L'esposizione
all'inquinamento atmosferico rappresenta una delle principali sfide ambientali
e sanitarie a livello globale. In particolare, il particolato fine (PM2.5),
costituito da particelle con un diametro inferiore a 2.5 micrometri, ha
dimostrato di avere un impatto significativo sulla salute umana, contribuendo
all'insorgenza di malattie cardiovascolari, respiratorie e tumori polmonari. Il
presente testo analizza i dati relativi all'esposizione media ponderata per
popolazione al PM2.5, espressa in microgrammi per metro cubo, in un intervallo
temporale che va dal 1990 al 2020 per numerosi paesi del mondo.
Dall'analisi dei
dati emerge una chiara tendenza alla diminuzione dei livelli di PM2.5 in molte
economie sviluppate. Ad esempio, in Austria, i livelli sono passati da 22.75
µg/m³ nel 1995 a 10.89 µg/m³ nel 2020. Anche il Belgio ha registrato un
miglioramento simile, con una diminuzione da 21.95 µg/m³ a 11.09 µg/m³ nello
stesso periodo. Questi miglioramenti sono indicativi dell'efficacia delle
politiche ambientali europee, tra cui il potenziamento dei controlli sulle
emissioni industriali, l'adozione di tecnologie più pulite e la promozione
della mobilità sostenibile.
Situazione
analoga si osserva in paesi come il Canada, dove i livelli di PM2.5 sono scesi
da 10 µg/m³ nel 1995 a 6.35 µg/m³ nel 2020, e negli Stati Uniti, con una
diminuzione da 13.24 µg/m³ a 7.70 µg/m³. Anche qui, politiche ambientali più
restrittive, una maggiore consapevolezza pubblica e l'utilizzo di fonti
energetiche meno inquinanti hanno contribuito a ridurre l'esposizione.
Tra i paesi
dell'Oceania, l'Australia e la Nuova Zelanda presentano storicamente livelli
piuttosto bassi di PM2.5. Tuttavia, si osservano leggere fluttuazioni nei dati,
in parte spiegabili con eventi climatici estremi come incendi boschivi, che nel
caso dell'Australia hanno determinato un picco di 9.17 µg/m³ nel 2019. Anche la
Nuova Zelanda mantiene livelli bassi e stabili, con un valore di 6.35 µg/m³ nel
2020.
In Asia, i dati
mostrano tendenze contrastanti. Il Giappone, ad esempio, ha mantenuto livelli
relativamente stabili di PM2.5 attorno ai 12 µg/m³, con una leggera tendenza
alla diminuzione, ma ancora superiori rispetto ai paesi scandinavi. Israele
presenta valori decisamente più elevati, sebbene in lieve calo: da un picco di
26.91 µg/m³ nel 2005 a 18.62 µg/m³ nel 2020. La Corea non presenta dati
completi, rendendo difficile una valutazione accurata del trend.
Per quanto
riguarda l'America Latina, la situazione appare più critica. Il Cile mostra
valori persistentemente alti, con pochi segnali di miglioramento sostanziale:
da 27.31 µg/m³ nel 1995 a 23.16 µg/m³ nel 2020. In Colombia, invece, si osserva
una riduzione significativa dell'inquinamento: da 25.20 µg/m³ a 13.88 µg/m³,
segno di miglioramenti infrastrutturali e normativi. Anche in Costa Rica si
rileva una tendenza alla riduzione, nonostante qualche oscillazione nei valori.
In Europa
orientale e centrale, la situazione varia sensibilmente. Paesi come la
Repubblica Ceca, l'Ungheria, la Slovacchia e la Polonia hanno mostrato
inizialmente livelli molto alti di PM2.5, in alcuni casi superiori a 30 µg/m³,
ma con un progressivo calo negli ultimi due decenni. La Polonia, ad esempio, è
scesa da 30.19 µg/m³ nel 1995 a 17.84 µg/m³ nel 2020. Tuttavia, nonostante i
miglioramenti, i valori restano superiori rispetto alla media europea
occidentale.
Anche nei paesi
baltici si notano dinamiche interessanti. L'Estonia, la Lettonia e la Lituania
hanno visto una progressiva diminuzione dell'esposizione al PM2.5. In
particolare, l'Estonia ha ridotto i valori da 13 µg/m³ a 6.13 µg/m³,
posizionandosi tra i paesi europei con la migliore qualità dell'aria.
Per quanto
riguarda i paesi scandinavi, essi rappresentano un modello positivo di gestione
ambientale. Finlandia, Svezia, Norvegia e Islanda presentano livelli
costantemente bassi di PM2.5. In Finlandia, ad esempio, si è passati da 8.81
µg/m³ nel 1995 a 4.92 µg/m³ nel 2020, uno dei valori più bassi tra tutti i
paesi considerati. Questo risultato è attribuibile all'ampia presenza di aree boschive,
alla bassa densità di popolazione e all'utilizzo diffuso di tecnologie pulite.
Anche i paesi
dell'Europa occidentale hanno registrato un miglioramento continuo della
qualità dell'aria. In Francia, i livelli sono scesi da 16.99 µg/m³ a 9.49
µg/m³; in Germania da 21.77 a 10.30 µg/m³; nei Paesi Bassi da 21.42 a 10.79
µg/m³. Il Regno Unito, anch'esso coinvolto in importanti programmi di riduzione
dell'inquinamento, ha visto i valori calare da 17.40 a 9.71 µg/m³.
Per quanto
riguarda i paesi del Sud Europa, la situazione è più eterogenea. L'Italia ha
mostrato un lento ma costante calo da 26.92 µg/m³ nel 1995 a 14.31 µg/m³ nel
2020, mentre in Grecia il calo è stato meno marcato, con valori che restano
ancora sopra i 14 µg/m³. La Spagna, partendo da valori più bassi, si è
attestata intorno ai 9.69 µg/m³ nel 2020.
Un caso
particolare è rappresentato dalla Turchia, dove i livelli di PM2.5 sono rimasti
costantemente alti nel corso degli anni, superando spesso i 24 µg/m³, con
valori nel 2020 ancora pari a 22.13 µg/m³. Questo indica una scarsa efficacia
delle politiche ambientali o una forte pressione da parte di fattori economici
e urbanistici.
In conclusione,
i dati mostrano un quadro complesso ma in gran parte positivo: molti paesi
hanno compiuto progressi significativi nella riduzione dell'esposizione della
popolazione al particolato fine, migliorando la qualità dell'aria e la salute
pubblica. Tuttavia, restano aree critiche, soprattutto nei paesi in via di
sviluppo o in quelli con alti livelli di urbanizzazione e industrializzazione.
La sfida futura sarà quella di mantenere e rafforzare i risultati raggiunti,
estendendo le buone pratiche anche ai paesi più in difficoltà. Solo attraverso
un impegno coordinato a livello globale sarà possibile garantire un'aria più
pulita e un ambiente più sano per tutti.
Fonte: OCSE
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