L’iniziale
orientamento alla relazione sociale tende a trasformarsi in generazione di
revenues
Il libro intitolato “L’economia
della collaborazione. Le nuove piattaforme digitale della produzione e del
consumo” è stato scritto da Francesco Ramella e Cecilia Manzo nel 2019 e
pubblicato a Bologna per il Mulino. Il libro ha 245 pagine ed un prezzo di
copertina di 22,00 euro. Il libro è composto da una introduzione, 8 capitoli e dalle
conclusioni.
Introduzione. Nell’introduzione gli autori fanno riferimento alla presenza dell’economia della collaborazione come nuovo paradigma derivante dall’incontro tra le innovazioni digitali che hanno consentito la creazione di piattaforme online di servizi e prodotti e l’attitudine delle persone a scambiare e collaborare per incrementare il proprio accesso ai consumi o il proprio reddito. Gli autori in modo particolare fanno riferimento alla contrapposizione tra vari modelli di “regolazione” degli scambi economici, tra i quali vi sono certamente la reciprocità e la transazione di mercato. Tuttavia tra questi due diversi poli sono presenti anche delle altre tipologie di forme di regolazione del mercato come per esempio forme mitigate di reciprocità che gli autori chiamano reciprocità bilanciata ed anche il caso della redistribuzione.
La distinzione tra queste
forme di regolamentazione del mercato è utile agli autori come schema per
descrivere il complesso delle piattaforme collaborative che hanno delle
finalità che variano della reciprocità generalizzata fino alla transazione
finanziaria. Pertanto, anche se le piattaforme di collaborazione della sharing
economy sono ispirate ad un principio di co-operazione tra i partecipanti, tale
collaborazione non necessariamente avviene gratuitamente ed anzi in molti casi
dà origine alle delle transazioni di mercato. Tale considerazione è utile agli
autori per mettere in evidenza che le piattaforme della sharing economy non
sono delle istituzioni che hanno la finalità di sovvertire il funzionamento del
capitalismo grazie all’innovazione tecnologica, quanto piuttosto costituiscono
delle strutture alternative alle tradizionali forme di organizzazione degli
scambi di beni e servizi facilitate dall’attitudine cooperativa di produttori e
consumatori.
Capitolo 1: I Drivers
dell’Economia della Collaborazione. In questo paragrafo gli
autori mettono in risalto quelle che sono le motivazioni che hanno spinto
l’economia ad implementare dei modelli di tipo sharing economy. Uno di questi
fattori è la transizione tecnologica ovvero il fatto che l’innovazione digitale
ha consentito di ridurre i costi della collaborazione tra consumatori e
produttori. Internet ha consentito di generare un effetto network nella
connessione degli utenti garantendo il monitoraggio reputazionale grazie ai
feedbacks, commenti e raccomandazioni. Tale fenomeno ha cambiato le modalità di
consumo della popolazione creando il “consumo collaborativo” basato sul fatto
di utilizzare la capacità di produzione di valore inespressa nei beni e servizi
che vengono prestati, regalati, o dei quali si consente a terzi un utilizzo per
periodi di tempo limitati entro certe condizioni. Ne deriva un modello nel
quale pere consumare un bene non c’è bisogno di averne la proprietà ed invece
basta l’accesso. Gli autori ritengono anche la globalizzazione abbia avuto un
ruolo nella creazione dell’economia della collaborazione grazie alla
costruzione delle Global Value Chains.
