giovedì 6 agosto 2009

L'EGUAGLIANZA IRREVERSIBILE

PREMESSA

Distinguo l’empirismo come struttura di pensiero e di azione dalla empirico come categoria dell’esperienza che può essere comune a tutte le donne e gli uomini che conducono nella propria esistenza una qualche ricerca di carattere filosofico, morale, scientifico o politico.

ASSISTERE ALL’INTUZIONE

Appare impossibile d’uscire dalla dissoluzione morale.

Che pure essendo vero come dice Socrate che il filosofo cerca di allontanarsi dal corpo, d’affamarlo nei suoi bisogni, questo è grande male e sofferenza.[1] E certo che la felicità potrebbe essere nella sofferenza, come dice sempre Socrate, che “Il ogni cosa viene dal suo contrario”[2] ma si tratta d’una esperienza complessa che necessita di certezze e campi ristretti.

Che forse noi possiamo mettere a noi delle limitazioni quando il mondo non è in alcun modo limitato?

Non saprei.

Certo lo spirito, il demone, il dio, la volontà, la libertà, il logos, la ragione tutti questi enti sono e non sono e la loro apparizione alla vita è tutt’altro che costante e liberatrice.

Si può essere schiavi della virtù e del vizio senza provare particolare giovamento né nell’uno né nell’altro.

E Socrate va bene per la città, dove il privato e il pubblico sono congiunti e necessari, dove ci si conosce e il destino del singolo dipende dalla capacita di modificare il destino di tutti.

Ma in questo mondo libertario, dove non v’è senso alcuno nella comune collettiva idea e azione, poiché mancano quelle strutture legislative della rappresentanza a legare i comuni destini, che senso ha parlare di virtù morale, virtù civile, virtù pubblica? Ciascuno abbandonato alla deriva della transvalutazione dei valori che alla fine nulla sono se non indistinto e lagunare pastiche di coscienza e libido.

Sicchè questa è la più grande evoluzione morale dell’uomo? La possibilità di mixare l’istinto con la ragione senza più domandarsi se l’una conduce l’altra o viceversa? E creare una scienza, una civiltà, un progresso che ottimizza questa condizione dell’uomo, delle sue strutture produttive, di governo, di Potere?

E’questo forse un errore filosofico, della morale , della scienza?

L’EGUAGLIANZA IRREVERSIBILE[3]


Certo che lo è. Ed è l’errore di sempre, l’errore dell’empirismo, l’idea che le eguaglianze siano per ciò stesso reversibili, cioè che gli enti così come ci appaiono e così come sono istruiti e costruiti siano legati da forze reversibili. E certo che la felicità esiste quando esiste uno stato fisico e mentale favorevole ad essa e dunque possiamo dire che esiste una eguaglianza tra questi concetti e possiamo anche usare le strutture della matematica tradizionale per esprimerle ovvero che felicità= f(mente, corpo), e possiamo anche farne derivare una serie di azioni volte ad aumentare la felicità ovvero ottimizzare la mente e il corpo per ottenere la felicità e lo possiamo anche scrivere matematicamente felicità=max(mente, corpo). E tuttavia questo che cosa significa?

Che veramente quando stiamo bene fisicamente e siamo sani mentalmente allora siamo felici? Non avete mai visto la sconforto dei sani, dei ricchi, dei belli, di coloro che secondo questa relazione di eguaglianza matematica dovrebbero essere felici?

Allora che cosa è che non va in tutto questo modo d’intendere la felicità, come condizione dello spirito, come forza della morale, come bene etico ? c’è di male che le eguaglianze che sono prodotte da particolari stati dell’essere non possono essere considerate ontologicamente valide, metafisicamente assolute, ma esse devono potere essere analizzare evolutivamente. Se cioè la felicità scaturisce da una particolare condizione, è il processo che ha portato a creare quella particolare condizione che risulta essere analizzato e non la semplice presa d’atto del fatto che le cose sono uguali così come si sono appunto manifestate,come appaiono all’operatore esterno. Allora ecco l’errore dell’empirismo, d’abbandonare il suo stesso episteme nel momento della formulazione del giudizio, dell’analisi, dell’azione.

Quindi l’empirismo che si fonda sui fatti, non dovrebbe successivamente trascendere nell’analisi metafisica, come a considerare appunto che la felicità dipenda sempre dalla buona condizione mentale e fisica, ma dovrebbe appunto empiricamente, limitarsi a dire che quella particolare felicità si è venuta a costruire attraverso un certo percorso mentale e fisico, e che tale verità è acclusa a quell’unico caso e alla sua genesi. E dunque in questo caso si dovrebbe utilizzare una nuova notazione matematica , quella cioè dell’eguaglianza irreversibile, che cioè è una uguaglianza ma che non può essere invertita né analizzata in ordine diverso rispetto a come i membri sono presentati, ragione per cui la chiameremo anche eguaglianza ordinativa. Felicità=f(mente, fisico) irr, significa che essendo vera la felicità di un individuo è possibile analizzare la sua condizione di felicità ma, nello stesso tempo, la condizione fisica e mentale dell’individuo nulla possono dirci empiricamente sulla felicità dell’individuo stesso. E’ questa una relazione irreversibile epistemologicamente. Sicchè empiricamente tutte le supposizione che si possono fare circa la possibilità di ricostruire la felicità partendo dalla condizione di spirito e di mente sono in realtà fallaci e ascientifiche, poiché non ha senso l’astrazione dal empirismo, avendo maggiore significanza l’induzione nell’empirismo.

E l’induzione ha un forte limite che è il suo stesso campo di esistenza, vale a dire essa non si può generalizzare.[4] Essa è gravata dai suoi dati, dalle sue analisi, dalla sua struttura empirica appunto.

Quindi l’eguaglianza irreversibile è uno strumento che ci aiuta a non commettere errori molto diffusi, come quello per esempio di dire che se una persona ha molti soldi è ricco, oppure che se è povero non ha potere, o che il tasso di interesse produce effetti nel mercato finanziario[5]. Queste relazioni empiriche, che generano delle eguaglianze, devono essere maneggiate nella consapevolezza che generalmente si tratta di eguaglianze irreversibili, cioè tali che esprimono non una identità ontologica, nel senso dell’essere, ma una identità ordinativa, evolutiva, che contiene in se il percorso di manifestazione del fenomeno che è irreversibile.

Ecco dove è l’errore di questi nostri tempi. Errore morale ed errore scientifico insieme, essendo l’empirismo uscito dal suo originario alveo morale per invadere la scienza.

E a questo empirismo non si può permettere l’errore esistenziale di trasformarsi in ente, in ontologia.

Esso permarrà nella sua dimensione indagatrice, irreversibile, ordinativa.

Le sue proposizione spurie siano analizzate e tuttavia tenute distinte dalle eguaglianze reversibili, che esse si sono ente, e definiscono l’ontologia del fenomeno che descrivono.

SOCRATE SCACCIATO DA ATENE : OVVERO PERCHE’ L’EGUAGLIANZA IRREVERSIBILE NON SI LEGA AL TUTTO

L’eguaglianza irreversibile, che è dunque il processo descrittivo finale dell’analisi empirica, non riesce a totalizzarsi, a divenire ontologia, a trasformarsi in essere. Le sue verità sono verità ordinative e relative. Esse descrivono un mondo fatto di enti che, ciascuno particolare, non si combinano se non attraverso rapporti che sono causali, o fondati sulla particolare circostanza, sulla condizione, sulle opportunità involontarie. Pensiamo alla morale, alla libertà, alle azioni degli uomini, ciascuna particolare, svincolata, frammentata rispetto a quella degli altri. Questa morale possiede gli stessi elementi dell’empirismo, così come lo abbiamo descritto fino a questo punto. Ciascun individuo fonda le proprie azioni su se stesso, le proprie scelte sulla propria razionalità, la propria condizione sulla propria felicità, e tutto questo è assoluto, ma non nel senso della ontologia, che cioè è completamente assoluto, ma è assoluto relativamente, condizionatamente a quell’individuo. Questa condizione dell’individuo è la condizione libertaria[6] , dell’individuo che non ha di fronte a se alcuna altra libertà o limite o costrizione. E’ evidente che con il l’empirismo morale e scientifico, con la sua manifestazione politica, il libertarismo, non v’è Polis, non v’è Democrazia, non v’è Stato. E tutti questi elementi della società non esistono semplicemente perché, la politica vissuta libertariamente, fondata sull’empirismo, non ha necessità del Dialogo, del Giudizio, della Legge. E senza Dialogo non si accede alla Democrazia, senza Giudizio della Giustizia non v’è subordinazione delle necessità del singolo alla comunità, e senza Legge non v’è ordine.

DEL MONDO NUOVO

Avendo quindi chiuso l’empirismo nella sua struttura epistemologica, essendo esso stesso legato al particolare, che non si lega al tutto, se non per il tramite di similitudini che sono tuttavia incapaci di espandersi al tutto, possiamo ora ragionare dell’eguaglianza e della sua funzione. Certo è difficile perché le limitazioni che sono state imposte alla ricerca filosofica, scientifica, morale e politica, dalla vittoria storica dell’empirismo sono tali che oggi, i dati, il particolare, l’infinitamente piccolo, la micro dimensione individuale sono così invalsi come approdo sicuro della coscienza , della intelligenza, del benessere e della felicità, che appare impossibile pensare e agire diversamente.

