Il presente
articolo esplora l’evoluzione dei flussi migratori permanenti a scopo
lavorativo tra il 2014 e il 2023, evidenziando le profonde ripercussioni della
pandemia da COVID-19 e la vivacità della successiva ripresa. L’impatto iniziale
della crisi sanitaria ha comportato un drastico rallentamento della mobilità
internazionale e profonde trasformazioni nei contesti occupazionali, con
particolare attenzione alla sicurezza nei luoghi di lavoro e alla
riformulazione degli obblighi dei datori di lavoro, come discusso da Maresca
(2020). Tuttavia, a partire dal 2021, si è registrato un rapido superamento dei
livelli pre-crisi in molte economie avanzate, grazie anche a una
riorganizzazione delle politiche pubbliche e sanitarie orientate alla
resilienza dei sistemi (Profiti, 2020).
Attraverso un’analisi comparata di oltre trenta paesi,
dall’Australia al Giappone, il testo mette in luce le dinamiche di ripresa e la
centralità assunta dall’immigrazione nel compensare l’invecchiamento
demografico e nel sostenere i sistemi pensionistici, oggi messi sotto pressione
da un rapporto sempre più squilibrato tra lavoratori attivi e pensionati. In
questo quadro, l’accelerazione della digitalizzazione avvenuta durante la
pandemia ha evidenziato fragilità sistemiche, ma anche opportunità per
ripensare l’istruzione e la formazione come strumenti chiave per l’integrazione
e la valorizzazione del capitale umano migrante (De Filippo et al., 2020).
L’aumento dei flussi migratori pone però interrogativi rilevanti
sulla tenuta dei modelli tradizionali di welfare state, spesso già sotto stress
per i vincoli di bilancio e per la crescita del debito pubblico. In tale
contesto, la transizione demografica e le trasformazioni del mercato del lavoro
impongono politiche integrate e multilivello. L’università, ad esempio, può
svolgere un ruolo strategico come catalizzatore di capitale territoriale e
innovazione sociale, rafforzando i legami tra formazione, impresa e governance
locale (Napolitano, 2020).
Il testo propone quindi un quadro articolato di policy mirate a
garantire flessibilità amministrativa, efficacia dei percorsi di integrazione e
sostenibilità finanziaria, considerati elementi fondamentali per trasformare la
migrazione lavorativa in una leva di sviluppo a lungo termine.
I dati OCSE
tracciano l’andamento dei flussi di immigrazione permanente con finalità
lavorative in un ventaglio di paesi, dal 2014 al 2023. Dal confronto emerge
innanzitutto un ampio impatto della pandemia di COVID-19, concretizzatosi in
una marcata contrazione dei trasferimenti internazionali nel 2020, seguita da
un recupero spesso rapido già a partire dal 2021 (Ryazantsev & Gnevasheva, 2021).
Paesi tradizionalmente attrattivi come Canada, Stati Uniti e
Regno Unito evidenziano un calo brusco tra il 2019 e il 2020, rispettivamente
da 103 325 a 59 990, da 79 231 a 64 236 e da 47 480 a 38 683 unità; tuttavia la
ripresa successiva è stata vigorosa e, nel caso del Regno Unito, ha portato il
dato stimato per il 2023 a superare le 280 000 unità, cifra quasi sette volte
superiore a quella del 2020 (González-Leonardo et al., 2023).
L’Australia conferma il proprio ruolo di destinazione
privilegiata per i lavoratori stranieri, passando da oltre 50 000 ingressi
annui nel quinquennio 2014–2018 (picco di 60 735 nel 2016) a un minimo di
36 082 nel 2021, per poi tornare a quota 68 922 nel 2023, superando ampiamente
i livelli pre-pandemici (Guan, O’Donnell, & Raymer, 2024).
Un andamento analogo, benché con livelli assoluti diversi, si
riscontra in Nuova Zelanda, dove dopo il calo a 6 882 ingressi nel 2021 i
numeri si impennano a quasi 75 000 nel 2022 prima di stabilizzarsi intorno ai
40 000 nel 2023. Il Nord America, da parte sua, sembra aver reagito alla crisi
sanitaria con politiche migratorie più espansive già nel 2021. Il Canada passa
da meno di 60 000 ingressi nel 2020 a quasi 170 000 nel 2021, per stabilizzarsi
su valori intorno a 135 000–145 000 negli anni successivi. Gli Stati Uniti, pur
restando su numeri leggermente inferiori al vicino canadese, segnano comunque
un’impennata da circa 64 000 ingressi nel 2020 a 104 000 nel 2021 e oltre
145 000 nel 2022, attestandosi intorno a 182 000 nel 2023, cifra che riflette
un forte ritorno della domanda di lavoratori stranieri (González-Leonardo et
al., 2023).
