
  • ·         Royalty based: il finanziatore riceve una parte dei profitti a titolo di royalties;
  • ·         Civic crowdfunding: è una modalità di finanziamento attraverso la quale i cittadini partecipano alla costruzione di beni pubblici in genere locali.

Il fenomeno del crowdfunding è abbastanza diffuso in Italia grazie anche al fatto che gli italiani sono stati pionieri del fenomeno anche prima di Kickstarter. Nel 2018 le piattaforme di crowdfunding hanno raccolto 111 milioni di euro. Infine gli autori fanno riferimento ad alcuni casi di civic crowdfunding ovvero:

  • ·         Un passo per San Luca: iniziativa attraverso la quale la popolazione di Bologna ha partecipato alla ristrutturazione di un portico comunale;
  • ·         Comune di Milano: dove l’amministrazione ha chiesto ai cittadini di partecipare con progetti e crowdfunding alla realizzazione di progetti per il miglioramento urbanistico.

Capitolo 7: I Fab Lab: Beni Collettivi dell’Economia Collaborativa. I Fab Lab sono stati creati da Neil Gershenfeld professore del MIT che nel 2001 ha tenuto una lezione dal titolo “How to Make (Almost) Anything”. I Fab Lab sono dei laboratori collaborativi nei quali è possibile produrre attraverso varie tecniche come l’additive manufacturing grazie anche alla presenza di capitale umano fortemente qualificato. Tali laboratori hanno avuto una ampia diffusione essendo presenti circa 686 Fab Lab nei 5 continenti. Gli autori analizzano la sociologia dei Fab Lab e scoprono che tali laboratori sono molto presenti in paesi come la Francia e l’Italia nei quali il capitale umano con competenze tecniche ed ingegneristiche non essendo adeguatamente impiegato e remunerato nel settore industriale trova modi alternativi di utilizzare il proprio sapere svolgendo un servizio alla comunità. Negli USA invece i Fab Lab sono stati associati alle scuole superiori.

Capitolo 8: Le Piattaforme Collaborative in Italia: Tre Casi di Studio. Gli autori presentano tre casi di piattaforme collaborative presenti in Italia ovvero:

  • ·         Airbnb: ha avuto una grande diffusione soprattutto nelle città d’arte italiane. E’ stato contestato dagli albergatori per il fatto di aver ridotto significativamente la durata dei soggiorni nelle città italiane. Il 55% degli host italiani sono donne. I proventi di Airbnb vengono re-investiti per finanziare altre attività commerciali-imprenditoriali. Airbnb è stata accusata di fomentare il fenomeno della airification: ovvero il fatto che i cittadini preferiscono affittare le case che hanno nel centro della città ed abitare nella periferie trasformando di fatto il centro delle città in parchi giochi per i turisti.
  • ·         BlaBlaCar: è una piattaforma nata in Francia che si è diffusa molto anche in Italia. L’efficienza del servizio è dovuta soprattutto alla presenza di abbondanti recensioni che consentono agli utenti di valutare l’affidabilità del guidatore e stimare la qualità del viaggio. Il 25% dell’attività italiana di BlaBlaCar si svolge nel Nord-Ovest, il 34,5% nel Nord-Est. Gli utenti italiani utilizzano BlaBlaCar per finalità relazionali, di studio e di lavoro.
  • ·         Gnammo: è un’app di social eating. Nel 2014 in Italia 300.000 persone hanno participato ad aventi di social eating. I ristoratori credono che il social eating vada regolamentato in quanto costituirebbe una forma di concorrenza. Gli utenti di Gnammo sono ubicati soprattutto nel Nord Italia:  39,8% nel Nord Est e 11,9% nel Nord Ovest.

Conclusioni. Gli autori concludono che l’economia della collaborazione può essere sviluppata soprattutto grazie ad un insieme di interventi ovvero: digitalizzazione, sicurezza e trasparenza, promozione ed integrazione dell’economia della collaborazione.

Considerazioni.  Il libro rappresenta bene quelle che sono le fenomenologie sociali che sorreggono il fenomeno dell’economia della collaborazione. Tuttavia occorre considerare che questo libro è stato scritto prima della crisi pandemica e quindi non fa nessun riferimento alle profonde difficoltà finanziarie di molte piattaforme collaborative come per esempio Airbnb, BlaBlaCar e Gnammo. Inoltre non sono adeguatamente affrontati i temi del lavoro nella gig economy come per esempio il caso dei riders e delle aziende del food delivery che proprio durante la crisi pandemica hanno avuto una crescita molto significativa. Se infatti consumatori e produttori possono aumentare la propria utilità attraverso l’economia della collaborazione mediante le piattaforme online è molto probabile che a pagare il prezzo siano proprio i lavoratori. Inoltre gli autori mettono troppa enfasi sulla dimensione della reciprocità totale o parziale. Infatti come è evidente le piattaforme di collaborazione online cercano il profitto e modificano il proprio modello di business per incrementare le revenues ed eventualmente puntare alla quotazione in borsa soprattutto in USA e UK. Non è quindi l’economia della collaborazione una forma che possa in un qualche modo “contrastare” il capitalismo ed al massimo rappresenta una forma alternativa-fino a prova contraria- del modello organizzativo delle big corporations. Probabilmente, le piattaforme collaborative potrebbero conservare un orientamento sociale più significativo se adottassero forme di organizzazione cooperativistica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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