E tuttavia anche questa condizione è in realtà una illusione che si fonda su di una eguaglianza irreversibile.

Ho già detto che distinguo l’empirismo dalla categoria dell’empirico.

L’unico elemento che vorrei quindi aggiungere è che in realtà occorre liberarsi dalla schiavitù dell’empirismo, essendo invece al contrario l’empirico una categoria ineliminabile dell’esistenza. E’ necessario pensare all’impossibile, all’improbabile, al non provato, al non datato, al non classificato, poiché lì è la natura non ancora inclusa nel processo di civilizzazione. E invadere i campi nuovi della conoscenza con una scienza totale che, invalsa dalla distinzione tra eguaglianza irreversibile e eguaglianza, sappia liberarsi dal gioco della relativizzazione assoluta, e distinguere relativi e assoluti, senza perdere, come invece è già avvenuto, l’idea che possano esistere delle identità totali, delle uguaglianze veramente assolute, degli elementi che costituiscano non più prova, ma ontologia.



[1] Così Platone nel Fedone.

[2] ibidem

[3] Allo stesso modo si può parlare di diseguaglianza irreversibile.

[4] E pure vero che la statistica cerca di analizzare “L’uniforme nel difforme” e tuttavia anche questa tentativo di creare un macro-empirismo vedremo è asimmetrico e indeterminato, poiché ciò che tra origine dal particolare non possiede la forza dell’assoluto incondizionato, che è tipico della ontologia e della metafisica, ma solo quella dell’assoluto relativo, che è ancora empirismo, costrizione del pensiero, impossibilità d’astrazione.

[5] Con questi esempi voglio appunto significare il concetto di eguaglianza irreversibile. E’ vero che il ricco possiede anche denari, tuttavia non è vero che chi possiede denari è di per ciò stesso ricco, e lo stesso ragionamento vale anche per gli altri esempi. Ciò perché il particolare grava su se stesso e non si trasforma in pensiero creativo, relazionale,di comprensione, non ascende cioè alla scienza.

[6] E’ necessario considerare che il libertarismo costituisce l’egemonia della globalizzazione.

domenica 2 agosto 2009

Il mercato è una particolare istituzione dello Stato ( ma il mercato globale non esiste ancora )

Il processo di creazione dello Stato e delle sue istituzioni ,così come viene descritto dai contrattualisti, consiste nell'individuazione di una serie di diritti e di doveri che si ritengono necessitare di protezione coercitiva, i quali vengono esternalizzati dal dominio dell'uomo nello stato di natura e ammassati nella concezione dello Stato-leviatano.

Si tratta di un porcesso graduale, empirico ( secondo la tradizione del relativismo anglosassone) che porta lentamente alla creazione dell istituzioni e sucessivamnete all'attribuire alla complesso delle istituzioni il valore di Stato.Di volta in volta gli uomini hanno così regolarizzato le proprie insicurezze e inefficienze per il tramite della creazione delle Istituzioni.

Il Leviatano prende dunque forma per il tramite di un processo di attribuzione ad un soggetto terzo, di poteri, potestà, diritti e doveri, che un tempo erano dei singoli.

Ogni volta che si crea il processo di attribuzione leviatanica ad un terzo di posizioni di potere si crea una istituzione che è un organo dello Stato e si contribuisce a creare il luogo della coercizione, capace di dare certezza ai diritti diversamente non tutelati nello stato di natura.

La stessa dinamica dell'attribuzione di poteri al terzo esiste nel processo di creazione del mercato, in quanto gli uomini hanno delegato al mercato ( come luogo fisico-concettuale delle contrattazione ) il potere di decidere della economicità degli scambi, il prezzo per la circolazione delle risorse e la capacità di premiare attarverso l'attribuzione di ricchezza.Il mercato dunque esercita un potere di coercizione nei confronti del complesso delle contrattazioni. Chi si pone al di fuori di esso ( nell'economia della natura) perde quella protezione che è garantita dall'istituzione. Il mercato è dunque un istituzione.

Dunque nella logica di attribuzione di potere al mercato ( così come per altro avvine anche per altre istituzioni, come ad esempio per la Giustizia, il sietam dell'educazione, l'amministrazione della res publica) si riflette esattamente quel processo di attribuzione di poteri che gradualmente empiricamnete crea gli organi dello Stato.


Nel prcesso di attribuzione di poteri al terzo, nella fenomenologia della crezione della istituzione leviatanica, si possono distinguere vari gradi di complessità che riflettono il livello di civiltà della società.

Non tutte le istituzioni che costituiscono la struttura organica dello Stato sono normate positivamnete attraverso leggi formali, molte norme sono informali e altre istituziooi si trovano ancora nella primigenia costituzione all'interno del fango sociale primordiale ( condizioni e settori dell'esistenza in cui gli uomin fingono di vivere ancora nello stato di natura e che quindi organizzano secondo i principi della forza e del free riding) , istituzioni per le quali in futuro si sceglierà di creare norme prima informali e poi formali per mettere fine alla lotta dell'uomo contro l'uomo. ( circa la necessità economica dellsa creazione delle Istituzioni si veda il pensiero di Douglass North ).


Noi chiamiamo dunque Stato il complesso di queste istituzioni, poichè il Leviatano possiede il controllo su tutta la struttura della società ed ogni volta che questa crea una istituzione essa diventa parte dello Stato entrando nel Dominio del Leviatano. E' purtutttavia evidente che la struttura dello Stato talvolta pone lo stesso nella condizione di essere soggetto passivo di una asimmetria informativa. Il potere creativo delle istituzioni,e quindi delllo Stato nel suo complesso, non è dello Stato ma è dell'humus sociale. E quello che si sviluppa all'interno della primigenia spinta sociale non è nel controllo del Leviatano ( oper lo meno non lo è sempre, cioè come dire il Leviatano aspetta di essere investito di nuovi poteri. e di usufruire di nuove istituzioni, per disciplinare condizioni che si trovano nello stato di natura per ragioni di carattere storico-antropologico). Dunque il Leviatano non può controllare quelle particolari condizioni sociali nell'ambito delle quali gli uomini fingono di vivere nello Stato di natura e usano la forza personale o la coercizione di gruppo per risolvere le questioni ( accade per esempio nella globalizzaione quando i gruppi finanziari utilizzano il proporio potere per risolvere delle questioni come se fossero nello stato di natura ignorando l'esistenza dello Stato).
E' come se il Leviatano fosse ceco nei confronti della capacità della società di individuare nuove condizioni da istituzionalizzare.

La giungla di tali nuove condizioni sociali in cui si vive ancora nello stato di natura è la condizone iniziale. Poi tali fenomeni vengono normati ( per necessità di sopravvivenza dei songili e dei gruppi e per fare coesistere la crescita economica) informalmente attarverso la creazione di istituzioni che funzionano sul modello della common law ( istituzioni autonome ad un livello basso di civiltà formale ) e allora vengono ad entrare nel dominio del Leviatano che le fa proprie con la produzione di norme positive ( istituzioni dipendenti dallo Stato)

E' chiaro che le norme positive offrono maggiore protezione rispetto a quelle informali.

Le istituzioni sono quindi rappresentabili secondo la sicurezza che da esse promana che è una funzione del grado di positività delle leggi.

Il mercato è una istituzione dello Stato ( perchè si viene a creare con il processo di creazione a mezzo dell'attribuzione al terzo -leviatanico) e il suo grado di autonominna ( il fatto cioè di essere normato positivamente, informalmente o di vedere al proprio interno la creazione di un nuovo humus sociale) è molto elevato.

Nel caso della globalizzaione le contrattazioni si sviluppano ( per quanto riguarda il profilo dei mercati finanziari) senza l'esistenza di regole,e gli operatori economici in realtà lasciano che gran parte degli scambi avvengano sulla base di rappoirti di forza extra-istituzionali e auindi possiamo ben dire che non esiste un mercato globalizzato inteso nel senso di istituzione.

Da ciò derivano tre importanti conseguenze:

1. Siamo di fronte alla creazione di nuove isituzioni che a livello mondiale svolgano le funzioni leviataniche nel proceso di affermazione della democrazia ( a causa della necessità di garantire la certezza dei diritti primari, naturali e dei diritti di propietà);
2. pur esistendo la globalizzazione ( come fenomenologia dell'humus sociale) non esiste ancora il mercato globale.

Fondamentale è dunque l'impegno per la razionalizzazione delle norme degli scambi e la creazione delle isituzioni del Governo della globalizzazione e ciò può avvenire per il tramite di un democratico impegno politico cooperativo su basi contrattualistiche che porti all'affermazione della Politica Economica e ritornare in una condizione di emanciapzione dall'homo homini lupus. ( per lo meno per la globalizzazione).

Economia: una scienza giustificazionista, un'arte presuntuosa o uno strumento a difesa della democrazia?

Quello che appare evidente nelle opere degli economisti del dopoguerra ( Gunnar Myrdal a Galbraith anche Chamberlin e tutti gli eterodossi) è la capacità da parte dell’economia di sviluppare pensieri di carattere sistematico al di fuori delle concezioni ortodosse relative al liberismo.

Il fatto che gli economisti debbano accettare necessariamente una impostazione metodologica è un fatto assolutamente illiberale e contrasta con la necessità di sviluppo della scienza e della conoscenza in generale, nonché con la crescita del capitalismo ed in generale dei sistemi economici che sono possibili. Il capitalismo infatti dovrebbe essere quanto più diversificato possibile dimodochè con un ricco corredo genetico possa resistere alle conseguenze destabilizzanti che esistono all’interno dello stesso come è dimostrato dalla storia economica.

