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Veneto e Lombardia registrano le crescite più
forti, superando il 30% di rappresentanza femminile.
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Piemonte e Campania mostrano arretramenti
significativi, evidenziando la fragilità dei progressi nella parità politica.
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Lazio e Umbria raggiungono livelli record oltre
il 38%, segnalando un consolidamento stabile della presenza femminile.
L’analisi dei
dati ISTAT-BES riguardanti la presenza femminile nella rappresentanza politica
a livello locale tra il 2012 e il 2023 offre un quadro complesso, ricco di
oscillazioni, di progressi talvolta consistenti e di arretramenti significativi
che riflettono non solo le dinamiche politiche regionali, ma anche le
difficoltà strutturali che le donne incontrano nell’accedere e mantenere ruoli
decisionali nelle istituzioni locali. Questi valori, espressi in percentuale,
ci permettono di osservare la distribuzione di genere nelle cariche
amministrative, e la loro evoluzione mostra come il percorso verso una reale
parità di rappresentanza sia ancora lontano, frammentato e fortemente
influenzato da fattori territoriali, culturali e politici.
Prendendo in
considerazione il Piemonte, si nota come la percentuale di donne si sia
mantenuta stabile al 25,5% per diversi anni, per poi subire un crollo drastico
nel 2019, arrivando al 15,7% e rimanendo su questa soglia fino al 2023. Questo
arretramento del 32,62% rispetto al 2012 dimostra come i progressi possano
essere reversibili, segnalando che il consolidamento della presenza femminile non
è garantito automaticamente da una crescita iniziale. Simile è la situazione
della Valle d’Aosta, dove dopo una fase di stabilità, con un picco al 22,9% nel
2017, si registra una caduta fino all’11,4%, con un calo del 20% rispetto al
2012. Questi casi dimostrano come in alcune regioni le donne siano riuscite ad
acquisire visibilità per un certo periodo, ma le dinamiche politiche e le
trasformazioni delle coalizioni locali hanno ridotto il loro spazio.
In
controtendenza, la Liguria mostra un andamento più graduale ma positivo: dal
15% iniziale si arriva al 19,4% del 2023, con un incremento del 29,3%. Sebbene
il dato assoluto resti relativamente contenuto, il percorso appare più stabile
rispetto alle fluttuazioni osservate altrove. La Lombardia, invece, evidenzia
un’evoluzione spettacolare: dall’8,8% del 2012 al 28,1% del 2023, con una
variazione percentuale del 219,3%. Qui il cambiamento sembra riflettere
l’adozione di politiche di genere più strutturate, il ricambio generazionale e
forse anche la pressione esercitata da movimenti e opinione pubblica.
Un altro caso
emblematico è il Veneto, dove la percentuale passa da un 6,7% iniziale a un
35,3% nel 2023, con un incremento di oltre il 426%. Questa regione rappresenta
il salto più marcato dell’intero panorama, testimoniando come la crescita possa
essere improvvisa e significativa, probabilmente favorita da interventi
normativi sulle quote di genere e da mutamenti politici interni. Anche il
Trentino-Alto Adige si distingue con un aumento progressivo che porta dal 18,6%
al 34,3%, segnalando una dinamica positiva costante.
Il
Friuli-Venezia Giulia presenta un andamento irregolare: dall’esiguo 5,1% del
2012 si raggiunge il 20,4%, ma successivamente si osserva un calo fino al 14,3%
per risalire poi al 19,1%. Questo saliscendi denota come i risultati possano
essere fragili, e non consolidarsi nel lungo termine. Emilia-Romagna e Toscana
offrono invece esempi di crescita lineare e duratura: la prima passa dal 21,2%
al 32%, con un incremento di circa il 51%, mentre la seconda cresce dal 16,4%
al 35%, con un raddoppio della presenza femminile. Questi casi mostrano che
laddove esiste una tradizione di sensibilità sociale e un tessuto politico
progressista, le donne trovano più spazi e continuità.