Capitolo 2: La Produzione
Intelligente. In questo capitolo gli autori fanno
riferimento alle nuove capacità produttive che sono state realizzate attraverso
l’utilizzo della tecnologia nell’ambito dell’industria 4.0. La quarta
rivoluzione industriale viene intesa come un insieme di tecnologie abilitanti
tra le quali vi sono: Internet delle cose, Big Data Analytics, Cloud e Cloud
Computing, Manifattura e stampa 3D, Cybersecurity, Robotica Avanzata, Realtà
aumentata, Simulazione, Sistemi di integrazione orizzontarle e verticale. Le
tecnologie disponibili consentono la realizzazione di un sistema di
personalizzazione di massa della produzione. Viene superata quindi l’idea
fordista-taylorista della produzione massificata per giungere ad un modello nel
quale i consumatori possono personalizzare il prodotto acquistato. Tale
riorganizzazione dei sistemi produttivi porta anche alla creazione di minacce
per il lavoro. Infatti non è chiaro se l’effetto netto dell’industria 4.0 sia
un aumento oppure una riduzione del numero di occupati nel settore
dell’industria. Certamente per poter operare nell’ambito dell’industria 4.0 è
necessario che i lavoratori sviluppino delle conoscenze sempre più approfondite
in tema di tecnologie digitali e abbiano anche delle capacità di produzione di
beni immateriali. Gli autori individuano tre competenze necessarie ovvero le
“content skills” ovvero le capacità di problem solving, le social skills ovvero
le capacità di sviluppare delle relazioni sociali e le process skills ovvero le
capacità di monitoraggio di se stessi e degli altri. Non tutte le aziende però
hanno gli incentivi giusti per potere accedere all’industria 4.0 ed è per
questo che sono state introdotte delle politiche economiche che hanno
l’obbiettivo specifico di sostenere le imprese negli investimenti necessari per
diventare imprese digitali.
Capitolo 3: La Sharing
Economy. In questo capitolo vengono introdotti alcuni esempi di
sharing economy come il caso del gruppo Facebook “Te lo Regalo se te lo Vieni a
Prendere” che ha consentito di ri-utilizzare dei beni che non erano
efficientemente utilizzati dai proprietari e per il tramite di questo scambio
ha consentito anche alle persone di allargare le proprie reti sociali deboli. Gli
autori fanno riferimento anche al pensiero di Arun Sundararajan un esperto di
teoria dell’impresa che ha erroneamente visto nella sharing economy
un’opportunità di vincere il capitalismo. Infatti nella logica di Arun
Sundararajan la produzione realizzata dalle crowd ovvero dalle folle avrebbe
sostituito la produzione realizzata dalle organizzazioni. Ovviamente questa
visione è una interpretazione che non rispecchia la realtà dei fatti in quanto
anche le piattaforme di sharing economy tendono ad assumere le stesse
caratteristiche estrattive, profit oriented e market based delle big
corporations. In ogni caso, anche se la crowd production difficilmente
sostituirà il capitalismo, è vero anche che l’economia della collaborazione ha
modificato i comportamenti di molti consumatori. Infatti tradizionalmente i
beni in proprietà privata difficilmente erano oggetto di forme di utilizzo
condiviso che non prevedessero compensi o cessioni parziali o totali della
proprietà privata. Invece nell’economia della collaborazione si è accresciuta
la percentuale della popolazione che ha iniziato a condividere beni e servizi
con degli estranei. Dal punto di vista economico la sharing economy nei paesi
anglosassoni vale circa 1.3% del PIL. Un ruolo molto rilevante è svolto dalle
città. Infatti esiste una dimensione dell’economia della collaborazione che
risulta essere city based. Le città hanno quindi inteso divenire “shareable
city” ovvero città basate sulla condivisione con l’adozione di un insieme di regolamenti
che consentono a cittadini e amministrazioni comunali di collaborazione nella
gestione, progettazione e manutenzione dei beni pubblici locali. Infine anche
il mondo del lavoro risulta essere attraversato da una dimensione del tipo
sharing economy per quanto tale cambiamento sembra essere associato ad un
peggioramento e ad una precarizzazione della condizione dei lavoratori.
Capitolo 4: La Sfera dell’Innovazione.
Gli autori fanno riferimento al ruolo crescente che l’innovazione ha assunto
nell’ambito dell’economia a seguito della rivoluzione industriale.