Del resto l’analisi teorica in economia non è possibile in quanto se fosse pura e cioè atemporale non sarebbe utile ( e pertanto sarebbe antieconomica rientrerebbe cioè nell’ambito del pensiero utopico ) e del resto se non è pura è sempre in un certo qual senso influenzata dalla questione relativa alla ideologia o al sistema di pensiero dell’economista che vive una realtà storica determinata.

E’ questa infatti quello che rende impossibile fare dell’economia una vera e propria scienza , come la fisica e come la matematica,. Il fatto cioè che l’unica condizione esistenziale utile per l’economia ( l’unico dominio in cui fare esistere il sapere economico ) è la realtà storica determinata con i suoi profili istituzionali e collettivi. Non esiste una economia atemporale, non esiste una metafisica dell’ economia , una ontologia dell’economia, esiste solo una determinazione storica concreta che deve essere analizzata con tutti gli strumenti possibili e che deve essere fornire indicazioni predittive per il governo delle istituzioni pubbliche e private.

Affermiamo cioè che il metodo dell’analisi economica deve sempre prendere in considerazione le questioni relative all’economia come essa si manifesta onde evitare di creare un sistema ordinato di proposizioni il cui significato storico e politico sia irrilevante o peggio si presti a delle interpretazioni di carattere strumentale giustificazioniste nei confronti di nuove forme di schiavitù e di affermazione dell’uomo sull’uomo.

Gli economisti devono considerare gli aspetti storici e istituzionali in cui si sviluppa la dinamica economia e nell’ambito della stessa analizzare le questioni nella considerazione che la conoscenza è sempre foriera della civiltà e del progresso e che pertanto essa non può che muoversi nell’ambito del costituzionalismo e del riconoscimento dei diritti umani e della natura.
Solo in questo modo l’economia ha un senso come sapere. Altrimenti non è ascrivibile e non trova spazio nella concezione della conoscenza se non come la razionalità del relativismo assoluto.
Non tutti gli economisti sono convinti del fatto che l'economia debba essere una scienza.

Smith, per esempio, era invece molto interessato alle questioni di politica economica piuttosto che a pensare sistemi perfetti nel mondo dell’iperuranio.

Ricardo invece aumentò il grado di astrazione ed ebbe la pretesa di fare in modo che l’economia divenisse una scienza.

Ma domandiamoci.

Quando un fisico o un matematico realizzano un esperimento o pensano un sistema concettuale hanno una finalità di carattere politico? Vogliono colpire una qualche classe sociale? Mettere in discussione un potere economico?

La risposta a questa domanda potrebbe essere sia si che no. Alcuni scienziati certo hanno utilizzato la scienza per finalità politiche. Ma molti altri no. Si parla appunto di ricerca pura, di pura speculazione, di vera scienza.

Nell’economia la pura speculazione non esiste.

E lo stesso Ricardo, che pretendeva di fare dell’economia una scienza, lo ha dimostrato. La sua analisi della rendita e le sue conclusioni relative al fatto che la classe dei proprietari terrieri incamerava più reddito di quanto ne meritasse, era posta in chiave classista. Egli difendeva gli imprenditori della nuova borghesia industriale e per fare questo si impegnò nel dimostrare che la rendita era ingiustificata di modo che i redditi fluissero copiosi verso gli imprenditori e fossero così sottratti ai proprietari. Soluzione: liberismo così avendo più libertà di usare il capitale per comprare le terre gli imprenditori avrebbero potuto sconfiggere socialmente i proprietari terrieri.

E Marx usò la stessa logica per affermare lo stesso rapporto ma cambiando i soggetti. Non più i proprietari si appropriavano del reddito degli imprenditori, ma questi ultimi si appropriavano del reddito dei lavoratori. Soluzione: rivoluzione comunista così i lavoratori si riappropriano di quanto gli imprenditori hanno loro sottratto.

E così via fino ai giorni nostri.

L’economia dunque è sempre determinata storicamente e orientata politicamente e per questo non può essere una scienza.
Essa tuttavia può costituire un baluardo di conoscenza a presidio della civiltà dei diritti umani e della natura.
In questo senso l’economia può affermare a livello globale la democrazia e lo sviluppo dell’umanità.

La produzione di incertezza

uello che accade relativamente all’incertezza e al pragmatismo è dovuto in parte ad una necessità di dominio dell’ambiente informativo ( quel complesso di informazioni esterne che sono a fondamento del rapporto con la realtà e che contribuiscono a formare i nostri pensieri o a cambiare la base dei nostri ragionamenti agendo sulle strutture della genesi razionale ) e in parte ad una tensione competitiva che vuole imitare tale posizione di dominio e che inevitabilmente finisce per rafforzare la stessa . Sicchè il capitalismo per il tramite del suo sistema informativo agisce sui cittadini, sui consumatori utilizzando una serie di stimoli e di imput che colpiscono gli aspetti più emozionali e più viscerali dell’uomo e ciò porta lo stesso a reagire immediatamente essendo iperstimolato con un costante cambiamento della sua struttura di pensiero e di priorità essendo guidato dall’impellenza che viene posta attraverso i vari livelli della comunicazione. In questo senso è vera la legge di Say con riferimento al mercato che cioè il mercato attraverso l’offerta mediata informativamente crea la propria domanda ( almeno fino ad un certo punto) e ciò è dimostrato dal fatto che soltanto le imprese pongono le priorità dell’agire comune e condiviso.

La razionalità, intesa come insieme di scelte coerenti e logiche nel tempo, ha perso la propria funzionalità tanto che essa è divenuta sinonimo di ideologia.

Sicchè ne deriva che avere una qualche idea precisa e ragionata, decontestualizzata, relativa per esempio all’assetto della società, a quello che lo stato dovrebbe o non dovrebbe fare, al modo in cui le imprese dovrebbero produrre, cioè alzare almeno un attimo lo sguardo dalla quotidianità mediata informaticamente e dominata dall’es sociale, significa necessariamente essere idealisti. E’ chiaro che il sistema si è formato sulla quotidianità e ha puntato poco sul suo valore per il futuro. Ma pensare al futuro e ad una società caratterizzata da valori condivisi razionali e non solo emotivamente ispirati a necessità di consumo, non significa essere ideologi, ma corrispondere ad un bisogno di civiltà, di continuità, di evoluzione. Significa rimuovere l’incertezza, o parte dell’incertezza legata alla visione del futuro e in questo senso cogliere le opportunità per la creazione e non per il depauperamento delle risorse e dei sistemi sociali a livello mondiale. Invertire l’asse del sistema che lega lo sviluppo dell’umanità al mondo e lo sviluppo delle società evolute rispetto al resto delle altre società, dove cioè si intende la ricchezza della civiltà umana come depauperamento dell’ambiente naturale, e la ricchezza di un gruppo sociale come depauperamento di tutti gli altri gruppi sociali. Pensare ad una idea di società dinamica che leghi positivamente l’umanità alla natura e i gruppi sociali tra loro significa avere una idea di civiltà che non è totalitarista ( o non lo è meno della società intesa come gioco a somma zero) ma che possa consentire agli uomini di vivere al di fuori del fango primordiale delle loro passioni di ricchezza ma pensare anche allo sviluppo futuro ordinato, illuminante e positivo.

In questo senso la politica economica come creazione di regole costitutive di una realtà oggettiva e condivisa è fondamentale non solo per la convivenza, ma anche per lo sviluppo dell’oltre capitalismo, poiché senza ricchezza di visioni umane, sociali, antropologiche, filosofiche, il capitalismo rischia di impoverirsi, di ripiegare su se stesso, di non avere le risorse umane per produrre il suo ulteriore cambiamento. Non bastano infatti le risorse naturali, e il capitale, ormai quelle ci sono a livello mondiale. Oggi quello che manca sono le idee. Le idee di società, le idee di evoluzione e il confronto tra queste che sia dialettico, dialogico e democratico.

Alcune domande sul rapporo tra il postmoderno e la globalizzazione

Nella sua introduzione all'opera "La condizione postmoderna" Lyotard fa riferimento alla condizione postmoderna come ad una determinante di tipo culturale che riguarda lo stato del sapere e della scienza. Egli infatti scrive:

"L'oggetto di questo studio è la condizione del sapere nelle società piiù sviluppate. Abbimo deciso di chiamarla posmtoderna." ( Lyotard , la condizone postmoderna, Milano, feltrinelli, 2007, pag. 5)


Ma perchè Lyotard fa riferimento al postmoderno come ad una condizione della cultura? Che cosa si intende per cultura? e come questa incide sull'ordinamento della globalizzazione?

Cerco di rispondere queste domande.

Secondo la definzione che ne dà l'Abbagnano, nel suo Dizionario di filosofia, la cultura può essere intesa in due modi:

"Il primo e più antico è quello per il quale significa la formazione dell'uomo, il suo migliorarsi e raffinarsi [...]. Il secondo è quello per cui esso indica il prodotto di questa formazione, e cioè l'insieme dei modi di vivere e di pensare [...] che si sogliono anhce indicare come civiltà." ( Abbagnano Nicola, Dizionario di Filosofia, Torino Utet, 1998)



Il postmoderno sarebbe dunque la caratteristica dominante ovvero la forma culturale egemonica della contemporaneità, che riguarderebbe sia la formazione che il suo prodotto esistenziale, individuale e di gruppo, la sua civiltà. Il postmoderno è la civiltà dell'uomo sorto dalla caduta degli idoli, la forza che forma antropologicamente l'homo novus, e ne sostiene la produzione sotto il punto di vista ideale ed economico.