In Europa
occidentale la Francia e la Germania, anch’esse duramente colpite dal
rallentamento globale, registrano rispettivamente un calo dal picco di oltre
44 000 ingressi nel 2018 a circa 34 000 nel 2020 per la Francia e dal picco di
quasi 79 000 nel 2019 a 53 669 nel 2020 per la Germania. Entrambe le nazioni
riportano però, già nel 2021 e 2022, un ritorno oltre i 50 000 ingressi, con la
Francia a circa 46 000 e quindi a quasi 59 000 nel 2023, e la Germania che
supera gli 89 000 ingressi nel 2022 e sfiora i 93 000 nel 2023 (Tsevukh & Krupytsia, 2024).
Il Regno Unito merita una menzione a parte: caduto a 38 683
ingressi nel 2021, ha visto un’esplosione nel 2022, quando il dato stimato si
colloca a 191 307, e ancora maggiore nel 2023, quando si raggiungono le 282 598
unità (Camacho-Ballesta et al., 2020).
I paesi nordici e dell’Europa centrale presentano dinamiche più
contenute nell’ordine delle migliaia di unità. Svezia, Danimarca, Finlandia e
Norvegia oscillano tra 4 000 e 17 000 ingressi annui. La Svezia, dopo un rialzo
dal 13 136 nel 2017 al 16 782 nel 2019, scende a 12 825 nel 2020 per attestarsi
attorno a 15 690 nel 2023. La Danimarca segue un profilo simile, con un picco
di oltre 10 600 ingressi nel 2022 e 2023, mentre la Finlandia mostra un
raddoppio dei flussi tra il 2014 e il 2021. La Norvegia, al di sotto dei 5 000
ingressi fino al 2019, cresce a 5 731 nel 2022 per poi stabilizzarsi a circa
5 444 nel 2023 (Vergnano, 2024).
Tra i paesi più piccoli o con economie minori, Estonia,
Lussemburgo, Slovenia, Slovacchia e Lituania fanno registrare incrementi significativi,
sebbene su base assoluta ridotta. L’Estonia passa da poche centinaia di
ingressi fino al 2015 a oltre 5 000 nel 2022, per ridiscendere a 3 472 nel
2023. La Slovenia e la Slovacchia incrementano i flussi da qualche migliaio nel
2014 a oltre 19 000–23 000 nel 2022–2023, riflettendo forse programmi di
attrazione specializzati in specifiche competenze lavorative. La Lituania, che
aveva numeri quasi simbolici fino al 2016, arriva a registrare 4 345 ingressi
nel 2022, salvo tornare a quota 1 958 nel 2023 (Anh, 2023).
Nel Sud Europa la Spagna, dopo un periodo negativo caratterizzato
da numeri inferiori a 5 000 ingressi tra il 2016 e il 2018, vede un recupero
robusto a 34 480 ingressi nel 2022, ma scende a 25 292 nel 2023. Il Portogallo,
che aveva superato 34 000 ingressi già nel 2019, continua a crescere fino a
55 147 nel 2023, dimostrando una tendenza all’apertura del mercato del lavoro
alle migrazioni. L’Italia, al contrario, mostra un comportamento atipico: dopo
un dato iniziale di 48 522 ingressi nel 2014, precipita intorno ai 5 000
ingressi annui tra il 2016 e il 2018, risalendo improvvisamente a quasi 43 000
nel 2021 e a 55 802 nel 2022, per poi ridiscendere a un dato stimato di 31 834
nel 2023 (Tsevukh & Krupytsia, 2024).
Sul fronte asiatico, il Giappone e la Corea del Sud rappresentano
due casi emblematici di paesi ad alta regolamentazione dei flussi migratori. Il
Giappone cresce costantemente da 30 748 ingressi nel 2014 a 82 198 nel 2019,
poi cala a 53 116 nel 2020, per riprendersi fino a 90 139 nel 2023. La Corea,
più contenuta, rimane intorno a 5 000–7 000 ingressi tra il 2014 e il 2020, per
poi quasi raddoppiare a 12 947 nel 2023. L’Irlanda, paese d’accoglienza
tradizionale, ha visto un passaggio da meno di 15 000 ingressi nel 2019 a quasi
35 000 nel 2022, prima di attestarsi a 27 372 nel 2023 (Camacho-Ballesta et al., 2020).
Il Messico mostra un andamento altalenante, con il minimo di 5 173 ingressi nel
2017 e il massimo di 10 664 nel 2021, scendendo poi a 8 180 nel 2023. Il Belgio
e i Paesi Bassi confermano la loro attrattività per i professionisti, superando
entrambi i 7 000 ingressi nel 2023, mentre la Repubblica Ceca, dopo un picco di
35 509 ingressi nel 2019, cala a 14 605 nel 2023. Anche la Svizzera, pur in
numeri più bassi, segue la tendenza europea con un picco a 3 069 ingressi nel
2022 e un leggero calo a 2 841 nel 2023.
