Negli ultimi anni, la povertà assoluta in Italia ha
assunto una dimensione strutturale, coinvolgendo un numero crescente di persone
e famiglie in tutte le aree del Paese, con caratteristiche sempre più complesse
e diversificate. I dati aggiornati al biennio 2022-2023 tracciano un quadro
preoccupante, in cui quasi sei milioni di individui e oltre due milioni di
famiglie non riescono a soddisfare i bisogni minimi per condurre una vita
dignitosa. Questo fenomeno non si limita più alle aree tradizionalmente
svantaggiate del Mezzogiorno, ma si estende anche al Nord e al Centro,
interessando fasce sociali un tempo considerate al riparo, come i lavoratori
con redditi bassi o instabili, le famiglie giovani e i nuclei monogenitoriali.
A preoccupare è anche la crescente incidenza tra i minori e tra coloro che, pur
lavorando, non riescono a sottrarsi alla povertà. L’analisi dettagliata dei
fattori socio-demografici e territoriali conferma il ruolo centrale di variabili
come l’istruzione, la condizione occupazionale, la composizione familiare e la
cittadinanza nel determinare il rischio di esclusione economica. Questo testo
si propone di offrire una lettura articolata dei dati emersi, integrando le
rilevazioni dell’ISTAT con le analisi e l’esperienza sul campo della rete
Caritas, per restituire un’immagine realistica e approfondita di un Paese
attraversato da disuguaglianze sempre più profonde.
Un Paese in difficoltà crescente. La premessa che emerge è chiara: l’Italia è un Paese
segnato da profonde contraddizioni. Nonostante sia tra le economie avanzate,
convive con un livello di povertà assoluta che colpisce quasi 5,7 milioni di
persone, distribuite in oltre 2,2 milioni di famiglie. Questo dato Istat non
rappresenta solo un numero, ma l’incapacità crescente di soddisfare bisogni
essenziali come cibo, casa, salute e istruzione. Le cause, come
indicato nel documento, sono molteplici e intrecciate: crisi geopolitiche,
inflazione persistente, aumento delle diseguaglianze, precarizzazione del
lavoro. In questo contesto, il ruolo di Caritas Italiana e dei suoi 3.341
centri di ascolto diventa cruciale. Essi rappresentano non solo un presidio
caritativo, ma un vero e proprio osservatorio sociale.
Numeri che parlano chiaro. Nel 2024, i centri Caritas in rete hanno accolto
277.775 persone, un dato in crescita rispetto al 2023 (+3%) e che segna un
impressionante +62,6% rispetto al 2014. Questa tendenza crescente segnala un
fenomeno strutturale più che emergenziale. Si tratta di famiglie che vivono una
condizione di disagio profondo e persistente.  Degna di nota è la riduzione del
numero dei “nuovi ascolti” (dal 41% al 37,7%), che segnala come molte persone
siano coinvolte in percorsi di povertà di lunga durata. Il 26,7% degli assistiti
è infatti in condizione di disagio cronico, un dato che impone serie
riflessioni sulla tenuta del welfare pubblico. Un altro indicatore
di questa intensificazione del bisogno è il numero medio di incontri annui per
persona, che è raddoppiato rispetto al 2012 (da 4 a 8), segno di un intervento
più continuativo e complesso da parte dei servizi Caritas.
Un profilo che cambia. Le persone che si rivolgono a Caritas oggi non
rispondono più allo stereotipo del povero "occasionale". L’età media
degli assistiti è di 47,8 anni, con una crescita significativa della componente
anziana: gli over 65 erano il 7,7% nel 2015, oggi sono il 14,3%, percentuale
che sale al 24,3% tra gli italiani. Questa dinamica riflette l’invecchiamento
della popolazione, ma anche l’inadeguatezza delle pensioni minime e delle
politiche di sostegno agli anziani soli. Preoccupante è anche la
situazione delle famiglie con figli, che costituiscono il 63,4% degli
assistiti. Le politiche familiari, evidentemente, non riescono a garantire
condizioni di vita dignitose a chi ha carichi di cura, mentre la povertà
minorile rimane una ferita aperta.