L’Umbria e il
Lazio costituiscono due casi virtuosi. L’Umbria cresce in maniera
impressionante dal 16,1% al 38,1%, con un incremento del 136%, raggiungendo una
delle quote più alte in Italia. Il Lazio passa dal 18,6% al 41,2%, segnando un
+121,5%. Questi numeri suggeriscono una volontà politica più forte e una
capacità del territorio di accogliere leadership femminili, che hanno trovato
continuità nella rappresentanza. Al contrario, Abruzzo e Molise evidenziano
dinamiche più contraddittorie: l’Abruzzo registra un calo fino al 6,5% nel
2014, per poi risalire al 16,1%, ma con un saldo finale relativamente modesto;
il Molise vive una crescita clamorosa dal 3,3% iniziale al 28,6%, ma con un
ritorno al 14,3% nel 2023, mostrando quanto fragile possa essere un avanzamento
se non sostenuto da un radicamento strutturale.
Nelle regioni
del Sud emergono grandi disparità. La Campania, ad esempio, segue un percorso
simile al Piemonte: inizialmente stabile sul 23,5%, crolla al 15,7% nel 2019,
segnando un arretramento del 33%. La Puglia, invece, parte da un bassissimo
4,3%, cresce lentamente e arriva al 13,7% nel 2023, con un progresso relativo
notevole (+218%), ma ancora lontano dagli standard medi nazionali. La
Basilicata rimane fanalino di coda: dal 3,3% del 2012 passa a un modestissimo
4,8%, con un incremento del 45%, ma sempre su livelli minimi che segnalano una
difficoltà persistente nell’aprire spazi alle donne. La Calabria, pur con dati
mancanti per alcuni anni, mostra una crescita dal 3,2% al 19,4%, segno di un
potenziale percorso positivo, sebbene parta da livelli bassissimi.
In Sicilia, la
rappresentanza femminile aumenta dal 16,7% al 21,4%, con un incremento più
contenuto, mentre la Sardegna, dopo un calo fino al 6,7%, torna al 13,3%,
segnando un miglioramento modesto ma ancora lontano dalla media nazionale.
Questi andamenti regionali dimostrano che il Mezzogiorno presenta i maggiori
ritardi, con rare eccezioni positive.
Nel complesso,
il quadro italiano mette in evidenza una forte eterogeneità territoriale.
Alcune regioni del Centro-Nord hanno registrato progressi solidi e consistenti,
mentre molte aree del Sud restano indietro, con dati spesso inferiori al 20%.
Le differenze regionali suggeriscono che le condizioni socio-culturali e le
scelte politiche locali influenzino in maniera decisiva le opportunità di
accesso per le donne. Inoltre, le oscillazioni osservate in molte regioni
dimostrano che l’assenza di politiche strutturali e di meccanismi consolidati
di promozione della parità rischia di rendere i progressi fragili e temporanei.
La crescita
significativa in regioni come Veneto, Lombardia, Lazio, Toscana e Umbria mostra
che laddove si sono introdotte norme sulle quote di genere o laddove si è
sviluppata una maggiore sensibilità culturale, i risultati possono essere
notevoli. Tuttavia, i casi del Piemonte, della Campania e della Valle d’Aosta
dimostrano che i traguardi non sono irreversibili: la rappresentanza femminile
può regredire, e questo è un segnale importante che evidenzia come
l’uguaglianza non sia un punto di arrivo, ma un equilibrio da mantenere e
rafforzare continuamente.
La questione non
riguarda soltanto i numeri, ma anche la qualità della rappresentanza. Una
maggiore presenza femminile nelle istituzioni locali non implica
automaticamente un cambiamento sostanziale nelle politiche, ma è un
prerequisito necessario affinché le istanze di metà della popolazione trovino
spazio nei processi decisionali. È evidente che le politiche di genere e le
misure di riequilibrio introdotte in Italia abbiano avuto effetti differenziati
a seconda del contesto territoriale e della capacità delle comunità politiche
locali di recepirle.