In questo senso il postmoderno ha posto le basi della globalizzazione, ha fatto scaturire la globalizzazione, ma nello stesso tempo è la globalizzazione come prodotto della stesa civiltà postmoderna, come insieme di rapporti economici, di produzione, di scambio.

E' tuttavia pure avendo il postmoderno generato la globalizzazione, come formazione di una nuova civiltà, è difficile dire se il feedback di questa relazione sia ancora postmoderna. Oggi siamo nella fase in cui è la globalizzazione, come prodotto della condizione postmoderna, che deve esprimere la sua influenza sulla società stessa, ed in questo senso il quadro culturale potrebbe cambiare nuovamente in base alla risposta di feedback.

La cultura intesa come condizone del sapere genera gli elementi per l'affermazione di una civiltà concreta. Questa civiltà concreta produce degli atti e istituisce degli enti che modificano la cultura , intesa come condizione del sapere.

Ecco perchè per comprendere la globalizzazione è necessario comprenderne la premessa culturale, come condizione del sapere che è il postmoderno. E questo vale soprattutto per gli economisti, specie per quelli che si occupano di finanza e di commercio internazionale, oltre che di economia pubblica, che considerano nell'analisi economica e matematica, la variabile fondamentale costituita dall'esistenza di una civiltà egemonica che influenza lo stato del mercato, che cioè impone delle scelte, che in un certo senso comprime la libertà di scelta degli operatori del mercato. Una sorta di coscienza che interviene nelle scelte dell'homo oeconomicus e fa apparire più razionali talune scelte piuttosto che altre.

Si tratta di una consideraizone che può forse essere meglio compresa con riferimento ad altre epoche storiche, e ad altre condizioni politiche, economiche e culturali.

Per fare un esempio è come se si volesse analizzare il sistema economico sovietico , o il capitalismo, senza comprenderne la premessa culturale , vale a dire la condizione del sapere in quel contesto economico, che delinea un certo rapporto tra lo Stato ed il mercato, tra le imprese , le banche, gli enti pubblici e le scelte dei consumatori, dei lavoratori, dei risparmiatori. Tale variabile viene considerata , sia macroeconomicamente, come dominio esistenziale della funzione economica, che microeconomicamente, come risultante di un processo di analisi empirico e induttivo. Logicamente in modo univoco e matematicamente per il tramite di diversi percorsi, si giunge alla stessa scoperta, all'ammissione dell'esistenza di una variabile costituita dalla condizione del sapere , poichè questa incide a tutti i livelli sull'economia.

E allora con riferimento al sistema sovietico si dirà che esso è scaturito dal comunismo, dal marxismo-leninismo e dalle sue successive trasformazioni. In modo analogo per il capitalismo si dirà che esso sorge dalla premessa moderna del liberalismo, in tutte le sue diverse interpretazioni, dell'individualismo e dalla specializzaione del lavoro e dalla divisione dell'esistente.


Per lo stesso motivo sia che si voglia considerare la globalizzazione macroeconomicamente, che volendo analizzarla microeconomicamente, si addiviene alla variabile culturale, che risponde alla seguente domanda:

qual'è l'idealtipo, il concetto, l'idea guida, consapevole o implicita, che spinge i soggetti ad operare seguendo talune modalità? A scegliere di investire in un certo settore, piuttosto che in un altro, a creare un certo tipo di impresa , di marketing, di prodotto, a volere certi rapporti di lavoro o a creare certe forme di investimento o di finanziamento, a delinare un certo rapporto tra leggi economiche del mercato, norme informali e leggi giuridiche dello Stato?

Ebbene la risposta a questa domanda è nella condizione culturale, cioè nel sapere, e nel caso della globalizzazione questa condizione è il postmoderno.

La ragione per cui la globalizzazione è governata dalla governance tecnostrutturale, informale, libertaria, totalizzante, che produce annichilimento dello Stato-nazione, abbattimento delle barriere territoriali, ridefinizone degli enti giuridici economici e sociali, ricchezza e nuova disparità, è nel posmtoderno che ha consentito questa metodologia di organizzazione dell'ordinamento della globalizzazione, postmoderno che tuttavia, la globalizzazione tende a superare.

Il totalitarismo metodologico: il discrimine, la forma del concetto, il criterio di scelta

Lyotard, nel primo capitolo della sua opera, “La condizione postmoderna”, ragiona circa i cambiamenti cha hanno indotto il nuovo stato del sapere. Dal suo punto di vista il cambiamento si è manifestato nel corso degli anni Cinquanta attraverso una crescita dell’importanza della comunicazione e del ragionamento sul linguaggio in tutte le scienze anche se queste variazioni si sono manifestate con diversa intensità nei diversi sistemi economici e sociali, il che sostiene Lyotard, produce una certa discronia.
Dinanzi alle varie caratteristiche e diramazioni di questi percorsi, Lyotard preferisce comunque analizzare gli elementi che sono comuni.

In questo senso si sofferma sull’importanza del linguaggio:

“ Il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quarant’anni le scienze e le tecnologie cosiddette di punta vertano sul linguaggio […].”

Tutte le scienze, dice Lyotard, devono non solo procedere nella propria evoluzione, ma devono farlo in modo che il risultato di queste evoluzioni sia compatibile con una elaborazione informatica. Le scienze cioè devono potere comunicare tra di loro a mezzo di una forma economica, il bit , e questo porta ogni ambito della scienza, ad interrogarsi sul come rendere i risultati comunicabili. Tutto questo ha formalizzato un linguaggio metodologico, tale per cui prevede una riconnessione immediata del sapere ad altri saperi a mezzo di uno stesso linguaggio. Tuttavia il linguaggio influenza il contenuto del messaggio, sicchè si determina a mezzo dell’egemonia della logica informatica, fondata cioè sull’economia dell’informazione, una sorta di pensiero unico, che guida lo sviluppo della scienza, il quale pensiero non si definisce sotto un profilo qualitativo o ideale, ma puramente economicistico, metodologico, utile cioè allo sviluppo della scienza come risposta al bisogno dell’uomo.
Si addiviene così al postmoderno, essendo esso libertario ( cioè libero dall’alterità ), supera la concezione del valore-disvalore, e approda al metodologismo, finalizzato all’incremento delle posizioni di partenza, alla competizione.
Se il postmoderno fornisce la coscienza all’homo oeconomicus, cioè costituisce l’insieme delle scelte possibili, il totalitarismo metodologico, è quella forza che impone alla creatività e alla libertà, una determinata forma, come se esistessero delle funzioni tra gli elementi dell’insieme delle scelte possibili che dovrebbero essere sempre preferite rispetto ad altre. E questa logica è mutuata dall’economia del linguaggio, dall’informatica, ma in generale dalla scienza economica, che appunto si occupa di analizzare le scelte migliori, gli ottimi, date certe condizioni.

Dunque il totalitarismo metolodogico, cioè questa forma di comunicazione che definisce una caratteristica essenziale dell’ente , riducendo gli spazi ermeneutici, è :

• un discrimine: poiché è un limite, un elemento di selezione per indicare i confini dell’ordinamento;
• la forma del concetto: vale a dire una metodologia, ad alto valore aggiunto di conoscenza, attraverso la quale gli uomini esprimono se stessi e la scienza nel suo sviluppo, risolvendo il problema del rapporto tra forma e contenuto, nella meccanizzazione e regolamentazione del linguaggio;
• il criterio di scelta, ovvero la forza terza che domina la libertà degli uomini.

Il totalitarismo metodologico

PREMESSA


• Il postmoderno è la condizione esistenziale della contemporaneità dalla quale scaturisce la globalizzazione ( il postmoderno genera la globalizzazione)(1)
• Il postmoderno è la condizione della cultura e della scienza fondata sulla centralità del linguaggio ( il postmoderno rifiuta l’ideologismo ma si fonda sul metodologismo, ovvero sulla logica del metodo): (2)
• La globalizzazione, attraverso il rafforzamento degli enti privati e la strumentalizzazione oligarchica del FMI e del Wb, ha prodotto per l’ordinamento globale, un diritto informale, che non viene più posto nelle assemblee legislative democraticamente elette , ma deciso nei luoghi di contrattazione internazionale come il WTO. (3)
• Per giustificare l’esistenza di un mercato globale senza limiti, non limitato cioè da uno stato globale, gli economisti hanno trasformato il concetto di libertà liberale in quello di libertà libertaria, di stampo anarco-capitalista, un concetto secondo il quale l’azione individuale non deve incontrare limite alcuno, laddove invece i liberali non libertari, ritengono che la libertà individuale debba essere limitata per tutelare le imprese nascenti e la concorrenza contro le derive monopolistiche della libertà assoluta. (4)
• La tecnostruttura è l’insieme dei policy makers, dei burocrati della pubblica amministrazione e del management delle imprese, che governa la globalizzazione, attraverso l’ordinamento informale, cioè la governance della globalizzazione libertaria. (5)

IL RAGIONAMENTO



nell’età della globalizzazione, prodotta dalla condizione postmoderna, a causa della tendenza a trasformare il sapere in un gioco linguistico, a causa della esistenza di un processo di governance informale e libertaria derivante dalla liquidità della dimensione del potere, le decisioni vengono assunte non più sulla base di idee, ma di metodi, che corrispondo alla vittoria dei giochi ovvero alla ottimizzazione della teoria dei giochi,si determina così l’egemonia della scienza economica e la subordinazione dell’esistente al metodo migliore che è il totalitarismo metodologico.