Povertà lavorativa e multidimensionale. Tra i problemi emergenti, spicca il
fenomeno dei “working poor”: il 23,5% delle persone assistite ha un lavoro, ma
resta in condizioni di indigenza. Nella fascia d’età tra i 35 e i 54 anni,
questa percentuale supera il 30%, a dimostrazione del fatto che il lavoro,
spesso precario e sottopagato, non è più garanzia di benessere. Inoltre,
la povertà è sempre più multidimensionale: oltre il 56% degli utenti vive
almeno due forme di fragilità, e il 30% ne sperimenta tre o più. Si tratta di
una condizione complessa in cui si intrecciano disagio economico, sociale,
sanitario e abitativo.
Emergenza abitativa. Uno dei due focus tematici del report riguarda il disagio abitativo.
L’Istat rileva che il 5,6% degli italiani vive in grave deprivazione abitativa,
ma tra gli utenti Caritas questa percentuale sale al 33%. Di questi, il 22,7% è
senza dimora o vive in situazioni abitative inadeguate, mentre il 10,3% ha
difficoltà a sostenere spese per affitto o utenze. Il sovraccarico dei
costi abitativi, tra le persone seguite da Caritas, è oltre il doppio rispetto
alla media nazionale. Questa situazione riflette la crescente inaccessibilità
del mercato immobiliare, specie nelle aree urbane, e l’insufficienza di
politiche pubbliche per l’housing sociale.
Vulnerabilità sanitaria. Il secondo focus riguarda le fragilità sanitarie.
Secondo l’Istat, circa 6 milioni di italiani rinunciano a cure per motivi
economici o per tempi d’attesa troppo lunghi. Tra i seguiti da Caritas, il
15,7% ha problemi sanitari importanti, spesso cronici, e si registra una
domanda crescente di farmaci, visite mediche e dispositivi sanitari. Preoccupa
il dato sommerso: molti assistiti non formulano richieste specifiche, sintomo
di un’abitudine alla rinuncia e di una sfiducia sistemica. La povertà
sanitaria, infatti, raramente si presenta da sola: nel 58,5% dei casi è
accompagnata da almeno tre altre forme di bisogno. Ciò rende quasi impossibile
spezzare il circolo vizioso in cui casa, reddito, salute, istruzione e relazioni
si influenzano reciprocamente.
Un sistema di welfare insufficiente. Uno degli aspetti più significativi messi in luce dal
report è il progressivo disallineamento tra bisogni sociali e risposte del
welfare istituzionale. Il sistema pubblico appare incapace di intercettare e
accompagnare le nuove povertà, che sono sempre più trasversali e meno visibili. Le
situazioni raccontate non sono solo emergenziali, ma strutturali. La rete
Caritas agisce spesso come unico presidio di prossimità, non solo con
interventi materiali ma anche attraverso un lavoro educativo, relazionale e
culturale. L’approccio adottato non si limita alla presa in carico, ma mira a
costruire percorsi di autonomia, laddove possibile.
L’appello della Caritas. Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana,
conclude il comunicato con un appello profondo: “Non si tratta solo di numeri,
ma di storie di uomini e donne delle nostre comunità”. La povertà, oggi più che
mai, è una questione di responsabilità collettiva. Il suo invito a “stare sulle
soglie”, a non fermarsi all’emergenza, a promuovere processi di cambiamento, è
un richiamo potente. Significa impegnarsi non solo nella distribuzione di
aiuti, ma nel costruire una società più inclusiva, dove la dignità delle
persone venga prima dei vincoli di bilancio o delle logiche burocratiche.