L’innovazione ha anche una sua dimensione locale come dimostrato dalla teoria
dei distretti. A questo tipo di innovazione “tradizionale” l’economia della
collaborazione ne aggiunge un'altra ovvero la “crowd innovation” che consiste
nell’apporto che le persone danno alla risoluzione di problematiche produttive
e alla introduzione di nuovi e più creativi sistemi di generazione di valore. Con
riferimento alla dimensione dell’innovazione collaborativa gli autori
individuano le seguenti tipologie di innovazione ovvero:
- ·
Modello dell’open innovation: è
un modello nel quale la produzione di innovazione avviene sia utilizzando le
risorse interne delle organizzazioni produttive, sia utilizzando le risorse
esterne. Tale modello è usato sia nel settore for profit che nel settore no
profit ovvero nell’ambito dei modelli di innovazione sociale.
- ·
Le invenzioni collettive: processi
di innovazione nei quali partecipano un insieme di imprese ed organizzazioni
derivanti dalla diffusione delle informazioni e dal vantaggio derivante dalla
condivisione di piccole innovazioni marginali che nel complesso possono
significativamente migliorare l’innovazione tecnologica.
- ·
Le comunità di open innovation: sono
modelli di innovazione molto diffusi nell’ambito della produzione del software.
In questo caso non vi sono incentivi di mercato quanto piuttosto la
partecipazione all’innovazione avviene per motivazioni intrinseche o di
carattere reputazionale. Esempi di questo genere sono per esempio Linux ed i
sistemi informatici realizzati attraverso la licenza General Public
License-GPL.
- ·
L’innovazione libera e la
democratizzazione delle invenzioni: è un fenomeno molto
ampio e complesso che richiede tuttavia un’ampia capacità di innovativeness da
parte dei consumatori. Infatti in questo caso i consumatori riescono a
modificare dei prodotti che sono stati realizzati attraverso dei sistemi di
produzione di massa per farli diventare più personalizzati introducendo delle
significative innovazioni. I free innovators possono in seguito condividere
queste informazioni attraverso i social e consentire anche ai produttori di
apportare le medesime modiche in fase di industrializzazione.
Capitolo 5: La Sfera del
Consumo, della Produzione e dei Servizi. E’ un capitolo
centrale nel libro nel quale gli autori identificano delle piattaforme
collaborative digitale come esempi della sharing economy. Con riferimento alla
dinamica del consumo collaborativo gli autori considerano quattro diverse
dimensioni ovvero:
- ·
Lo scambio di beni: avviene
generalmente nella forma della donazione o del prestito e quindi mediante una
forma di reciprocità generalizzata oppure parziale. Beni poco utilizzati
vengono donati a persone che ne hanno maggiore necessità di utilizzo. Peerby è
un servizio nato ad Amsterdam nel 2012 grazie al quale è possibile prestare
utensili a persone che abitano nel medesimo quartiere mediante un’app.
- ·
La mobilità ovvero car sharing vs car
pooling: c’è una distinzione significativa tra car pooling e
car sharing. Infatti nel car pooling gli utenti della piattaforma collaborano
nel sostenere i costi di un viaggio o di uno spostamento e vi è quindi un
elemento di reciprocità parziale con costruzione di legami sociali deboli. Un
esempio tipico di car pooling è BlaBlaCar. Nel car sharing invece i consumatori
acquistano semplicemente un servizio ovvero affittano un’automobile senza
cooperare che nessun altro utente e senza fare riferimento alla reciprocità.
- ·
La coabitazione: è
il caso di Airbnb e di CouchSurfing. Attraverso l’utilizzo di Airbnb gli utenti
dichiarano di avere dei vantaggi ulteriori rispetto all’utilizzo dei sistemi
tradizionali di alloggio in camere di albergo grazie alla possibilità di un
clima più informale. Inoltre gli utenti di Airbnb possono anche contare sulle
informazioni degli hosts per poter esplorare il territorio in modo più
efficace.
