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Le regioni del Nord mantengono livelli elevati,
ma mostrano cali significativi negli ultimi anni.
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Il Mezzogiorno registra valori più bassi, con
Calabria e Abruzzo in miglioramento, Basilicata in forte calo.
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Crisi economiche, pandemia e stili di vita hanno
inciso profondamente sull’adeguata alimentazione degli italiani.
L’analisi dei
dati relativi all’adeguata alimentazione in Italia nel periodo compreso tra il
2005 e il 2023, misurata attraverso i tassi standardizzati per 100 persone,
restituisce un quadro piuttosto articolato, con forti differenze territoriali,
variazioni cicliche e trend di lungo periodo che denotano dinamiche sociali,
economiche e culturali. Nel Nord e nel Centro i livelli sono generalmente più
elevati rispetto al Mezzogiorno, ma anche qui emergono oscillazioni notevoli.
In alcune regioni si osserva una tenuta o una lieve crescita, mentre in altre
prevale un calo netto che sembra legato a fattori strutturali e di contesto.
Cominciando dal
Piemonte, i valori oscillano tra picchi sopra il 26 e fasi di discesa sotto il
23, con un andamento complessivamente positivo che segna un incremento di oltre
il 9 per cento rispetto all’inizio del periodo. Si tratta di una regione in cui
le politiche di promozione della salute e della corretta alimentazione hanno
trovato terreno fertile, e dove la tradizione enogastronomica è spesso
accompagnata da una maggiore attenzione alla qualità dei prodotti. La Valle
d’Aosta mostra invece una tendenza opposta: il tasso passa da 21 nel 2005 a
18,9 nel 2023, con una perdita del 10 per cento. Le oscillazioni molto
accentuate, con anni di crescita improvvisa seguiti da forti cali, riflettono
la piccola dimensione della popolazione e la vulnerabilità a cambiamenti anche
modesti nelle abitudini o nei programmi locali.
La Liguria
mostra una riduzione moderata, poco superiore al 5 per cento, con una flessione
dei livelli osservata soprattutto dopo il 2015. L’area ligure, pur ricca di prodotti
tipici della dieta mediterranea, è caratterizzata da un forte invecchiamento
demografico che può avere inciso sulle statistiche di adeguata alimentazione.
La Lombardia, regione demograficamente e economicamente centrale, registra
valori medi che raramente superano i 21-22 punti e una variazione finale di
lieve crescita attorno al 2 per cento. Il quadro è quindi di sostanziale
stabilità con qualche fiammata positiva negli anni 2007 e 2010-2013.
Il Trentino-Alto
Adige vive una parabola discendente: dal valore iniziale di 20,9 si scende a
17,6 nel 2023, con un calo vicino al 16 per cento. Nonostante una tradizione
alimentare legata a prodotti di montagna e una buona rete di servizi sanitari,
la contrazione riflette forse mutamenti nelle pratiche di consumo, compreso il
peso crescente di diete meno equilibrate legate a cambiamenti culturali. Anche
il Veneto mostra un calo marcato: da 22 a 14,6 in meno di vent’anni, con una
perdita di oltre il 33 per cento. Il dato colpisce perché il Veneto è
tradizionalmente associato a una forte cultura del cibo e a un tessuto
produttivo agroalimentare robusto.
Il
Friuli-Venezia Giulia evidenzia una contrazione analoga, con un arretramento di
oltre il 23 per cento, passando da 25,4 a 19,4. Qui i valori di partenza erano
molto alti, ma la progressiva riduzione riflette probabilmente difficoltà
socioeconomiche e cambiamenti negli stili di vita. L’Emilia-Romagna, pur con
forti oscillazioni, resta su valori medio-alti con picchi importanti nel 2010 e
nel 2016, ma nel lungo periodo perde quasi il 10 per cento. Anche la Toscana
scende del 13 per cento circa, con cali soprattutto dopo il 2015, pur
mantenendo valori piuttosto elevati e spesso superiori alla media nazionale.
In Umbria i dati
sono variabili e talvolta superiori alla media, come nel 2014 con un picco a
28,2, ma il confronto tra inizio e fine periodo evidenzia un calo del 16 per
cento. Le Marche, invece, presentano un andamento più regolare e chiudono con
un incremento vicino al 9 per cento, segno che, nonostante i cicli di crescita
e riduzione, il bilancio finale è positivo. Il Lazio vive una parabola in
diminuzione di oltre il 13 per cento, con oscillazioni rilevanti e un calo
costante dopo il 2015.