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(1) Sul superamento della condizione dello Stato-nazione e sulla questione delle imprese globali come globa players Lyotard scrive “ Le istanze economiche hanno potuto mettere in pericolo quelle statuali a causa delle nuove forme di circolazione dei capitali, forma cui è stata data la denominazione generica di imprese multinazionali e che implicano la sottrazione almeno parziale del controllo sulle decisioni di investimento da parte degli Stati-nazione. Lyotard , La condizione posmtoderna, Feltrinelli, 2007, pag 15.
(2)“ il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quanrantanni le scienze e le tecnologie cosiddette di punta vertano sul linguaggio”, Lyotard, op. cit. pag 9.
(3) Cfr JOSEPH E.STIGLITZ , La globalizzazione e i suoi oppositori,Torino , Einaudi, 2004.
(4) Cfr Murray N. Rothbard, La libertà dei libertari, Catanzaro, Rubettino, 2000.
(5) Cfr John Kennet Galbraith, Il nuovo Stato industriale, Torino, Einaudi, 1967.

Il postmoderno come morte del soggetto

Relativamente ai cambiamenti nel governo dell’esistente, Lyotard descrive il passaggio dallo Stato come ente che contiene la società allo Stato come ente che fa parte della società, non più posto in una condizione di superiorità, ma di orizzontalità rispetto agli altri enti. Ecco che quindi si giunge ad un cambiamento della sfera della politica (1), come luogo della collettività, la politica non è più soltanto quella che si svolge negli enti pubblici ma è qualcosa di più grande da racchiudere anche lo stato-nazione moderno. L’ordinamento globale che così nasce è un superamento della dicotomia stato-privato, global player-stato-nazione, è superiore a queste entità, ma capace di rispettarne l’esistenza in una condizione di riconoscimento funzionale. Nello stesso tempo questa entità non ha più la caratteristica dell’essere moderno, chiuso , delimitato. Ma è aperto, una sorta di democrazia degli enti, ciascuno valutato secondo la sua funzionalità economica, la sua efficienza, in base all’efficienza, nel governo tecno-strutturale del totalitarismo metodologico.
Il totalitarismo metodologico raggiungerebbe così la sua piena autonomia essendo adiaforizzato.
Gli enti cioè sono tutti validi , purchè siano funzionali ed efficienti, a prescindere dalla propria natura. Troviamo orizzontalmente disposti, le multinazionali, gli stati-nazione, le istituzioni religiose, i movimenti e partiti politici, il terzo settore, il movimento a difesa del lavoro, dei cittadini e del risparmio. Tutti sullo stesso piano. Il postmoderno è morte del soggetto. Il soggetto non ha più importanza qualitativa, ma solo funzionale, ha cioè importanza come oggetto. E in base a questo decide l’andamento dell’ordinamento della globalizzazione sulla base di quella che è la funzionalità del metodo unico, del totalitarismo metodologico, egemonia della scienza economica.

Il totalitarismo metodologico

PREMESSA


• Il postmoderno è la condizione esistenziale della contemporaneità dalla quale scaturisce la globalizzazione ( il postmoderno genera la globalizzazione)(1)
• Il postmoderno è la condizione della cultura e della scienza fondata sulla centralità del linguaggio ( il postmoderno rifiuta l’ideologismo ma si fonda sul metodologismo, ovvero sulla logica del metodo): (2)
• La globalizzazione, attraverso il rafforzamento degli enti privati e la strumentalizzazione oligarchica del FMI e del Wb, ha prodotto per l’ordinamento globale, un diritto informale, che non viene più posto nelle assemblee legislative democraticamente elette , ma deciso nei luoghi di contrattazione internazionale come il WTO. (3)
• Per giustificare l’esistenza di un mercato globale senza limiti, non limitato cioè da uno stato globale, gli economisti hanno trasformato il concetto di libertà liberale in quello di libertà libertaria, di stampo anarco-capitalista, un concetto secondo il quale l’azione individuale non deve incontrare limite alcuno, laddove invece i liberali non libertari, ritengono che la libertà individuale debba essere limitata per tutelare le imprese nascenti e la concorrenza contro le derive monopolistiche della libertà assoluta. (4)
• La tecnostruttura è l’insieme dei policy makers, dei burocrati della pubblica amministrazione e del management delle imprese, che governa la globalizzazione, attraverso l’ordinamento informale, cioè la governance della globalizzazione libertaria. (5)

IL RAGIONAMENTO



nell’età della globalizzazione, prodotta dalla condizione postmoderna, a causa della tendenza a trasformare il sapere in un gioco linguistico, a causa della esistenza di un processo di governance informale e libertaria derivante dalla liquidità della dimensione del potere, le decisioni vengono assunte non più sulla base di idee, ma di metodi, che corrispondo alla vittoria dei giochi ovvero alla ottimizzazione della teoria dei giochi,si determina così l’egemonia della scienza economica e la subordinazione dell’esistente al metodo migliore che è il totalitarismo metodologico.


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(1) Sul superamento della condizione dello Stato-nazione e sulla questione delle imprese globali come globa players Lyotard scrive “ Le istanze economiche hanno potuto mettere in pericolo quelle statuali a causa delle nuove forme di circolazione dei capitali, forma cui è stata data la denominazione generica di imprese multinazionali e che implicano la sottrazione almeno parziale del controllo sulle decisioni di investimento da parte degli Stati-nazione. Lyotard , La condizione posmtoderna, Feltrinelli, 2007, pag 15.
(2)“ il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quanrantanni le scienze e le tecnologie cosiddette di punta vertano sul linguaggio”, Lyotard, op. cit. pag 9.
(3) Cfr JOSEPH E.STIGLITZ , La globalizzazione e i suoi oppositori,Torino , Einaudi, 2004.
(4) Cfr Murray N. Rothbard, La libertà dei libertari, Catanzaro, Rubettino, 2000.
(5) Cfr John Kennet Galbraith, Il nuovo Stato industriale, Torino, Einaudi, 1967.

Il Postmoderno ha prodotto la globalizzazione libertaria

Il superamento della condizione dello Stato nazione (1) , conduce ad una società nell’ambito della quale l’assenza dello stato, della comunità politica, l’inesistenza di un confine territoriale-giuridico-militare, inducono gli uomini in una condizione di isolamento, di solitudine,libertaria .I legami tra gli uomini, non sono più morali, o religiosi, né giuridici, ma di efficienza e di scambio. Per questa via si passa dal concetto di popolo, a quello di massa , a quello di moltitudine. Con l’apertura di quella gabbia protettiva ma anche oppressiva dello Stato- moderno, l’uomo è tornato libero, ma non alla libertà civile, della società della comunità,della polis, ma alla libertà anarchica in una specie di stato di natura capitalista, in una giungla di mercato, nella quale vive senza bisogno alcuno di totem e riferimenti, di dialogo e di discussione, ma solo nel tentativo di accrescere la propria personale ricchezza , come maggiore certezza del proprio futuro,come elemento per combattere la paura esistenziale. L’uomo del postmoderno ha abbattuto anche i simboli laici, i totem m della democrazia, si avverte come elemento in una rete, margine di una ulteriore posizione di ottimizzazione, non ha identità soggettiva, ma solo oggettiva e legata ai risultati delle proprie azioni.


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(1) <<>>, Lyotard, La condizione postmoderna,Milano, Feltrinelli, pag. 31

….“è finita la modernità liquida” disse l’uomo sull’albero maestro. Ma cosa ci faceva li?....

COME IL POSTMODERNO E’ DIVENUTO IL RECINTO DELL’OLTRE UOMO


Molti autori sostengono che la contemporaneità che tutti noi viviamo (1) , questa condizione dalla quale scaturirebbero le nostre azioni, i nostri pensieri a livello subliminale, come se si trattasse di un grande inconscio in cui tutti siamo immersi, una sorta di lago (2) in cui ci bagniamo,ci tuffiamo o che temiamo per i “mostri” che lo abitano, sarebbe postmoderna o della modernità liquida (3).


Una delle caratteristiche della condizione postmoderna è la sua invisibilità da lontano e la sua inconsistenza da vicino. L’unica cosa che possiamo dire è che essa è bagnata, nel senso di liquida, cioè la avvertiamo come sensazione ma essa è intangibile, non rappresentata ma soltanto percepita una volta attraversata, è appunto una condizione, uno stato dell’essere.

In questa condizione gli uomini sembrano vivere senza riferimento alcuno. Gli uomini hanno rovesciato i valori in disvalori e ora tra i primi e i secondi non sanno più come scegliere. Nell’incertezza li ammettono tutti, purchè rispettino la regola dell’assenza di gerarchia valoriale. Tutti sullo stesso piano. Il postmoderno abbatte le distanze e le differenza, da quando poi ha prodotto la globalizzazione è chiaro a tutti che il mondo è piatto.(4)



Non vi sono più modelli da seguire, idoli che impongano paura per distribuire sicurezza, stelle che possano tracciare la rotta, capi da imitare e rispetto ai quali porsi in una condizione di subordinazione o di alternativa, non vi sono più contrasti, forze che si premono, ma tutto è così appunto immerso nel liquido. Le idee, i movimenti, le azioni, a volte sono onde sul lago, altre volte correnti dello stesso, ma finiscono, si mescolano si placano, smettono ad agire come forze autonome si interelazionano, si configurano diventano parte della condizione, sono il postmoderno.