Infine, la
lettura di lungo periodo evidenzia una tendenza complessivamente positiva:
molte regioni hanno raddoppiato o triplicato le percentuali iniziali, e il numero
di territori in cui le donne superano il 30% della rappresentanza è aumentato.
Tuttavia, la distanza da una parità piena resta evidente, e l’instabilità dei
dati in diverse regioni segnala che il percorso non è lineare. Per consolidare
e ampliare questi risultati, serviranno politiche di sostegno più robuste,
incentivi alla partecipazione e un cambiamento culturale che superi stereotipi
e barriere informali ancora radicate.
In conclusione,
i dati ISTAT-BES dal 2012 al 2023 sulla rappresentanza politica femminile a
livello locale raccontano un’Italia a due velocità: da un lato, regioni
dinamiche e inclusive che hanno registrato progressi notevoli, dall’altro
territori ancora arretrati, dove la presenza delle donne è marginale o
addirittura in calo. Questa frattura non è solo statistica, ma riflette le
profonde differenze sociali, economiche e culturali del Paese. La sfida per il
futuro sarà trasformare i progressi parziali in conquiste durature, in modo che
la rappresentanza femminile diventi un elemento strutturale della vita politica
italiana e non un risultato occasionale destinato a svanire al mutare delle
congiunture politiche.
Macro-Regioni. L’analisi dei dati sulla
rappresentanza femminile a livello locale in Italia tra il 2012 e il 2023
evidenzia un’evoluzione significativa ma non uniforme sul territorio nazionale.
Nel complesso, il Paese passa dal 12,9% al 23,1%, con una crescita assoluta di
oltre dieci punti percentuali e un aumento relativo vicino all’80%. Questo
progresso testimonia un rafforzamento della presenza femminile nelle
istituzioni locali, sebbene persistano marcate differenze tra le aree
geografiche.
Il Nord si
distingue come motore trainante, raggiungendo il 24,5% nel 2023 e registrando
una variazione del 77,5% rispetto al 2012. All’interno di quest’area, tuttavia,
emergono divergenze: il Nord-est mostra la crescita più incisiva, passando dal
12,9% al 28%, con un incremento del 117%, il più alto in assoluto. Questo
indica che le politiche locali e probabilmente una maggiore attenzione al tema
delle pari opportunità hanno favorito un avanzamento stabile e continuo. Il
Nord-ovest, al contrario, pur crescendo dal 14,9% al 20,9%, presenta un ritmo
meno dinamico e segna un +40%, un progresso più contenuto se confrontato con
altre aree.
Il Centro Italia
rappresenta un caso particolarmente positivo: dal 17,1% si arriva al 36,4%,
quasi raddoppiando la presenza femminile. Con una crescita del 112%, questa
macro-area guida il cambiamento e supera nettamente la media nazionale. Ciò
suggerisce un contesto favorevole a una maggiore inclusione delle donne nei
ruoli decisionali locali, probabilmente per effetto combinato di sensibilità
politica e misure normative più efficaci.
Il Mezzogiorno
rimane la parte più debole del Paese. Pur segnando un miglioramento dal 10,1%
al 15,8%, con un incremento del 56%, resta lontano dai livelli del Centro e del
Nord. All’interno di quest’area, il Sud continentale cresce dall’8% al 14,6%,
con un +84%, dimostrando uno sforzo più consistente, mentre le Isole mostrano
una dinamica più modesta, passando dal 13,5% al 17,7% (+31%).
In sintesi, i
dati confermano che l’Italia nel suo complesso ha fatto passi avanti importanti
verso una maggiore rappresentanza politica femminile, ma le differenze
territoriali restano marcate. Il Centro e il Nord-est emergono come territori
più dinamici e inclusivi, mentre il Mezzogiorno e in particolare le Isole
faticano a ridurre il divario. La sfida rimane quella di trasformare i
progressi parziali in conquiste durature e uniformi, affinché la parità di
genere diventi un elemento strutturale della politica locale.
Fonte: ISTAT-BES
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