Il quadro cambia
drasticamente scendendo al Sud. In Abruzzo i livelli restano contenuti,
oscillando tra il 12 e il 17, ma si registra una crescita finale di oltre il 13
per cento che indica un miglioramento pur da valori bassi. Molise e Campania
mostrano invece cali drastici: il primo perde il 27,5 per cento con valori già inizialmente
contenuti, la seconda registra una diminuzione superiore al 31 per cento
scendendo a un livello molto basso pari a 9,9. Questo dato è tra i più
preoccupanti, perché suggerisce una crescente difficoltà nel garantire
un’alimentazione adeguata a fasce significative della popolazione.
La Puglia
conferma questo quadro con una contrazione di quasi il 14 per cento, mentre la
Basilicata si colloca tra le regioni con il calo più netto, oltre il 33 per
cento, con livelli che nel 2023 scendono a 7,1, tra i più bassi d’Italia. La
Calabria, invece, rappresenta un caso quasi isolato nel Mezzogiorno: pur
partendo da valori molto bassi, cresce di oltre il 24 per cento e chiude con un
dato pari a 12,9, segno che qualcosa nelle dinamiche territoriali o nei programmi
locali ha funzionato positivamente.
La Sicilia
registra un calo del 23 per cento, con valori che oscillano senza mai superare
i 16 punti e una tendenza discendente dopo il 2015. La Sardegna si caratterizza
per un andamento altalenante: picchi elevati sopra il 25 ma anche cadute sotto
il 18, e un bilancio finale leggermente negativo con una perdita inferiore al 5
per cento.
Il quadro
complessivo suggerisce diverse chiavi di lettura. In primo luogo emerge un
divario territoriale marcato tra Nord e Centro da un lato e Mezzogiorno
dall’altro, con quest’ultimo quasi sempre su valori più bassi e con un
peggioramento nel tempo. Tuttavia, alcune regioni meridionali, come Abruzzo e
Calabria, mostrano miglioramenti, pur restando lontane dai livelli più alti del
Nord. In secondo luogo, il periodo considerato coincide con crisi economiche e
trasformazioni sociali importanti: la recessione del 2008-2013, la pandemia del
2020 e l’inflazione più recente hanno inciso sulla capacità delle famiglie di
sostenere una spesa alimentare equilibrata.
In terzo luogo,
l’oscillazione dei dati può essere letta come il risultato di campagne di
sensibilizzazione, variazioni nei sistemi di monitoraggio e mutamenti nei
consumi. Alcuni picchi improvvisi, come quelli registrati in Umbria o in
Emilia-Romagna, potrebbero derivare da specifici interventi locali o da
miglioramenti temporanei nelle abitudini di consumo. Le riduzioni più
consistenti in regioni del Nord come Veneto e Friuli-Venezia Giulia segnalano
che il calo non è un fenomeno esclusivo del Sud, ma riguarda in modo
trasversale aree del Paese, probabilmente in relazione al mutare degli stili di
vita e all’aumento del consumo di prodotti industriali a discapito di alimenti
freschi e bilanciati.
La valutazione
delle variazioni percentuali mette in evidenza differenze estreme: si passa da
incrementi oltre il 24 per cento in Calabria a cali oltre il 33 per cento in
Veneto e Basilicata. Questo mostra come i progressi non siano omogenei e
dipendano da dinamiche locali. In particolare, le regioni a tradizione agricola
forte non sempre mostrano dati migliori, segno che la disponibilità di prodotti
tipici non è di per sé garanzia di adeguata alimentazione.
In sintesi, il
periodo 2005-2023 evidenzia un’Italia a più velocità. Alcune regioni mantengono
livelli elevati nonostante i cali, altre migliorano pur partendo da valori
bassi, mentre altre ancora conoscono peggioramenti molto preoccupanti.
L’adeguata alimentazione, oltre che un indicatore di salute, rappresenta uno
specchio delle condizioni economiche e culturali di un territorio. Le sfide
future si concentrano quindi sulla riduzione delle disuguaglianze territoriali,
sul sostegno alle famiglie in difficoltà e sulla promozione di stili alimentari
sani e accessibili a tutti, in modo da rendere omogeneo il diritto a una
corretta nutrizione in tutto il Paese.
Fonte: ISTAT
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