Il report di
Caritas Italiana offre una lettura lucida e impietosa della realtà italiana nel
2025. I dati statistici non sono freddi numeri, ma grida di aiuto. E il ruolo
della Caritas è quello di ascoltare queste voci, di accompagnarle, ma anche di
interpellare l’intera società – istituzioni, cittadini, imprese, Chiesa –
affinché non si giri lo sguardo altrove. Senza un cambio di paradigma, senza un
welfare realmente inclusivo, senza politiche attive per la casa, il lavoro e la
salute, la povertà continuerà a diffondersi in silenzio, erodendo il tessuto
sociale e umano del nostro Paese. La speranza, come ci ricorda Caritas, passa da
qui: dalla scelta di prendersi cura, con coraggio e visione.
L’andamento degli indicatori di povertà assoluta in
Italia per gli anni 2022 e 2023, suddiviso per ripartizione geografica, offre
un quadro dettagliato delle diseguaglianze territoriali nel nostro Paese. I
dati mostrano che, a livello nazionale, le famiglie in povertà assoluta sono
passate da 2.187.000 nel 2022 a 2.217.000 nel 2023, mentre le persone in
condizione di povertà sono salite da 5.674.000 a 5.693.800. L’incidenza della
povertà tra le famiglie è leggermente aumentata dall’8,3% all’8,4%, mentre è
rimasta stabile al 9,7% per quanto riguarda le persone. Tuttavia, dietro questa
apparente stabilità si nascondono dinamiche regionali molto diverse. Il Nord,
che storicamente presenta livelli di povertà più contenuti, mostra nel 2023
segnali di peggioramento. Le famiglie povere passano da 939.000 a 998.000 e le
persone da 2.298.000 a 2.412.000, con un incremento dell’incidenza della
povertà dall’8,5% all’8,9%. La crescita è particolarmente marcata nel
Nord-ovest, dove l’incidenza sulle persone passa dall’8,2% al 9,1% e sulle
famiglie dal 7,2% all’8,0%, segnalando una crescente vulnerabilità anche nelle
aree economicamente più sviluppate. Anche il Nord-est registra un aumento nell’intensità
della povertà, dal 16,5% al 18,0%, con un numero di famiglie povere che cresce
da 408.000 a 413.000. Il Centro Italia, sebbene mantenga livelli di povertà
inferiori alla media nazionale, mostra una tendenza in crescita. Le famiglie
povere aumentano da 342.000 a 360.000, con un’incidenza che passa dal 6,4% al
6,7%. Le persone povere salgono da 874.000 a 918.000, e l’intensità della
povertà tra le famiglie sale da 17,1% a 18,0%, confermando un peggioramento
generalizzato della condizione economica. Il Mezzogiorno, che include Sud e
Isole, rimane la macro-area con i livelli di povertà più elevati, anche se nel
2023 si registra una leggera diminuzione delle famiglie povere, da 906.000 a
859.000, e delle persone povere, da 2.502.000 a 2.363.000. L’incidenza della
povertà sulle famiglie cala dal 10,7% al 10,2%, e quella sulle persone dal
12,6% al 12,0%. L’intensità della povertà diminuisce dal 19,3% al 17,8%,
indicando un miglioramento della gravità delle condizioni di disagio. Tuttavia,
il dato resta superiore alla media nazionale, segno che la povertà nel Sud
rimane un problema strutturale. Analizzando il dettaglio territoriale, il Sud
mostra un calo delle famiglie povere da 630.000 a 572.000 e delle persone da
1.780.000 a 1.609.000, con un’incidenza che scende dal 13,3% al 12,0%. Le
Isole, invece, mostrano una leggera crescita delle famiglie povere da 276.000 a
287.000 e delle persone povere da 722.000 a 754.000, con un aumento
dell’incidenza familiare da 9,8% a 10,2% e dell’incidenza sulle persone da
11,3% a 11,9%. A livello nazionale, la composizione percentuale delle famiglie
povere evidenzia come il 45% risieda nel Nord, mentre il 38,7% nel Mezzogiorno,
il 16,2% nel Centro. Ciò significa che, nonostante l’incidenza più elevata nel
Sud, il maggior numero assoluto di famiglie povere si trova nelle regioni
settentrionali, soprattutto a causa della loro maggiore popolazione residente.