Nel complesso,
l’insieme dei dati mostra chiaramente come la pandemia abbia temporaneamente
interrotto flussi consolidati, ma anche come la ripresa economica e le
necessità di forza lavoro qualificata abbiano spinto a politiche di attrazione
migratoria più flessibili a partire dal 2021. I paesi anglosassoni,
storicamente favorevoli all’immigrazione di tipo lavorativo, non solo hanno
recuperato i livelli precedenti, ma li hanno spesso superati, probabilmente a
causa della scarsità di manodopera interna e dell’esigenza di competenze
internazionali. Anche in Europa continentale, nonostante le differenze di
scala, si denota una tendenza all’aumento dei permessi di soggiorno lavorativi,
con punte eccezionali in nazioni medie come Portogallo, Slovenia e Slovacchia.
L’andamento
complessivo suggerisce una ripresa globale dei flussi, ma con andamenti
differenziati per nazione, legati a fattori demografici interni, legislazioni
sull’immigrazione, intensità della ripresa economica e settori che richiedono
specifiche professionalità.
Sinergie
tra migrazione e sostenibilità del welfare generazionale
Le dinamiche dei
flussi migratori permanenti a scopo lavorativo si intrecciano oggi in modo
sempre più stretto con le sfide demografiche ed economiche che le società
avanzate si trovano ad affrontare. In molti paesi, l’invecchiamento della
popolazione ha raggiunto livelli tali da mettere sotto pressione i sistemi di
previdenza e assistenza, che trovano un equilibrio sempre più precario tra
risorse disponibili e bisogni da soddisfare (de Beer, 2024).
In questo contesto, l’immigrazione di lavoratori giovani e
qualificati rappresenta un elemento imprescindibile non solo per colmare i
vuoti nel mercato del lavoro, ma anche per sostenere la tenuta del sistema
pensionistico: ogni nuovo ingresso in età produttiva contribuisce infatti, con
i propri versamenti contributivi, a riequilibrare il rapporto tra chi lavora e
chi riceve prestazioni di vecchiaia (Maniglio, 2023).
Allo stesso tempo, la crisi dei sistemi di welfare state – acuita
dalla pandemia e dai vincoli di bilancio – costringe molti governi a ripensare
i modelli di protezione sociale. Se da una parte l’aumento dei flussi migratori
richiede investimenti in servizi di integrazione, formazione linguistica e
orientamento professionale, dall’altra il crescente indebitamento pubblico limita
le risorse disponibili e spinge verso una razionalizzazione delle spese (Nosova, 2024).
In paesi come l’Italia o la Spagna, dove la ripresa dei permessi
di soggiorno lavorativi ha registrato oscillazioni imprevedibili, diventa
allora fondamentale associare all’apertura delle quote d’ingresso un piano
organico di investimenti mirati alle fasce più fragili, per evitare che
l’accoglienza si traduca in un aggravio e non in un’opportunità di sviluppo
condiviso.
Il legame tra migrazione e indebitamento si gioca anche sul
terreno delle finanze pubbliche: se l’entrata di manodopera straniera contribuisce
a incrementare la base imponibile e a sostenere l’occupazione, al tempo stesso
richiede spese aggiuntive per infrastrutture abitative, istruzione dei figli e
servizi sanitari. In assenza di una strategia coordinata, l’effetto netto può
rivelarsi negativo, alimentando la narrativa di un costo insostenibile
dell’immigrazione.
Viceversa, politiche lungimiranti che prevedano percorsi di
inclusione rapidi ed efficaci favoriscono la piena partecipazione fiscale dei
nuovi arrivati e possono generare risparmi a medio e lungo termine, riducendo
la pressione sul debito pubblico.
La transizione demografica, infine, pone in evidenza la necessità
di bilanciare due fenomeni opposti: da un lato il declino delle nascite e
l’allungamento della speranza di vita; dall’altro, la crescente mobilità
globale di competenze. Paesi come la Germania e il Giappone, tradizionalmente
refrattari a politiche migratorie troppo espansive, hanno dovuto in questi anni
rivedere le proprie strategie, adottando programmi di “blue card” e visti
speciali per professionisti STEM. D’altro canto, nazioni più piccole – come
Estonia e Slovenia – hanno puntato su piccoli numeri ma mirati, selezionando
profili in grado di inserire rapidamente nuove tecnologie o processi
produttivi, e contenendo così l’impatto sui bilanci sociali.
Ne deriva che le questioni dell’invecchiamento, del welfare, del
debito e della demografia non possono più essere affrontate in compartimenti
stagni: servono politiche integrate, capaci di coordinare l’offerta di lavoro,
la sostenibilità finanziaria e il ricambio generazionale. I decisori pubblici
devono mettere in campo sistemi di monitoraggio costante dei flussi,
accompagnati da valutazioni d’impatto sui conti pubblici e sulle strutture
sociali, in modo da calibrare con precisione le quote di ingresso e i programmi
di integrazione.
