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Il Trentino-Alto Adige e la Toscana si
confermano leader indiscussi, con una densità di aziende agrituristiche che
supera di gran lunga la media nazionale.
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Regioni come Liguria, Umbria e Marche mostrano
una crescita sostenuta, trasformandosi in poli agrituristici emergenti nel
panorama italiano.
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Il Mezzogiorno, pur in crescita in alcune aree
come Puglia e Sicilia, resta indietro rispetto al Centro-Nord, con criticità
evidenti in Basilicata e Molise.
L’analisi
dei dati relativi alla diffusione delle aziende agrituristiche per 100 km²
nelle diverse regioni italiane dal 2004 al 2022 offre una panoramica molto
interessante su come il settore si sia evoluto, adattato e consolidato in quasi
vent’anni. Si tratta di un indicatore che non misura tanto il numero assoluto
di aziende, quanto la loro densità territoriale, elemento cruciale per
comprendere l’impatto e l’incidenza dell’agriturismo sul paesaggio e
sull’economia locale.
Partendo da
un’osservazione generale, si nota che quasi tutte le regioni italiane mostrano
un incremento nel corso del tempo, anche se con intensità e andamenti
differenti. Questo dato riflette la crescente rilevanza dell’agriturismo in
Italia, che da fenomeno di nicchia legato soprattutto ad alcune aree rurali è
diventato una parte importante del turismo nazionale e internazionale. In
alcune regioni la crescita appare continua e costante, in altre si registrano
fasi di stagnazione o addirittura di regressione, segno di criticità locali, di
politiche diverse o di mutate condizioni socioeconomiche.
Il caso più
evidente di leadership è rappresentato dal Trentino-Alto Adige, che già nel
2004 partiva da un valore molto elevato pari a 20,4 aziende ogni 100 km², più del
triplo rispetto a qualsiasi altra regione. Questo dato si spiega con la
tradizione consolidata di ospitalità rurale della regione, favorita dalla forte
vocazione turistica alpina e da un modello di sviluppo che integra agricoltura
e accoglienza. Nel corso degli anni la densità è ulteriormente aumentata,
raggiungendo quasi 29 unità nel 2022, segno che il settore non solo ha
mantenuto solidità, ma ha continuato ad attrarre investimenti e a rispondere
alla domanda. Il Trentino-Alto Adige rappresenta quindi un caso emblematico di
come l’agriturismo possa radicarsi in maniera strutturale nell’economia di un
territorio.
Altra
regione con valori molto alti è la Toscana. Qui la diffusione era già
significativa nel 2004 con quasi 14 aziende ogni 100 km², valore che è
cresciuto costantemente fino a toccare 24,5 nel 2022. La Toscana è da sempre
una delle mete più ambite per il turismo rurale e culturale, con un’offerta che
combina paesaggi collinari, borghi storici e prodotti tipici. L’andamento della
crescita mostra una fase di stabilità attorno al 2010-2014, seguita da una
ripresa decisa nella seconda metà del decennio, probabilmente legata al
rafforzarsi della domanda internazionale e alla valorizzazione di esperienze
autentiche, come il turismo del vino e dell’olio. La Toscana, insieme al
Trentino-Alto Adige, costituisce il cuore del turismo agrituristico italiano.
Molto
dinamica anche l’Umbria, che nel 2004 aveva valori più contenuti, attorno a
7,8, ma che ha conosciuto una crescita sostenuta soprattutto nei primi dieci
anni, arrivando a superare quota 16 tra il 2015 e il 2019. Dopo una lieve
contrazione negli ultimi due anni, probabilmente legata agli effetti della
pandemia o a fattori strutturali di mercato, la regione si mantiene comunque su
livelli alti rispetto alla media nazionale. Anche in questo caso il connubio
tra natura, spiritualità, borghi medievali e gastronomia ha favorito la
diffusione di un modello di ospitalità rurale diffusa.
Le Marche
hanno seguito un percorso analogo, pur partendo da valori più bassi. Nel 2004
erano a quota 5, crescendo in maniera costante fino a superare 12 nel 2022.
Questo incremento testimonia un rafforzamento significativo del comparto, con
un posizionamento che colloca le Marche tra le regioni con la maggiore
incidenza di aziende agrituristiche. È interessante osservare come regioni del
centro Italia abbiano trovato nell’agriturismo una leva per valorizzare il
territorio, spesso in alternativa o in complemento al turismo balneare e
culturale tradizionale.
