·        
La sedentarietà in Italia cala complessivamente,
ma persistono forti divari tra Nord e Sud.
·        
Sardegna e Lazio registrano i miglioramenti
maggiori, Basilicata e Campania restano stabili su livelli critici.
·        
Le differenze territoriali riflettono disparità
socioeconomiche, culturali e infrastrutturali nell’accesso all’attività fisica.
La sedentarietà
è uno dei principali fattori di rischio per malattie croniche come patologie
cardiovascolari, diabete e obesità. Analizzare i tassi standardizzati per 100
persone nelle diverse regioni italiane dal 2005 al 2023 consente di osservare
come questo fenomeno sia evoluto nel tempo e di cogliere differenze
territoriali e culturali. L’andamento complessivo nazionale mostra una
riduzione tendenziale della sedentarietà, anche se con intensità diversa tra
Nord, Centro, Sud e Isole. In generale i valori di partenza a metà anni Duemila
erano più alti quasi ovunque e negli anni successivi si assiste a fasi alterne
di diminuzione e stabilizzazione.
Nel periodo 2005-2010 si registrano oscillazioni con livelli
mediamente elevati soprattutto nelle regioni meridionali e insulari, mentre
alcune aree settentrionali già si distinguono per valori più contenuti. Tra il
2011 e il 2015 si osserva una fase di relativa stabilità, anche se in alcune
regioni del Nord si evidenziano miglioramenti progressivi. Tra il 2016 e il
2020 la riduzione della sedentarietà appare più marcata in varie zone del
Paese, sebbene l’arrivo della pandemia abbia condizionato le abitudini
quotidiane limitando la mobilità e in parte frenando i progressi. Nel triennio
2021-2023 si conferma nella maggioranza dei casi un livello più basso rispetto
a quello di inizio serie, ma non sempre emerge un trend lineare di
miglioramento, segno che il fenomeno è ancora influenzato da fattori
congiunturali e socioeconomici.
Il Nord Italia parte con livelli relativamente contenuti e mostra
nel tempo ulteriori miglioramenti. Il Trentino-Alto Adige è la regione che si
distingue con valori costantemente più bassi, passando da 18,5 del 2005 a 13,8
del 2023 con una riduzione del 25 per cento. Veneto, Friuli Venezia Giulia,
Lombardia ed Emilia-Romagna oscillano ma seguono un percorso discendente che
porta a riduzioni tra il 10 e il 20 per cento. Piemonte e Liguria hanno valori
iniziali più alti ma calano in misura significativa, soprattutto la Liguria che
da oltre il 40 per cento del 2005 scende intorno al 30. Nel complesso le
regioni settentrionali confermano livelli più virtuosi e un miglioramento
progressivo.
Il Centro Italia presenta valori inizialmente elevati e
un’evoluzione più complessa. Toscana, Umbria e Marche mostrano nel tempo un
calo evidente, con riduzioni comprese tra il 18 e il 27 per cento. L’Umbria
passa da quasi il 45 per cento del 2006 a poco più del 30 nel 2023, mentre le
Marche scendono da oltre il 40 a valori sotto il 29. Il Lazio rimane per lungo tempo
la regione più sedentaria del Centro con valori superiori al 40 per cento fino
al 2015, ma successivamente cala attestandosi intorno al 32. In queste regioni
si osserva quindi un trend positivo ma i livelli restano più alti rispetto al
Nord.
Il Mezzogiorno presenta la situazione più critica. Campania,
Puglia, Basilicata e Calabria si collocano su valori molto elevati che in molti
casi superano il 50 per cento della popolazione sedentaria. La Basilicata è
l’unica regione a non mostrare variazioni di rilievo, mantenendosi
sostanzialmente stabile dal 2005 al 2023. La Campania riduce leggermente i
tassi ma resta intorno al 53 per cento, con una diminuzione inferiore al 10 per
cento. La Puglia invece mostra un miglioramento più consistente passando da
oltre il 56 per cento a meno del 49, con una variazione di quasi il 14 per
cento. La Calabria evidenzia una flessione ma con valori che rimangono comunque
alti, sopra il 48 per cento. In generale il Sud resta l’area con la maggiore
diffusione della sedentarietà e con progressi più deboli rispetto al
Centro-Nord.
Le Isole mostrano dinamiche contrastanti. La Sicilia parte da
livelli elevatissimi, oltre il 62 per cento nel 2005, e scende nel tempo fino
al 52,5 nel 2023, con una riduzione di circa 16 punti percentuali. La Sardegna
presenta invece un calo più netto, passando da quasi il 50 per cento del 2005 a
meno del 35 nel 2023 con una diminuzione del 28 per cento. Queste due regioni,
pur condividendo la condizione insulare, mostrano quindi percorsi molto
diversi, con la Sicilia che rimane tra le più sedentarie d’Italia e la Sardegna
che si avvicina progressivamente ai valori del Centro-Nord.
Analizzando l’insieme delle variazioni assolute e percentuali,
emerge che le regioni con i progressi più significativi sono Sardegna, Lazio,
Umbria, Liguria e Abruzzo, tutte con riduzioni superiori al 25 per cento. Le
aree con i miglioramenti più deboli o assenti sono Basilicata e Campania, che
confermano difficoltà strutturali. Questa geografia riflette il divario
Nord-Sud tipico di molti indicatori di salute in Italia, ma evidenzia anche
come in alcune regioni meridionali esistano esperienze di miglioramento
rilevante, come in Puglia e Abruzzo.
Le possibili interpretazioni di questi dati sono molteplici. Da
un lato influiscono fattori socioeconomici, con il Nord caratterizzato da
maggiori opportunità di accesso a impianti sportivi, spazi verdi e attività
organizzate, oltre a un livello medio di istruzione più alto che facilita
l’adozione di stili di vita salutari. Dall’altro pesano elementi culturali e
familiari, con una maggiore propensione all’attività fisica nelle regioni dove
si è consolidata una sensibilità più forte verso il benessere. La pandemia ha
rappresentato un momento critico che ha ridotto le occasioni di movimento, ma
ha anche stimolato la diffusione di nuove forme di attività fisica domestica o
all’aperto che hanno potuto mitigare gli effetti dell’inattività.
Un altro aspetto rilevante riguarda la relazione tra politiche
regionali e andamento della sedentarietà. Le regioni che hanno investito di più
nella promozione dello sport di base, nella valorizzazione degli spazi pubblici
e nella sensibilizzazione della popolazione hanno ottenuto risultati migliori.
Ciò appare evidente in Sardegna, dove programmi mirati di promozione della
salute hanno probabilmente contribuito al miglioramento. In altre aree invece
persistono ostacoli legati a carenze infrastrutturali, scarsa attenzione
istituzionale o condizioni socioeconomiche che rendono più difficile l’adozione
di comportamenti attivi.
In conclusione, i dati sulla sedentarietà in Italia dal 2005 al
2023 mostrano una tendenza complessivamente positiva, con una riduzione del
fenomeno in gran parte delle regioni. Tuttavia il divario territoriale rimane
evidente e vede il Nord e alcune regioni centrali caratterizzate da livelli
sensibilmente più bassi rispetto al Sud e alla Sicilia. L’analisi suggerisce
che per ridurre la sedentarietà non bastano politiche sanitarie generali ma
servono interventi calibrati sulle specificità territoriali, con particolare
attenzione alle regioni meridionali dove il fenomeno è ancora largamente
diffuso.
Fonte: ISTAT
Commenti
Posta un commento