- ·
Il consumo di cibo: si
è sviluppato mediante gli strumento del social eating. Il social eating si è
sviluppato in Francia ed in UK ed anche in Italia grazie a delle app che
consentono ai cuochi di cucinare a casa delle persone a seguito di
prenotazione. In Italia ha avuto molto successo la piattaforma Gnammo che
consente alle persone di organizzare dei pranzi e delle cene tra sconosciuti.
Tuttavia esiste un meccanismo di reputazione dovuto ai feedback che gli utenti
scrivono nella piattaforma.
Relativamente alla
produzione gli autori fanno riferimento all’open source, all’open manufacturing
e all’open design. La produzione collaborativa avviene anche attraverso le
varie forme di crowdsourcing ampiamente utilizzate in ambito informatico. Infine
con riferimento all’utilizzo delle piattaforme collaborative nel settore dei
servizi vi è la possibilità di utilizzare strumenti come TaskRabbit per
costruire relazioni tra lavoratori, Amazon Mechanical Turk per lo svolgimento
di micro-mansioni, varie banche del tempo digitali che consentono di sviluppare
forme di vicinato digitale.
Capitolo 6: La Sfera del
Finanziamento. Gli autori si riferiscono soprattutto al
crowdfunding e alle forme di raccolta di finanziamenti attraverso internet.
Tali sistemi possono coinvolgere vari tipi di relazioni sociali da quelle
parentali-amicali, a quelle geografiche-territoriali, a quelle di tipo
professionale-lavorativo fino a stakeholders generici. Esistono comunque anche
nell’ambito del crowdfunding un insieme di modelli differenziati ovvero:
- ·
Donation-based: è
un sistema basato sulla donazione senza ricevere nulla in cambio.
- ·
Reward based: il
finanziatore riceve una cartolina, un’anteprima del prodotto o del servizio, e
quindi viene “ricompensato” dell’offerta;
- ·
Social lending: è
un vero e proprio prestito che viene realizzato a tassi di interesse più bassi
rispetto a quelli praticati dal sistema bancario;
- ·
Equity based: è
un tipo di finanziamento che consente di entrare nel capitale di rischio con la
possibilità di ottenere anche la partecipazione ai profitti;
- ·
Royalty based: il
finanziatore riceve una parte dei profitti a titolo di royalties;
- ·
Civic crowdfunding: è
una modalità di finanziamento attraverso la quale i cittadini partecipano alla
costruzione di beni pubblici in genere locali.
Il fenomeno del
crowdfunding è abbastanza diffuso in Italia grazie anche al fatto che gli
italiani sono stati pionieri del fenomeno anche prima di Kickstarter. Nel 2018
le piattaforme di crowdfunding hanno raccolto 111 milioni di euro. Infine gli
autori fanno riferimento ad alcuni casi di civic crowdfunding ovvero:
- ·
Un passo per San Luca:
iniziativa attraverso la quale la popolazione di Bologna ha partecipato alla
ristrutturazione di un portico comunale;
- ·
Comune di Milano:
dove l’amministrazione ha chiesto ai cittadini di partecipare con progetti e
crowdfunding alla realizzazione di progetti per il miglioramento urbanistico.
Capitolo 7: I Fab Lab:
Beni Collettivi dell’Economia Collaborativa. I Fab Lab sono
stati creati da Neil Gershenfeld professore del MIT che nel 2001 ha tenuto una
lezione dal titolo “How to Make (Almost) Anything”. I Fab Lab sono dei
laboratori collaborativi nei quali è possibile produrre attraverso varie
tecniche come l’additive manufacturing grazie anche alla presenza di capitale
umano fortemente qualificato. Tali laboratori hanno avuto una ampia diffusione
essendo presenti circa 686 Fab Lab nei 5 continenti. Gli autori analizzano la
sociologia dei Fab Lab e scoprono che tali laboratori sono molto presenti in
paesi come la Francia e l’Italia nei quali il capitale umano con competenze
tecniche ed ingegneristiche non essendo adeguatamente impiegato e remunerato
nel settore industriale trova modi alternativi di utilizzare il proprio sapere
svolgendo un servizio alla comunità. Negli USA invece i Fab Lab sono stati
associati alle scuole superiori.