Anche la
Liguria presenta una traiettoria di crescita molto marcata. Da 5,7 nel 2004 si
è passati a quasi 14 nel 2022, più che raddoppiando il valore. Il dato ligure è
particolarmente interessante perché non si tratta di una regione con grandi
spazi agricoli, ma di un territorio montuoso e costiero dove l’agriturismo ha
trovato un suo spazio sfruttando la vicinanza a grandi bacini di domanda come
la Lombardia e il Piemonte e la possibilità di integrare mare ed entroterra. La
forte crescita testimonia una diversificazione dell’offerta turistica
regionale.
Il Veneto e
il Friuli-Venezia Giulia mostrano anch’essi una tendenza positiva e regolare,
passando rispettivamente da valori intorno a 5 nel 2004 a circa 9 nel 2022. Qui
l’agriturismo si è sviluppato in parallelo con il turismo enogastronomico e con
la valorizzazione delle aree collinari e pedemontane, integrandosi bene con un
tessuto agricolo orientato alla qualità.
La Lombardia
presenta un andamento di crescita costante, da 3,4 nel 2004 a oltre 7 nel 2022.
Si tratta di un progresso significativo, che rispecchia il consolidamento di
una domanda interna molto forte, favorita anche dalla prossimità a grandi
centri urbani e dal desiderio di esperienze di svago rurale in contesti
naturali relativamente vicini. Il Piemonte segue una dinamica simile, seppure
su valori leggermente più bassi, raggiungendo 5,6 nel 2022.
Un discorso
diverso merita il Lazio, che partiva da valori modesti, appena 2,3 nel 2004.
Dopo una crescita graduale, tra il 2013 e il 2014 ha conosciuto un salto più
consistente, probabilmente dovuto a politiche di incentivazione o a un
improvviso aumento della domanda. Oggi si attesta su valori attorno a 7,6, che
testimoniano un rafforzamento del settore in una regione caratterizzata da una
forte polarizzazione turistica sulla capitale ma che ha saputo aprire nuovi
spazi nelle aree rurali e collinari.
Al Sud la
situazione è più diversificata. Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna
mostrano un’espansione complessiva, ma con valori ancora relativamente bassi
rispetto al centro-nord. La Campania è passata da 4,6 nel 2004 a 6,6 nel 2022,
con una fase di calo a cavallo del 2010, probabilmente legata a difficoltà
economiche e a una ridotta capacità di attrarre turismo rurale in quel periodo.
La Puglia è interessante perché dal valore minimo di 1 nel 2004 ha vissuto una
crescita significativa fino a sfiorare 5 nel 2022. Questo riflette il successo
del brand Puglia a livello internazionale, che ha coinvolto non solo il turismo
balneare, ma anche quello rurale, enogastronomico e culturale. La Calabria
mostra un andamento meno lineare, con fasi di crescita e arretramento,
stabilizzandosi a 3,6 nel 2022, mentre la Sicilia ha conosciuto un aumento da
1,2 a quasi 4, pur mantenendo valori inferiori alla media nazionale. La Sardegna
è rimasta stabile negli ultimi anni attorno a 3,2-3,3, mostrando una difficoltà
di crescita probabilmente legata a caratteristiche geografiche e a un turismo
maggiormente concentrato sulle coste.
Un discorso
a parte merita la Basilicata, che rappresenta una delle poche regioni in cui si
osserva un calo netto rispetto al 2004. Partita da 2,6, è scesa fino a 1,1 nel
2010, per poi risalire leggermente e stabilizzarsi poco sopra 2. Questo
andamento potrebbe essere collegato a limiti infrastrutturali, alla scarsa
attrattività di alcune aree interne e a difficoltà di mercato. Tuttavia, la
Basilicata resta una regione con potenzialità ancora inespresse, come
dimostrato dal successo turistico di Matera e da una rinnovata attenzione al
turismo esperienziale.
Infine,
Abruzzo e Molise mostrano traiettorie contenute. L’Abruzzo si attesta su valori
attorno a 5,4, dopo una crescita e un successivo assestamento, mentre il Molise
resta su livelli bassi, poco sopra 2,6 nel 2022, pur con qualche fase di
crescita intermedia.
In
conclusione, i dati confermano che l’agriturismo è diventato un pilastro del
turismo italiano, con regioni leader come Trentino-Alto Adige e Toscana, aree
emergenti come Liguria, Marche e Umbria, e territori in ritardo soprattutto nel
Mezzogiorno. Le differenze regionali riflettono fattori strutturali, tradizioni
locali, politiche di sostegno e capacità di promozione. Se il futuro dovrà
puntare su qualità, sostenibilità e autenticità, questa fotografia dimostra che
il settore ha radici solide e prospettive interessanti, pur con disparità che
richiedono strategie mirate.
Fonte: ISTAT
Link: https://www.istat.it/scheda-qualita/misure-del-benessere-equo-e-sostenibile-bes/
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