Molte economie dei paesi in via di sviluppo e dei paesi sottosviluppati, vivono condizioni di disagio totale, assoluto. La povertà è tale che essi non hanno di che mangiare, di che nutrirsi, non vivono, non hanno accesso all’umanità, costretti al subumano vivono il quasi-animale. In queste circostanze le persone distrutte dalla fame, dalla sete, dagli stenti, senza riferimenti alcuni, non riescono a progettare, a pensare al futuro ad un impiego civile delle proprie energie. Ed invero chiedere tutto questo a chi non ha di che sostentarsi quotidianamente è lucida follia. Tuttavia anche in queste circostanze si utilizzano i concetti tipici dell’economia e si cerca di convincere la gente che l’inflazione potrà ridursi, che il Pil potrà aumentare, che vi potrebbero essere in futuro nuova ricchezza, occupazione e benessere. SI tratta di politiche economiche e di comunicazione istituzionale fallimentari. Esiste un punto di non ritorno oltre il quale la possibilità da parte delle persone di comprendere l’economia nel suo complesso è inesistente e solo la rabbia, la frustrazione, la necessità, dominano le azioni degli individui. E allora l’assenza della forza civilizzatrice dell’economia appare nella sua più evidente manifestazione in quanto in questi casi tutto viene distrutto, e si perde anche la possibilità di realizzare uno sviluppo per il futuro. E quindi occorre domandarsi: in questi casi, quando le economie non hanno accesso alla civiltà, quando cioè non hanno abbastanza risorse per la concretizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo, ha senso applicare le variabili macroeconomiche che generalmente si usano per le economie forti e sviluppate? In realtà le sei variabili macroeconomiche fondamentali non dovrebbe essere applicate ai paesi in via di sviluppo che non abbiano certi limiti di ricchezza in termini di PIL e PIL procapite, in cui manchino cioè beni, strutture e libertà e diritti fondamentali. I questi casi occorrerebbe utilizzare altri criteri e in generale occorrerebbe creare una struttura macroeconometrica e di contabilità di Stato per i paesi in via di sviluppo.
PERCHE’ INTRODURRE UN’ALTRA STRUTTURA DI VALUTAZIONE MACROECONOMETRICA PER LE ECONOMIE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO?
Usare queste strutture macroeconometriche differenziate per i paesi in via di sviluppo è utile perché abbatte l’idea tipicamente occidentale, secondo la quale queste economie si devono necessariamente organizzare come le economie più sviluppate, e nel contempo, impedisce di organizzare paralleli e confronti tra enti che non sono paragonabili tra loro. Si tratta di un fatto fondamentale. Gran parte dei problemi dell’economia e della scienza economica si fondano sul concetto di misura. Gli economisti da sempre hanno cercato misure totalizzanti, cioè hanno sempre cercato di definire una unità di misura che potesse essere utilizzata erga omnes, come strumento unico per attribuire valori agli enti economici. Una idea che ha visto contrapposti i sostenitori del valore-lavoro, ai sostenitori del’utilità marginale ai sostenitori delle rivoluzioni qualitative e così via. E’ chiaro che la teoria della misura è un elemento fondamentale nell’economia,poiché senza misura non si accede al gioco economico, non ci si può porre il problema dell’ottimizzazione, del migliore utilizzo delle risorse scarse, non si posso fare stime, non si può creare la recinzione che distingue l’economia civile dallo stato di natura, non v’è amministrazione, non c’è governo. E tuttavia nonostante l’avvento del Postmoderno abbia indotto le scienze a rinunciare ad uno statuto epistemologico deterministico in favore di uno relativistico, l’economia ha conservato l’idea che si possa trovare una chiave di volta per spiegare il valore. Gli economisti sono ancora convinti di potere trovare la Misura, il Metro grazie al quale potere valutare, controllare e governare il mondo della produzione, della distribuzione e dell’accumulazione della ricchezza prodotta dagli uomini e dalle macchine.
Ebbene se in realtà è difficile trovare un Metro unico, che possa concretamente essere utilizzato per classificare le economie,è più facile accettare l’idea che esistano delle differenze tra economie, e che queste differenze tra economie vengano determinate attraverso diverse variabili macroeconomiche che siano definite in base ad un Dominio, ad un Campo di Esistenza. L’ordinalismo delle misure potrebbe così essere una soluzione per distinguere, ordinare, le economie mondiali e realizzare delle politiche economiche.
Nei paesi valutati al di sotto della possibilità di applicazione del Dominio delle variabili macroeconomiche classiche si potrebbero applicare modelli nuovi , che magari prevedano impatti e correlazioni su variabili diverse da quelle tradizionalmente utilizzate per i paesi ricchi, come per esempio sulla demografia, sulla popolazione, sul clima, sui servizi, sulla crescita del capitale umano così fondamentale nelle economie sottosviluppate o in via di sviluppo.
Usare una struttura macroeconomica appositamente calibrata per le economie in via di svilupppo potrebbe evitare, uno degli errori cha ha guidato la Globalizzazione nel periodo del Washington Consensus, ovvero applicare ai paesi poveri quelle politiche economiche che funzionano bene nei paesi ricchi.
Poiché ogni politica economica deve essere calibrata sulla condizione dell’economia in una particolare condizione geografica, sociale, culturale, antropologica, non potendo esistere omologazioni e passaggi al limite, o accelerazioni eteronome sul cammino della civilizzazione, in assenza di creazione delle condizioni fondamentali per lo sviluppo della ricchezza.
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