Capitolo 8: Le
Piattaforme Collaborative in Italia: Tre Casi di Studio.
Gli autori presentano tre casi di piattaforme collaborative presenti in Italia
ovvero:
- ·
Airbnb:
ha avuto una grande diffusione soprattutto nelle città d’arte italiane. E’
stato contestato dagli albergatori per il fatto di aver ridotto
significativamente la durata dei soggiorni nelle città italiane. Il 55% degli
host italiani sono donne. I proventi di Airbnb vengono re-investiti per
finanziare altre attività commerciali-imprenditoriali. Airbnb è stata accusata
di fomentare il fenomeno della airification: ovvero il fatto che i cittadini
preferiscono affittare le case che hanno nel centro della città ed abitare
nella periferie trasformando di fatto il centro delle città in parchi giochi per
i turisti.
- ·
BlaBlaCar:
è una piattaforma nata in Francia che si è diffusa molto anche in Italia.
L’efficienza del servizio è dovuta soprattutto alla presenza di abbondanti
recensioni che consentono agli utenti di valutare l’affidabilità del guidatore
e stimare la qualità del viaggio. Il 25% dell’attività italiana di BlaBlaCar si
svolge nel Nord-Ovest, il 34,5% nel Nord-Est. Gli utenti italiani utilizzano
BlaBlaCar per finalità relazionali, di studio e di lavoro.
- ·
Gnammo:
è un’app di social eating. Nel 2014 in Italia 300.000 persone hanno participato
ad aventi di social eating. I ristoratori credono che il social eating vada
regolamentato in quanto costituirebbe una forma di concorrenza. Gli utenti di
Gnammo sono ubicati soprattutto nel Nord Italia: 39,8% nel Nord Est e 11,9% nel Nord Ovest.
Conclusioni.
Gli autori concludono che l’economia della collaborazione può essere sviluppata
soprattutto grazie ad un insieme di interventi ovvero: digitalizzazione,
sicurezza e trasparenza, promozione ed integrazione dell’economia della
collaborazione.
Considerazioni.
Il libro rappresenta bene quelle che
sono le fenomenologie sociali che sorreggono il fenomeno dell’economia della
collaborazione. Tuttavia occorre considerare che questo libro è stato scritto
prima della crisi pandemica e quindi non fa nessun riferimento alle profonde
difficoltà finanziarie di molte piattaforme collaborative come per esempio
Airbnb, BlaBlaCar e Gnammo. Inoltre non sono adeguatamente affrontati i temi
del lavoro nella gig economy come per esempio il caso dei riders e delle
aziende del food delivery che proprio durante la crisi pandemica hanno avuto
una crescita molto significativa. Se infatti consumatori e produttori possono
aumentare la propria utilità attraverso l’economia della collaborazione
mediante le piattaforme online è molto probabile che a pagare il prezzo siano
proprio i lavoratori. Inoltre gli autori mettono troppa enfasi sulla dimensione
della reciprocità totale o parziale. Infatti come è evidente le piattaforme di
collaborazione online cercano il profitto e modificano il proprio modello di
business per incrementare le revenues ed eventualmente puntare alla quotazione
in borsa soprattutto in USA e UK. Non è quindi l’economia della collaborazione
una forma che possa in un qualche modo “contrastare” il capitalismo ed al
massimo rappresenta una forma alternativa-fino a prova contraria- del modello
organizzativo delle big corporations. Probabilmente, le piattaforme
collaborative potrebbero conservare un orientamento sociale più significativo
se adottassero forme di organizzazione cooperativistica.
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