Questo dato rompe lo stereotipo della povertà come fenomeno meridionale,
rivelando come essa sia ormai trasversale e diffusa anche nei territori più
sviluppati. L’intensità della povertà, che misura quanto le famiglie povere
siano distanti dalla soglia di povertà assoluta, si mantiene su valori elevati
in tutto il Paese, con una media nazionale stabile al 18,2%. Le aree con
maggiore intensità restano le Isole (16,2%) e il Sud (18,6%), ma anche nel Nord
i valori non sono trascurabili: il Nord-ovest raggiunge il 19%, segnalando
situazioni di grave indigenza. In sintesi, i dati mostrano un’Italia divisa ma
accomunata da una crescente difficoltà economica. La povertà non è più
concentrata solo in alcune aree, ma è diventata un fenomeno strutturale che
tocca anche le regioni più produttive. Le differenze territoriali restano
importanti, ma si affievoliscono davanti alla diffusione di precarietà
lavorativa, basso reddito, esclusione sociale e difficoltà di accesso ai
servizi. L’apparente stabilità delle medie nazionali non deve trarre in
inganno: l’intensificazione della povertà, il suo radicamento e la crescente
complessità dei bisogni delle famiglie richiedono risposte politiche
coordinate, strutturate e territorialmente mirate. Servono interventi non solo
redistributivi, ma anche capaci di favorire l’inclusione attiva, rafforzare il
sistema di welfare e garantire l’accesso ai diritti fondamentali su tutto il
territorio nazionale.
Consideriamo l’analisi dell’incidenza della
povertà assoluta in Italia nel biennio 2022-2023, disaggregata per sesso e
classe di età. Il dato complessivo rimane invariato: il 9,7% della popolazione
vive in condizione di povertà assoluta in entrambi gli anni. Tuttavia, l’analisi
dettagliata evidenzia alcune dinamiche interessanti. Per quanto riguarda il
sesso, le differenze tra uomini e donne sono minime ma stabili: nel 2023
l’incidenza tra i maschi è del 9,8%, leggermente superiore rispetto al 9,7%
registrato tra le donne. Questo dato conferma una sostanziale parità nella
distribuzione della povertà tra i due sessi, pur considerando che nella realtà
operativa, le donne affrontano spesso forme più complesse e multidimensionali
di disagio, come evidenziato anche da altri report Caritas. Più rilevanti sono
invece le differenze legate all’età. I bambini e ragazzi fino a 17 anni sono la
fascia più colpita, con un’incidenza della povertà che cresce dal 13,4% al
13,8% nel 2023. Questo dato è particolarmente allarmante, perché segnala un problema
strutturale di povertà minorile, spesso legata alla precarietà economica delle
famiglie con figli. Anche la fascia 18-34 anni presenta valori elevati (11,8%),
benché in lieve diminuzione rispetto al 2022. La classe d’età centrale, 35-64
anni, si mantiene stabile al 9,4%, in linea con la media nazionale. Infine, la
fascia degli over 65 registra il dato più basso: solo il 6,2% vive in povertà
assoluta. Questo può essere attribuito a forme di sostegno pensionistico che,
sebbene minime, garantiscono un reddito regolare. In sintesi, i dati mostrano
che la povertà in Italia colpisce soprattutto i più giovani, confermando
l’urgenza di politiche mirate a sostenere l’infanzia, la genitorialità e
l’inserimento lavorativo dei giovani adulti.
