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Trentino-Alto Adige registra il calo più netto:
dal 18,7% al 14,4%, riduzione del 23%.
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Lazio e Toscana mostrano riduzioni importanti,
oltre il 12%, confermando l’impatto delle politiche di prevenzione.
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Basilicata, Molise e Sicilia in controtendenza:
tassi di fumo aumentano nonostante il trend nazionale calante.
Il fumo
rappresenta da decenni uno dei principali problemi di salute pubblica in Italia
e l’analisi dei dati relativi ai tassi standardizzati dal 2005 al 2023 permette
di osservare l’evoluzione di un fenomeno complesso che varia non solo nel tempo
ma anche nello spazio, mostrando differenze territoriali significative.
Guardando all’insieme dei numeri si nota come il trend generale sia in leggero
calo, con oscillazioni annuali anche marcate in alcune regioni, ma con una
tendenza prevalente verso la riduzione della quota di fumatori. Questo
risultato è coerente con le politiche di prevenzione adottate negli ultimi
vent’anni, con campagne informative, l’aumento della tassazione sui prodotti
del tabacco e le restrizioni sul consumo in luoghi pubblici. Tuttavia, i dati
mostrano anche eccezioni, regioni in controtendenza e casi di stabilità,
segnalando come il fenomeno non sia omogeneo e sia influenzato da fattori
socioeconomici, culturali e politici.
Nelle
regioni del Nord Italia i valori iniziali si attestavano generalmente tra il 18
e il 23 per cento. Piemonte e Lombardia mostrano un calo complessivo vicino al
9 per cento in termini relativi, con valori che dai primi anni superavano il 22
e che nel 2023 sono scesi sotto al 21. Trentino-Alto Adige costituisce un esempio
interessante di declino più marcato: dal 18,7 del 2005 al 14,4 del 2023, con
una variazione percentuale di quasi il 23 per cento, la più consistente in
assoluto. Qui pesa probabilmente una tradizione di maggiore attenzione agli
stili di vita salutari, oltre alla presenza di contesti socioeconomici
mediamente più favorevoli e una più alta scolarizzazione della popolazione,
fattori che la letteratura scientifica associa a minori tassi di fumo. Veneto e
Friuli-Venezia Giulia presentano oscillazioni ma nel lungo periodo rimangono
sostanzialmente stabili, con riduzioni limitate intorno al 4 per cento.
Emilia-Romagna mostra una diminuzione più evidente anche se non radicale,
scendendo di circa il 4,5 per cento. Liguria ha un percorso più irregolare, con
alti e bassi pronunciati e un calo complessivo di poco meno del 7 per cento.
Passando al
Centro Italia emergono alcune delle quote più elevate. Toscana, Umbria e Lazio
hanno registrato negli anni duemila valori spesso superiori al 23 o 24 per
cento. In particolare il Lazio ha raggiunto un picco del 27,4 nel 2011, il
valore più alto dell’intera serie nazionale. Nonostante questo, tutte queste
regioni centrali chiudono il periodo con un calo significativo, in media
intorno al 12-14 per cento, con punte come quella del Lazio che perde oltre 3
punti assoluti. Marche e Toscana mostrano analoghi percorsi: riduzioni
importanti che li collocano oggi su livelli simili al Nord, a conferma del
fatto che proprio nelle aree a più alta prevalenza si siano concentrati gli sforzi
più efficaci di contenimento. Anche l’Umbria, nonostante oscillazioni marcate,
presenta un calo vicino al 9 per cento. Questo ridimensionamento testimonia
come la pressione delle politiche sanitarie e il mutato atteggiamento culturale
abbiano inciso fortemente sul cuore del Paese.
Al Sud e
nelle Isole la situazione appare più eterogenea. In Campania e Abruzzo si
osservano diminuzioni di oltre il 10 per cento, con un calo netto dei fumatori
che dai picchi oltre il 24 sono scesi a valori intorno al 20. Calabria ha
ridotto i propri tassi di circa l’11 per cento e si colloca oggi tra le regioni
con i valori più bassi. Puglia mostra invece un andamento quasi stabile con una
riduzione minima dello 0,5 per cento: questo significa che in quasi vent’anni
la quota di fumatori è rimasta pressoché invariata, un dato che solleva
preoccupazioni in termini di efficacia delle politiche di prevenzione locale.
