·        
Le regioni settentrionali e parte del Centro
mostrano valori contenuti e stabili nella mortalità infantile.
·       Sud e Isole formano cluster distinti con livelli
più elevati e variabilità significativa della mortalità infantile.
·    Regioni piccole come Valle d’Aosta, Molise e
Basilicata evidenziano forti oscillazioni e comportamenti anomali.
L’analisi dei
dati relativi alla mortalità infantile in Italia, misurata come numero di
decessi per 1.000 nati vivi, permette di osservare un quadro complesso ma al
tempo stesso significativo per comprendere le condizioni sanitarie, sociali e
demografiche delle diverse aree geografiche del Paese. Il primo elemento che
emerge con chiarezza è il progressivo calo della mortalità infantile a livello
nazionale, dove i valori medi passano da circa 3,7 nei primi anni della serie
fino a stabilizzarsi intorno a 2,5-2,6 nelle rilevazioni più recenti. Questa
riduzione rappresenta un indicatore positivo del miglioramento complessivo dei
sistemi sanitari, delle condizioni socioeconomiche e della maggiore diffusione
di pratiche di prevenzione e assistenza perinatale. Tuttavia, la media
nazionale nasconde differenze significative tra le diverse regioni, con il
Mezzogiorno che continua a mostrare livelli più elevati rispetto al Nord,
confermando un divario che si ripresenta ciclicamente in molti indicatori
sanitari e sociali.
Se si prende in
considerazione il Nord Italia, i valori oscillano tra 2 e 3 per mille, con
differenze contenute tra Nord-Ovest e Nord-Est. Regioni come Piemonte,
Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia presentano andamenti generalmente
stabili, con valori che negli ultimi anni si attestano intorno a 2,2-2,4.
Questi dati suggeriscono una buona efficienza dei servizi sanitari e un accesso
diffuso e relativamente omogeneo alle cure prenatali e neonatali. In Piemonte,
ad esempio, la mortalità infantile si muove in un intervallo compreso tra 2 e
3,4, mostrando un trend in discesa che negli ultimi anni si stabilizza intorno
a 2. In Lombardia il quadro appare altrettanto positivo, con valori leggermente
più alti nei primi anni della serie ma con un miglioramento costante fino a
scendere a 2,3. In Veneto e Friuli si osservano oscillazioni legate
probabilmente alla minore numerosità assoluta dei nati rispetto a regioni più
popolose, ma il livello complessivo resta contenuto. Un discorso particolare
merita il Trentino-Alto Adige, dove si evidenziano differenze interne: la
provincia di Bolzano mostra valori talvolta più alti, anche sopra il 3 per
mille in diversi anni, mentre Trento presenta oscillazioni più ampie con picchi
sia verso il basso che verso l’alto. Questo andamento potrebbe dipendere da
fattori demografici legati alla dimensione ridotta della popolazione residente
e dal peso relativo che anche pochi casi possono avere sul calcolo del tasso.
Nelle regioni
del Centro Italia i valori si collocano leggermente al di sopra della media
nazionale, in un intervallo compreso generalmente tra 2,5 e 3,5 nei primi anni
della serie, con successivo calo verso 2-2,3 nelle rilevazioni più recenti.
Toscana e Umbria mostrano una buona tendenza alla diminuzione, con valori che
arrivano in anni recenti anche a 1,6 o 1,8 per mille. Le Marche oscillano tra
1,7 e 3,4 ma mostrano anch’esse una riduzione complessiva, mentre il Lazio
rimane stabilmente su valori leggermente più alti, spesso superiori a 3 nei
primi anni e intorno a 2,6 negli ultimi. In questa area, dunque, si nota una
generale convergenza verso valori bassi, anche se il Lazio rappresenta
un’eccezione relativa, probabilmente legata alla maggiore complessità
demografica della regione e alla concentrazione di popolazione nell’area
metropolitana di Roma, dove le disuguaglianze sociali incidono più che altrove.