E pur tuttavia esse comunicano tra di loro condividono uno stesso flusso di comunicazione. Tale flusso è costituito dai giochi logico-matematico-formali, cioè da una metodologia attraverso le quali le parti del tutto tendono a rafforzarsi, a vincersi nello scontro, cercando di assumere maggiore consistenza. Tale linguaggio, è totalitaristico, poiché limita la libertà di espressione delle parti, e così facendo veicola anche i contenuti che esse possono comunicare. Il linguaggio formale infatti ha la capacità di modificare fortemente il contenuto che attraverso esso è possibile produrre e veicolare. Si crea così una comunicazione governata da una forza superiore, il totalitarismo metodologico, che è il metodo della comunicazione che però nello stesso tempo definisce anche il requisito per l’esistenza degli enti comunicanti e dell’oggetto comunicato. Se non si accettano le regole metodologiche non si esiste, gli enti sono privi di forza, non si ritrovano cioè come conseguenza della condizione postmoderna, sono fuori del lago e diventano oggetti comuni, già vissuti, “moderni “ nel senso più spregiativo del termine.

Tuttavia il totalitarismo metodologico, il metodologismo logico-formale è la fine della modernità liquida. Indica cioè il suo confine, il suo recinto il suo limite territoriale.

Non c’è più quindi un racconto, una massa, un gruppo, ma l’isolamento delle singoli parti, configurabile in diversi modi che oltre una certa densità si fa moltitudine. Le parti ovviamente si combinano economicamente, secondo le regole dell’efficienza, le parti sono subordinate al governo del totalitarismo metodologico.

<<>> (5)


Questa condizione della linguistica, è tale per cui la comunicazione non è più uno strumento della percezione dialogica (6), ma è posta in una dinamica competitiva. La parola, strumentalizzata nella perdita del senso valoriale (7) , è un’arma da utilizzare per vincere nel gioco linguistico contro l’avversario. L’uomo “oltre-uomo” avendo messo sullo stesso piano valori e disvalori li unisce, li connette secondo il criterio dell’efficienza, per creare tecniche, tecnologie, oggetti economicamente normati, che possano accrescere la propria condizione di sicurezza, il proprio benessere attribuendo uno status superiore rispetto agli altri uomini. Nella metodologia di costruzione di questa infrastruttura tecno-economica egli incontra il limite, il proprio recinto, quelll’assenza di meta narrazioni che è il postmoderno non ha libera l’uomo, ma lo ha sottoposto ad una prigionia ancora più forte, poiché ceca e subliminale, disumana nella sua determinazione sociale, ovvero il totalitarismo metodologico esercitato per il tramite del governo della tecnostruttura.



I valori e i disvalori sono dunque la materia con cui si costruisce, sotto le regole del totalitarismo metodologico, la strumentazione di dominio e di controllo della ricchezza ,dei territori e delle istituzioni. Si tratta di una impostazione che non accetta altra determinazione valoriale che il dominio e l’egemonia di un uomo sull’altro uomo , poiché in questi casi non si può dire che vi sia un dialogo, con descrizione di una idea, ma piuttosto una gara, e quindi l’impostazione di una situazione i cui a somma zero, v’è chi vince e chi perde. In questa dimensione non può esistere una dimensione pubblica o politica, con riferimento al governo della città, dei beni comuni, perché il gioco a somma zero spinge gli uomini alla privatizzazione alla cacciata di altre donne e uomini alla costruzione di enti privati o di beni da club-tribali.


Si è persa dunque nel postmoderno , come annichilimento della comunicazione attiva e morte del soggetto la funzione dialogica liberale-non liberista (8) , di derivazione classica.



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(1)Anche se non contemporaneamente, ma più che altro contiguamente, sicchè sarebbe possibile parlare di contuiguitaneità.
(2) Perché abbiamo definito la condizione postmoderna come un lago e non come un fiume o come un mare, o un oceano? Essa è un lago perché non tutti la vedono, è elitaria nella sua determinazione esistenziale, è la coscienza di quei pochi uomini che svolgono la funzione del governo della globalizzazione. Essa non è un fiume, perché non scorre, dalla montagna alla valle, cioè non individua un ordinamento gerarchico della società, o una idea di progresso storico. Essa non è un mare né un oceano, perché non è così fruibile a tutti gli uomini né così ricca di nutrimento, avendo il postmoderno creato la globalizzazione che ha aumentato la disuguaglianza sociale.
(3) Sulla concezione della modernità liquida confrontare Zygmut Bauman, La modernità liquida, Bari, Laterza,2006 , sulla concezione del postmoderno confrontareJean Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2002.
(4)Cfr Thomas L. Friedman, Il mondo è piatto, Milano, Mondandori, 2007.
(5) Lyotard, “la condizione postmoderna”, Milano, Feltrinelli, 2007, pag 6.
(6)Il dialogo viene realizzato avendo attenzione non per la vittoria del gioco linguistico ma per la creazione di una idea comune, attivando la sfera della politica, si accetta l’idea che si possa delineare una idea della collettività, che aggiunga valore a tutti e non solo al singolo o al gruppo vincitore del gioco linguistico, si delinea la condizione del gioco a somma positiva, una prospettiva pragmatica di pacificazione umana.
(7)Relativismo gnoseologico su cui si fonda il postmoderno come incredulità delle meta-narrazioni, cfr Lyotard, op. cit.
(8)Ci si potrebbe domandare a questo punto se è possibile l’esistenza di una società liberale e non liberista. Ebbene dobbiamo dire che certamente si tratta di una possibilità concreta in cui esistano le libertà individuali politiche e non in modo altrettanto forte le libertà individuali economiche legate alla dinamica del capitalismo. Per esempio le società democratiche precapitalistiche erano liberali e non liberiste. Del resto è possibile che esista anche il liberismo senza liberalismo come accade in questo momento storico in cui esistono le libertà economiche ma non le libertà politiche, le quali non possono coesistere con la determinazione della società senza Stato tipica del libertarismo.

Globalizzazione

La Banca mondiale definisce la globalizzazione come "the growing integration of economies and societies around the world".
Si tratta di una definzione stringata di globalizzazione che tuttavia capta il significato essenziale della stessa. La globalizzazione è innanzitutto un fenomeno di crescente integrazione a livello mondiale.

Libertarismo

Il libertarismo è una corrente di pensiero che afferma contemporanenamente la centralità dell'individuo dotato di libertà assolute e non comprimibili, la difesa della proprietà privata come diritto essenziale, la lotta allo Stato inteso come pubblico potere che limita la libertà individuale e di impresa e usurpa la proprietà privata.
Per il libertario la libertà individuale è senza limiti e si accompagna al diritto di proprietà e alla libertà di impresa che non sono "diritti economici" ma assurgono alla funzione di valore morale.
Il libertarismo si distingue in due branche una moderata, il minimal state, e l'altra estremista, l'anarco-capitalismo.
La differenza tra le due consiste nel fatto che mentre nel minimal state si accetta che lo Stato svolga alcune funzioni consistenti nell'amminisgtrazione della giustizia e nel mantenimento dell'ordine interno, tutelando cioè i contratti e la proprietà privata , nell'anarco-capitalismo si pensa che anche queste funzioni debbano essere privatizzate e sottoposte al mercato.
Nonostate i libertarti si intendano come continuatori della tradizione liberale è necessario sottolineare che questa affermazione deve essere rigettata certamente per l'anarco-capitalismo ma anche per le forme più marcate di minimal state, il minimal state di partenza, poichè esse tutte si fondano sul principio della estromissione dello Stato dall'economia e sull'assenza di diritti di alterità.
Nel pensiero liberalista-liberale invece lo Stato deve intervenire nel mercato per tutelare l'impresa nascente e la libera concorrenza dal pericolo di monopolio e di oligopolio, e del resto nel liberismo-liberale il diritto alla libertà individuale è un bene pubblico tutelato dallo Stato, laddove nel libertarismo è compito del singolo tutelare se stesso.