Sicilia e Basilicata si collocano in controtendenza: la Sicilia mostra un
incremento leggerissimo, pari all’1,4 per cento, e la Basilicata un aumento più
netto, oltre l’8 per cento. Anche il Molise presenta una crescita, pari a oltre
l’8 per cento, un dato sorprendente in un quadro nazionale al ribasso. Questi
aumenti vanno letti alla luce delle specificità socioeconomiche del
Mezzogiorno, dove spesso il tasso di disoccupazione è elevato, la
scolarizzazione mediamente più bassa e la diffusione del fumo può essere legata
anche a fattori culturali di resistenza al cambiamento. In Sardegna invece il
calo è più in linea con la tendenza nazionale, intorno al 7 per cento.
Analizzando
le variazioni assolute e percentuali si possono trarre ulteriori
considerazioni. La riduzione più marcata, come già detto, si registra in
Trentino-Alto Adige, che rappresenta un modello di successo. Tra le regioni
centrali spiccano il Lazio e la Toscana, che hanno ridotto i valori di oltre il
12 per cento, segno di un forte cambiamento culturale. Al contrario,
Basilicata, Molise e Sicilia appaiono come eccezioni: qui i tassi sono saliti
invece di scendere, in aperta divergenza rispetto al trend generale. La Puglia
rappresenta un caso a parte con una sostanziale immobilità. Nel complesso si
nota una divisione tra Nord e Centro, dove prevalgono riduzioni consistenti, e
Sud e Isole, dove i progressi sono più lenti o addirittura assenti. Questa
frattura territoriale non sorprende e ricalca altre disuguaglianze sanitarie
già ben documentate, come quelle legate alla mortalità precoce, alle malattie
croniche e all’accesso ai servizi di prevenzione.
Un aspetto
interessante è la forte variabilità interna alle singole regioni. Alcune hanno
oscillazioni molto ampie da un anno all’altro, come la Liguria e il Lazio,
segno che i dati annuali possono risentire di fattori contingenti come la
dimensione del campione delle indagini o eventi sociali particolari. Tuttavia,
al di là delle fluttuazioni, la direzione di marcia rimane in gran parte
decrescente. È anche rilevante osservare come negli anni della crisi economica
e in quelli più recenti della pandemia i valori abbiano mostrato variazioni
inattese, con temporanei aumenti in alcune regioni probabilmente legati a
condizioni di stress, disoccupazione o mutamenti nelle abitudini quotidiane.
Dal punto di
vista della salute pubblica, il quadro complessivo suggerisce che in Italia le
politiche di contrasto al tabagismo hanno avuto un impatto positivo, ma non
uniforme. Dove il calo è più forte possiamo ipotizzare una combinazione
virtuosa di misure legislative, efficacia delle campagne educative e contesto
socioeconomico favorevole. Dove invece i dati sono stabili o in crescita, come
in Puglia, Sicilia, Basilicata e Molise, si può pensare a una minore incisività
delle iniziative locali o a una maggiore resistenza culturale. È chiaro che in
queste regioni sia necessario rafforzare gli interventi, anche con strategie
più mirate ai giovani, alle fasce sociali più vulnerabili e alle donne, tra le
quali in alcune aree il fumo rimane diffuso.
In
conclusione, tra il 2005 e il 2023 l’Italia ha visto un calo complessivo della
quota di fumatori, con una media di riduzione intorno al 10 per cento. Le
differenze regionali però sono ampie: il Nord e il Centro hanno trainato il
cambiamento, mentre parte del Mezzogiorno rimane indietro. Alcune regioni
mostrano addirittura peggioramenti, che richiedono attenzione immediata per non
compromettere i progressi raggiunti altrove. Il fumo continua a essere una
delle principali cause di malattia e morte evitabile e i dati dimostrano che la
battaglia è ancora aperta. Servono interventi calibrati sulle specificità
territoriali, più investimenti nella prevenzione, un sostegno costante alle
politiche di disincentivo e una particolare attenzione alle nuove forme di
consumo come le sigarette elettroniche e i riscaldatori di tabacco che
potrebbero modificare il quadro futuro. Solo con un impegno costante e
differenziato sarà possibile ridurre in maniera significativa le disuguaglianze
e abbassare ulteriormente il peso del tabagismo sulla salute pubblica italiana.
Fonte: ISTAT
Link:https://www.istat.it/statistiche-per-temi/focus/benessere-e-sostenibilita/la-misurazione-del-benessere-bes/gli-indicatori-del-bes/
  
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