Il quadro cambia
in modo significativo nel Mezzogiorno, dove i valori restano più elevati e
mostrano un calo più lento rispetto al resto del Paese. Nelle regioni meridionali,
i tassi di mortalità infantile si collocano inizialmente su valori compresi tra
4 e oltre 5 per mille, con progressiva riduzione che tuttavia non annulla il
divario rispetto al Nord. In Abruzzo, ad esempio, si parte da valori vicini a
4,7 e si scende progressivamente verso 2,3 nelle ultime rilevazioni, ma resta
evidente una maggiore instabilità nei dati annuali. Molise presenta
oscillazioni molto ampie, con valori che variano tra 1 e oltre 5, segno della
ridotta base demografica che amplifica le variazioni statistiche. In Campania,
regione densamente popolata, il tasso oscilla costantemente sopra 3,5,
raggiungendo valori più elevati rispetto alla media nazionale in quasi tutti
gli anni considerati. Analoghi livelli si riscontrano in Puglia, Basilicata e
Calabria, con quest’ultima che in più occasioni supera il 5 per mille. Anche la
Sicilia si conferma su valori alti, tra 4 e 5 nei primi anni e solo
recentemente sotto il 4, mentre la Sardegna mostra valori generalmente più
contenuti rispetto al resto del Sud, con un andamento che negli ultimi anni
scende anche sotto il 2. Complessivamente, l’area del Mezzogiorno resta quella
con le criticità maggiori, con una mortalità infantile che si attesta
mediamente tra 3 e 4 per mille, più alta rispetto al Nord e al Centro.
Analizzando i
macro-aggregati geografici si può notare con chiarezza la frattura Nord-Sud. Il
Nord si stabilizza su valori intorno a 2,3-2,4, il Centro oscilla intorno a
2,3-2,6, mentre il Mezzogiorno resta su livelli più alti, tra 3 e 3,7. Le Isole,
nello specifico, presentano valori che oscillano tra 3,6 e 4,5, confermando una
maggiore vulnerabilità. Questo divario territoriale rappresenta un tema di
grande importanza, perché riflette non solo differenze sanitarie ma anche
sociali, culturali ed economiche. L’accesso ai servizi sanitari, la qualità
delle strutture ospedaliere, la diffusione delle cure prenatali e neonatali,
insieme alle condizioni di vita delle famiglie, incidono in modo diretto sulla
sopravvivenza dei neonati. Nel Sud, la presenza di aree con maggiore
deprivazione sociale, minore densità di strutture specialistiche e maggiori
difficoltà logistiche contribuisce ad aumentare il rischio di mortalità
infantile. A ciò si aggiunge il fenomeno della mobilità sanitaria, che porta
molte famiglie a rivolgersi a strutture del Nord per casi complessi, con
conseguente indebolimento delle reti locali.
La tendenza
nazionale, comunque, resta positiva. Nel complesso, l’Italia si colloca su
livelli molto bassi di mortalità infantile rispetto alla media mondiale e in
linea con i Paesi europei più sviluppati. Il calo nel tempo riflette
miglioramenti diffusi, ma resta ancora la necessità di intervenire sulle
disparità territoriali. L’obiettivo deve essere quello di garantire a tutti i
bambini, indipendentemente dal luogo di nascita, pari opportunità di
sopravvivenza e salute nei primi anni di vita. Per raggiungere questo traguardo
è necessario consolidare le reti di assistenza neonatale nelle regioni
meridionali, investire nella formazione degli operatori sanitari, potenziare la
prevenzione attraverso controlli e screening precoci e migliorare le condizioni
sociali delle famiglie più vulnerabili.
Un aspetto
importante da considerare riguarda anche le oscillazioni nei dati delle regioni
più piccole, come Valle d’Aosta, Molise e Basilicata, dove i valori fluttuano
in modo significativo. In questi casi il numero ridotto di nascite amplifica il
peso di singoli eventi, rendendo più instabili le serie storiche. Tuttavia,
anche in queste regioni, nonostante le oscillazioni, il trend complessivo
mostra un miglioramento rispetto ai valori iniziali, segno di un processo che
interessa l’intero Paese.
In conclusione,
l’analisi della mortalità infantile in Italia evidenzia un quadro
sostanzialmente positivo, con una riduzione costante e progressiva che ha
portato i valori nazionali a scendere stabilmente sotto il 3 per mille.
Tuttavia, il divario tra Nord e Sud resta evidente e rappresenta la principale
criticità, riflettendo differenze strutturali nei sistemi sanitari e nelle
condizioni socioeconomiche. L’Italia si conferma comunque tra i Paesi con i
livelli più bassi al mondo di mortalità infantile, ma per rendere questo
risultato uniforme su tutto il territorio occorre ridurre le disuguaglianze
regionali attraverso politiche mirate, investimenti nelle infrastrutture
sanitarie, sostegno alle famiglie e una maggiore attenzione alla prevenzione e
alla cura nei primi mesi di vita. Solo così sarà possibile garantire un livello
di salute equo e sostenibile per tutti i bambini nati nel Paese.
Fonte: ISTAT
Link: https://www.istat.it/
Commenti
Posta un commento