Il minimal state come partenza

L'approdo al minimal state è tipico della tradizione liberale-liberista e cioè classica perchè in questa analisi si parte dal dato di fatto che l'economia è compressa dal controllo dello Stato inteso in senso moderno.
In effetti l'analisi dei classici ( Smith, Ricardo, Mill e coloro i quali si richiamano ad essi compreso Voh HAyeck e SChumpeter), partiva da una realtà storica in cui lo Stato non consetiva alle imprese, alle banche, ai commercianti, agli imprenditori e alla loro microeconomia, di svilupparsi in modo autonomo.
Lo stato tendeva a comprimere l'economia di mercato nel tentativo di conservare lo status quo, rappresentato per lungo tempo dai proprietari terrieri, di miniere, e dalle compagnie di import-export pdi proprietà pubblica e dall'aristocrazia di rango oltre che dai funzionari/notabili dello Stato.
Partendo da questa situazione reale i sostenitori del liberalismo classico pensarono di liberare le forze attive dela società borghese, approdando al minimal state, chiedendo cioè allo Stato di ridurre la propria sovranità in materia economica.
Tuttavia il minimal state come approdo nella tradizione classica richiede allo Stato Moderno di impiegare le risorse derivanti dal pagamento delle imposte per la fornitura dei servizi essensiali, dell'istruzione, dell'amministrazione della giustizia, del controllo dell'effettiva presenza di libertà politiche, e del controllo del libero mercato contro il monopolio e l'oligolpolio, della ricerca e dello sviluppo dell'impresa nascente

Il minimal state come partenza

Partire, nell'analisi economica, da una prospettiva di minimal state significa svolgere il proprio pensiero di politica economica in una ottica libertaria.
Si accetta cioè l'esistenza dello Stato ma solo come una presenza momentanea nell'attesa della sua definitiva sottomissione al mercato e della sua estinzione storica.
Sostenere il minimal state come punto di partenza non significa partire dal minimal state che costituisce l'approdo dei classici, ma piuttosto partire da una analisi libertaria.
I sostenitori del minimal state di partenza pensano infatti che lo Stato non debba svolgere funzioni di controllo del mercato ma debba solo garantire l'amministrazione della giustiza per tutelare i contratti e la proprietà privata nell'aspettativa di una privatizzazione totale della società.

Postmoderno/condizione postmoderna

Il postmoderno è l'incredilità nei confronti delle metanarrazioni.( Lyotard)
In sintesi si tratta della mancanza di autorevolezza del pensiero e delle azioni "forti" cioè delle visioni e delle politiche militari ed economiche totalizzanti la sostanza della società, che hanno cioè un progetto preciso di cosa deve essere la società intesa nel suo complesso e la direzione che essa deve prendere.
Tuttavia la condizione postmoderna rischia di essere puramente formale perchè l'assenza di credibilità nelle metanarrazioni si accompagna alla presenza di una fede cieca nella tecnica e nella sua pragmatica logico-matematica formale, vale a dire nel totalitarismo metodologico, al quale oggi si demanda il controllo di ogni aspetto della vita umana.
Si è passati cioè da una società orientata a progetti comuni e condivisi ( comunismo, fascismo, emancipazioni umaniste) ad un relativismo in cui l'individuo non mette in discussione la società, ma chiede di essere soddisfatto nelle sue aspettative personali attraverso l'acquisto e il consumo di "metodologie" per il raggiungimento della felicità e del benessere individuale inteso come autonomo, assoluto, slegato dalla felicità altrui o dalla concezione del benessere generale.
Queste metodologie sono derivate dalla scienza economica, ovvero dalla disciplina che viene utilizzata per il governo dell'esistente dai soggetti della global governance tecnostrutturale, che ha imposto come unico criterio di scelta "l'efficienza razionale" dell'homo oeconomicus, la quale si impone erga omnes come nuovo totalitarismo, il totalitarismo metodologico.

Quale ruolo per la filosofia?

OVVERO COME OVVERO COME LA FILOSOFIA TAPPA I BUCHI DELLE ALTRE SCIENZE ATTRAVERSO UNA COSTANTE LACERAZIONE DI SE STESSA. (1)


Lyotard nella introduzione alla sua opera sostiene che il postmoderno è la condizione del sapere che si è venuta a creare nell’ambito della filosofia intesa come filosofia dell’uomo ovvero concezione unitaria della vita dell’uomo. Questa concezione unitaria non è più fruibile, non è più ammissibile.

La scienza ha bisogno della filosofia perché la seconda legittima la prima.
E tuttavia l’evoluzione del sapere scientifico, che è una funzione del sistema economico , impone allo scienziato la distruzione di una certa filosofia legata ad una certa scienza precedente, rispetto alla quale si vuole cioè realizzare una evoluzione.

Ne deriva che la filosofia perde di credibilità se intesa come visione totale della vita dell’uomo, e allora sono possibili microfilosofie funzionalizzate le cui dinamiche di sviluppo sono legate rispetto alla evoluzione della scienza che è variabile dell’economia.(2)
La filosofia dirime cioè le contraddizioni che esplodono nella contemporaneità, nella contiguitaneità che è costituita nel dominio dell’economia.
L’economia rende la filosofia utile nel momento in cui occorre la ricerca scientifica, poiché essa dirime le contraddizione, le aporie, le lacune tra logica e matematica, ed utile nel momento in cui le innovazioni tecnologiche giungono nel mercato poiché essa, manifestandosi come semiologia, conduce le moltitudini degli uomini-oggetti unitari, soggetti frammentati, a comprendere le utilizzazioni e il feedback sulla vita personale e associata, l’economia rende ancora utile la filosofia quando questa fornisce la giustificazione del potere egemonico per il tramite del concetto di libertà.
La filosofia è una insieme di proposizioni, di segni, di indicazione, una fabbrica di idealtipi, frammentata, che cerca tuttavia di coniugare enti dell’esistenza difficilmente unificabili, ma senza riuscirci fino in fondo, essendo infatti anch’essa sottoposta a quella specializzazione funzionale che consente alla filosofia di svolgere solo il proprio compito e nulla di più, non può più essere enciclopedia, sistema unico, visione della vita, pure continuando a rispondere a domande alle quali il mondo della scienza non ha ancora risposto logicamente o matematicamente, pure continuando a svolgere una funzione ermeneutica rispetto all’innovazione tecnologica, e pure continuando a svolgere una funzione prodromica rispetto alla conservazione del sapere-potere.

La filosofia tenta dunque di unificare parti di conoscenza nelle diverse fasi della evoluzione delle stesse all’interno della produzione economica. Ma in questo tentativo essa si specializza perdendo se stessa. Le fratture che si creano tra le diverse branche della filosofia non sembrano ricubili, e lasciano spazio ad altre funzioni quali per esempio quella teologica, e quella mistica intesa in senso ampio, che oggi ritornano ad avere un significato di vero collante per macrostrutture che tendono ad essere totalizzanti, ma che in realtà non lo sono.

L’unico elemento che possiamo ritrovare in ogni dimensione della vita è quel totalitarismo metodologico, che è un insieme “efficiente” (3) di società aperta e specializzazione e che riguarda il complesso delle azioni sia micro che macro, che riguarda l’uomo, le istituzioni pubbliche, le imprese private, oltre che le associazioni del terzo settore, che divide la società, dissipa la cultura, seziona gli enti , vero strumento di controllo a disposizione della global governance tecno strutturale.











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(1) CONSIDERAZIONI SUPERFICIALI SUGGERITE DALL’AVERE SBIRCIATO NELL’INTRODUZIONE ALL'OPERA LA CONDIZIONE POSTMODERNA DEL FILOSOFO LYOTARD.

(2) E’ evidente che nessuno scienziato può sperare di realizzare ricerca scientifica senza le risorse finanziarie necessarie e senza la protezione accordata dalla istituzione, pubblica o privata, presso la quale opera.

(3) Cioè che persegue un obbiettivo chiaro, vale a dire scalare la classifica quantitativa, vincere le competizioni tra gli enti, e che tuttavia non è una definizione neutrale, ma più che altro di carattere conservativo, poiché utile all’esistente e non ad una sua possibile alternativa. Vale a dire che gli enti della globalizzazione ( imprese, Stato, organizzazioni, moltitudini) si scontrano quantitativamente, cercando di ottenere maggiore potere.

IL GIOCO A SOMMA ZERO COME SCELTA INNATURALE


Cerchiamo di mostrare la fallacia della seguente proposizione

1. CHE POSSANO ESISTERE,COME NECESSITA', DEI GIOCHI FINITI QUANTO A RISORSE PRESENTI.

QUESTO E’ VERO MA SOLO SE IPOTIZZIAMO :
a) L’ESISTENZA DELLO STATO CHE CREA CONFINI E LIMITI MATERIALI;
b) L’ESISTENZA DEL GRANDE PREDATORE CHE SOTTRAE RISORSE ACCUMULANDOLE E IMPEDENDO UNA AMMINISTRAZIONE DEI BENI PUBBLICI ADEGUATA.

IPOTESI NUMERO UNO: PRESENZA DELLO STATO-MODERNO


a)LO STATO MODERNO LIMITA, HA NECESSITA’ DI STABILIRE DEI CONFINI ENTRO I QUALI ESERCITARE LA PROPRIA SOVRANITA’, E QUINDI SOTTRAE RISORSE ALLA COLLETTIVITA’ RECANDOLE PRESSO DI SE’ TENTANDO DI IDENTIFICARSI CON LA COLLETTIVITA’ STESSA.
QUESTO TENTATIVO RISULTA FALLIMENTARE, POICHE’ LA SOCIETA’ PURE AVENDO BISOGNO DI UN TOTEM ( LO STATO ) HA BISOGNO ANCHE DI PORSI IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO AD ESSO IN MODO TALE DA POTERSI IDENTIFICARE NEL MOMENTO OPPORTUNO QUANDO CIOE’ LE DONNE E GLI UOMINI SI SUBLIMANO NEGLI ENTI COLLETTIVI, NELLA GIUSTIZIA, NELL’ORDINE, NELLA PACE, NELLA FORZA, NELLA SICUREZZA.
PER FARE CIO’ LA SOCIETA’ HA BISOGNO DI SENTIRSI POSTA IN UNA CONDIZIONE DI ALTERITA’ RISPETTO ALLO STATO , A LIVELLO ONTOLOGICO, PURE ACCETTANDO DI ESSERE UNA DIMENSIONE SUBORDINATA QUANDO NASCE IL BISOGNO DEL TOTEM.