Solo così l’immigrazione permanente a scopo lavorativo potrà
fungere da leva reale per contrastare l’invecchiamento delle popolazioni,
rilanciare consumi e investimenti, e restituire slancio ai bilanci pubblici
piuttosto che diventare un peso. In un’epoca in cui le economie avanzate si
misurano con la loro capacità di innovare e di preservare la coesione sociale,
l’attrazione e l’inclusione di nuovi lavoratori non restano una variabile
secondaria, ma si collocano al cuore delle strategie di sviluppo e di stabilità
di lungo periodo.
Conclusioni.
La complessità dei flussi migratori a scopo
lavorativo tra il 2014 e il 2023 mette in luce come le strategie di accoglienza
non possano prescindere dalle sfide demografiche e finanziarie che attraversano
le economie avanzate. L’invecchiamento delle popolazioni impone un ricambio
generazionale fondamentale per garantire la sostenibilità dei sistemi
pensionistici, mentre la crisi dei modelli tradizionali di welfare e il
crescente debito pubblico richiedono un attento bilanciamento tra l’offerta di
servizi di integrazione e le risorse disponibili. Alla luce della transizione
demografica, l’immigrazione qualificata diventa leva imprescindibile per
colmare carenze settoriali e potenziare la base imponibile, purché accompagnata
da percorsi efficaci di inclusione, riconoscimento delle competenze e
formazione continua. La pandemia ha evidenziato l’importanza di procedure
flessibili per modulare rapidamente le quote d’ingresso, riducendo gli oneri
amministrativi e favorendo l’adattabilità dei mercati del lavoro. In prospettiva,
le politiche migratorie più efficaci saranno quelle che integrano la gestione
dei flussi con la programmazione fiscale e sociale, promuovendo partenariati
multilaterali e modelli di welfare capaci di accogliere la diversità senza
compromettere l’equilibrio dei conti pubblici. Un approccio coeso può
trasformare l’immigrazione permanente in un motore di crescita inclusiva e di
resilienza, sostenendo la coesione sociale e stimolando l’innovazione nei
sistemi economici.
Fonte: OCSE
Referenze
Maresca, A. (2020). Il rischio di
contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 cc
(prime osservazioni sull’art. 29-bis della ln 40/2020). Diritto della sicurezza sul lavoro, (2), 1-10.
Profiti, G. (2020). COVID-19: A
PERSPECTIVE FOR THE ITALIAN HEALTH SERVICE. International Economics/Economia Internazionale, 73(4).
De Filippo, M., Percoco, A., & Voce,
A. (2020). Covid-19 e didattica a distanza. Il caso Basilicata, una regione a
rischio digital divide.
Napolitano, M. R. (2020). L'università
come catalizzatore di relazioni per la valorizzazione del capitale
territoriale. Il Capitale Culturale: Studies on the Value of
Cultural Heritage.
Ryazantsev,
S., & Gnevasheva, V. (2021). International migration and labor markets
during the COVID-19 pandemic. International Trends, 19(4), 89-19.
Guan,
Q., O’Donnell, J., & Raymer, J. (2024). Changes in International Migration
to and from Australia During the COVID-19 Pandemic. International Migration Review, 01979183241249967.
González-Leonardo,
M., Potančoková, M., Yildiz, D., & Rowe, F. (2023). Quantifying the impact
of COVID-19 on immigration in receiving high-income countries. PLoS One, 18(1), e0280324.
Tsevukh,
Y., & Krupytsia, A. (2024). Comparative Perspective on Migration Trends in
Western and Central Eastern European Countries. Economics & Education, 9(4), 24-28.
Anh,
N. T. (2023). Legal Analysis of EU Policies: Understanding the Binary Status of
Labour Migration. Fiat Justisia: Jurnal Ilmu Hukum, 17(2), 163-174.
Vergnano,
C. (2024). The ‘Long Spring’of migration management: Labour supply in the
pandemic-induced EU border regime. Politics, 44(2), 203-218.
Camacho-Ballesta, J. A., Montero, B.,
& Rodríguez, M. (2020). Labour migration in the European
Union: Recent trends and future prospects. Health, Safety and Well-being of Migrant Workers: New
Hazards, New Workers, 95-114.
Maniglio,
F. (2023). Migration in knowledge aging societies. Differentiating labor force
and discriminating people. Critique, 51(1), 37-49.
de
Beer, P. (2024). Labour migration as a solution to an ageing population?. European View, 23(1), 47-54.
Nosova,
O. (2024). The effect of labour migration and structural changes on economic
development. Bulletin of VN Karazin Kharkiv National University Economic Series, (106), 77-86.
Commenti
Posta un commento