E TUTTAVIA QUANDO QUESTO ACCADE LO STATO LIMITA LE RISORSE E QUINDI IN SOSTANZA DISPONE LE PREMESSE PER QUEL GIOCO A SOMMA ZERO CHE COSTITUISCE LA LOTTA PER IL POTERE, PER L’IMPOSIZIONE ALLA SOCIETA’ DELL’UNICO TOTEM POSSIBILE. ECCO DUNQUE CHE LO STATO CREA LE PREMESSA PER IL GIOCO A SOMMA ZERO, UN GIOCO CON RISORSE FINITE CHE IMPONE ALLA SOCIETA’ UNO STATO DI MOBILITAZIONE PERMANENTE, CON DIVERSA INTENSITA’ RISPETTO AL TIPO DI SOCIETA’, DEL COMPLERSSO DEI GIOCATORI CHE SONO PRESENTI NEL GIOCO A SOMMA ZERO.

IPOTESI NUMERO DUE: LA PRESENZA DEL GRANDE PREDATORE


b) IL GRANDE PREDATORE E’ QUELL’ENTE ( ISTITUZIONE O COMPLESSO DI INDIVIDUI ) O QUELL’INDIVIDUO , TALVOLTA PUO’ ESSERE ANCHE LO STATO , CHE SOTTRAE RISORSE PUBLICHE AD UNA COLLETTIVITA’, ALLOCANDOLE PRESSO DI SE’ ATTRAVERSO LA MERA ACCUMULAZIONE. IL GRANDE PREDATORE CREA CIOE’ UN TRADE OFF TRA LE RISORSE CHE EGLI POSSIEDE ( RISORSE NATURALI, FINANZIARIE, MILITARI, SCIENTIFICHE, CAPITALE UMANO) E LE RISORSE CHE RIMANGONO A DISPOSIZIONE DELLA SOCIETA’. COSI’ FACENDO CREA UNA LIMITAZIONE DELLE RISORSE, CHE NON E’ NATURALE MA E’ VOLUTA, E SI GIUNGE IN UNA DINAMICA DI GIOCO A SOMMA ZERO, CON LA CONSEGUENTE TENSIONE NELLA SOCIETA’ PER ACCAPARRARSI LE RISORSE, QUEL CONFLITTO CHE SPINGE INEVITABILMENTE ALL’HOMO HOMINI LUPUS, PER L’ACCUMULAIZONE DI BENI MATERIALI E DI RICCHEZZA PERSONALE.


E’ evidente che l’ipotesi della presenza di un gioco finito quanto a risorse presenti è appunto una ipotesi che viene imposta una condizione accettata dalla società. I membri della collettività si organizzano, più o meno consapevolmente, come giocatori del gioco a somma zero, nel primo caso per l’acquisizione del potere, metaforicamente l’innalzamento del proprio totem, nel secondo caso attraverso la lotta competitiva, nel tentativo di essere il più grande tra i grandi predatori.

Tuttavia queste non sono necessità, ma scelte.L’errore consiste nell’accettare queste rappresentazioni della realtà come naturali. Occorrerebbe invece comprenderne l’artificiosità e disinnescare le cariche negative che in esse sono presenti , dimodochè permangano solo gli elementi utili alla società che nel primo caso sono costituiti dall’ordine, dalla giustizia, dalla sicurezza, e nel secondo sono rappresentati dall’ingegno e dal benessere materiale, le quali circostanze andrebbero unite alla consapevolezza che il gioco a somma zero non esiste nella realtà naturale, ma è una convenzione sociale, che si accetta per potersi meglio concentrare nella determinazione materiale della propria esistenza. Si potrebbe dunque eliminare la tensione alla guerra e al cannibalismo politico-economico militare.

IL PIL E IL CONCETTO DI MINIMA RICCHEZZA PER L’APPLICAZIONE DELLA MACROECONOMIA

Molte economie dei paesi in via di sviluppo e dei paesi sottosviluppati, vivono condizioni di disagio totale, assoluto. La povertà è tale che essi non hanno di che mangiare, di che nutrirsi, non vivono, non hanno accesso all’umanità, costretti al subumano vivono il quasi-animale. In queste circostanze le persone distrutte dalla fame, dalla sete, dagli stenti, senza riferimenti alcuni, non riescono a progettare, a pensare al futuro ad un impiego civile delle proprie energie. Ed invero chiedere tutto questo a chi non ha di che sostentarsi quotidianamente è lucida follia. Tuttavia anche in queste circostanze si utilizzano i concetti tipici dell’economia e si cerca di convincere la gente che l’inflazione potrà ridursi, che il Pil potrà aumentare, che vi potrebbero essere in futuro nuova ricchezza, occupazione e benessere. SI tratta di politiche economiche e di comunicazione istituzionale fallimentari. Esiste un punto di non ritorno oltre il quale la possibilità da parte delle persone di comprendere l’economia nel suo complesso è inesistente e solo la rabbia, la frustrazione, la necessità, dominano le azioni degli individui. E allora l’assenza della forza civilizzatrice dell’economia appare nella sua più evidente manifestazione in quanto in questi casi tutto viene distrutto, e si perde anche la possibilità di realizzare uno sviluppo per il futuro. E quindi occorre domandarsi: in questi casi, quando le economie non hanno accesso alla civiltà, quando cioè non hanno abbastanza risorse per la concretizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo, ha senso applicare le variabili macroeconomiche che generalmente si usano per le economie forti e sviluppate? In realtà le sei variabili macroeconomiche fondamentali non dovrebbe essere applicate ai paesi in via di sviluppo che non abbiano certi limiti di ricchezza in termini di PIL e PIL procapite, in cui manchino cioè beni, strutture e libertà e diritti fondamentali. I questi casi occorrerebbe utilizzare altri criteri e in generale occorrerebbe creare una struttura macroeconometrica e di contabilità di Stato per i paesi in via di sviluppo.

PERCHE’ INTRODURRE UN’ALTRA STRUTTURA DI VALUTAZIONE MACROECONOMETRICA PER LE ECONOMIE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO?

Usare queste strutture macroeconometriche differenziate per i paesi in via di sviluppo è utile perché abbatte l’idea tipicamente occidentale, secondo la quale queste economie si devono necessariamente organizzare come le economie più sviluppate, e nel contempo, impedisce di organizzare paralleli e confronti tra enti che non sono paragonabili tra loro. Si tratta di un fatto fondamentale. Gran parte dei problemi dell’economia e della scienza economica si fondano sul concetto di misura. Gli economisti da sempre hanno cercato misure totalizzanti, cioè hanno sempre cercato di definire una unità di misura che potesse essere utilizzata erga omnes, come strumento unico per attribuire valori agli enti economici. Una idea che ha visto contrapposti i sostenitori del valore-lavoro, ai sostenitori del’utilità marginale ai sostenitori delle rivoluzioni qualitative e così via. E’ chiaro che la teoria della misura è un elemento fondamentale nell’economia,poiché senza misura non si accede al gioco economico, non ci si può porre il problema dell’ottimizzazione, del migliore utilizzo delle risorse scarse, non si posso fare stime, non si può creare la recinzione che distingue l’economia civile dallo stato di natura, non v’è amministrazione, non c’è governo. E tuttavia nonostante l’avvento del Postmoderno abbia indotto le scienze a rinunciare ad uno statuto epistemologico deterministico in favore di uno relativistico, l’economia ha conservato l’idea che si possa trovare una chiave di volta per spiegare il valore. Gli economisti sono ancora convinti di potere trovare la Misura, il Metro grazie al quale potere valutare, controllare e governare il mondo della produzione, della distribuzione e dell’accumulazione della ricchezza prodotta dagli uomini e dalle macchine.

Ebbene se in realtà è difficile trovare un Metro unico, che possa concretamente essere utilizzato per classificare le economie,è più facile accettare l’idea che esistano delle differenze tra economie, e che queste differenze tra economie vengano determinate attraverso diverse variabili macroeconomiche che siano definite in base ad un Dominio, ad un Campo di Esistenza. L’ordinalismo delle misure potrebbe così essere una soluzione per distinguere, ordinare, le economie mondiali e realizzare delle politiche economiche.

Nei paesi valutati al di sotto della possibilità di applicazione del Dominio delle variabili macroeconomiche classiche si potrebbero applicare modelli nuovi , che magari prevedano impatti e correlazioni su variabili diverse da quelle tradizionalmente utilizzate per i paesi ricchi, come per esempio sulla demografia, sulla popolazione, sul clima, sui servizi, sulla crescita del capitale umano così fondamentale nelle economie sottosviluppate o in via di sviluppo.

Usare una struttura macroeconomica appositamente calibrata per le economie in via di svilupppo potrebbe evitare, uno degli errori cha ha guidato la Globalizzazione nel periodo del Washington Consensus, ovvero applicare ai paesi poveri quelle politiche economiche che funzionano bene nei paesi ricchi.

Poiché ogni politica economica deve essere calibrata sulla condizione dell’economia in una particolare condizione geografica, sociale, culturale, antropologica, non potendo esistere omologazioni e passaggi al limite, o accelerazioni eteronome sul cammino della civilizzazione, in assenza di creazione delle condizioni fondamentali per lo sviluppo della ricchezza.