I dati mostrano come la povertà assoluta sia
fortemente influenzata dalla composizione e dimensione del nucleo familiare. Le
famiglie più numerose risultano maggiormente vulnerabili: l’incidenza per le
famiglie con cinque o più componenti è pari al 20,1% nel 2023, pur in calo
rispetto al 22,5% del 2022. Anche le famiglie di quattro membri evidenziano un
peggioramento, passando dall’11% all’11,9%. Le famiglie unipersonali e a due
componenti, sebbene presentino tassi più bassi (rispettivamente 7,7% e 6,1%),
restano comunque esposte al rischio di esclusione economica, soprattutto in
presenza di un solo reddito. Tra le diverse tipologie familiari, le persone
sole con meno di 65 anni registrano un’incidenza crescente (dal 8,5% al 9,2%),
mentre per gli anziani soli il valore rilevato è del 6,0% nel 2023, con un
miglioramento rispetto all’anno precedente, per il quale non era disponibile un
dato confrontabile. Le coppie giovani senza figli mostrano un’incidenza
contenuta, stabile intorno al 4,7-5,1%, così come le coppie anziane. Tuttavia,
le famiglie con figli rappresentano una delle categorie più fragili: le coppie
con tre o più figli passano dal 20,6% al 18,0%, mentre i nuclei monogenitoriali
peggiorano, passando dall’11,5% al 12,5%. Le “altre tipologie” familiari, come
quelle con membri aggregati non standard, mantengono livelli elevati di povertà
assoluta, sfiorando il 16%. Analizzando il numero di figli minori, l’incidenza
cresce al crescere del numero di figli: con un solo figlio è al 9,7%, con due
al 12,8% e con tre o più supera il 21%. Per le famiglie con almeno un figlio
minore il dato è dell’11,9%, superiore alla media generale. Al contrario, la
presenza di anziani sembra costituire un fattore protettivo: le famiglie con
almeno un anziano mostrano un’incidenza del 6,4%, più bassa rispetto alla media
nazionale dell’8,4%.
L’incidenza della povertà assoluta in Italia
varia sensibilmente in base all’età della persona di riferimento del nucleo
familiare. Nel 2023, le famiglie guidate da individui tra i 18 e i 34 anni
registrano il tasso più elevato, pari all’11,7%, in aumento rispetto all’11,1%
dell’anno precedente. Questa fascia d’età, caratterizzata da instabilità
lavorativa, bassi salari e difficoltà nell’accesso alla casa, risulta
particolarmente esposta al rischio di esclusione economica. Subito dopo
troviamo la fascia tra i 35 e i 44 anni, anch’essa con un’incidenza alta e
stabile (11,6% nel 2023 contro l’11,5% nel 2022), dato che riflette la
pressione economica delle famiglie giovani con figli piccoli o in età scolare,
spesso con mutui o affitti da sostenere e spese fisse in aumento. Scendendo con
l’età, tra i 45 e i 54 anni si osserva un’incidenza leggermente più contenuta,
ma comunque elevata, pari al 9,7% nel 2023, in lieve crescita rispetto al 9,6%
dell’anno precedente. Questo gruppo include molti lavoratori che vivono ancora
forme di precarietà e si trovano spesso a sostenere figli economicamente non
autosufficienti. La fascia 55-64 anni mostra un’incidenza più bassa, ma
anch’essa in crescita (dal 7,4% al 7,7%), segno che anche la prossimità alla
pensione non sempre garantisce stabilità economica. Infine, le famiglie con
persona di riferimento over 65 registrano l’incidenza più bassa, stabile al
6,3%. Questo dato suggerisce che le pensioni, pur spesso modeste, costituiscono
una rete di protezione che riesce a garantire un minimo di sicurezza economica.
Nel complesso, l’incidenza media nazionale passa dall’8,3% all’8,4%,
confermando un quadro stabile ma segnato da criticità persistenti, in
particolare tra i nuclei giovani e nel pieno della vita lavorativa, i quali
rappresentano oggi i soggetti più fragili dal punto di vista economico.
L’incidenza della povertà assoluta in Italia è
fortemente influenzata dal titolo di studio e dalla condizione professionale
della persona di riferimento del nucleo familiare. I dati relativi agli anni
2022 e 2023 confermano che livelli più bassi di istruzione si associano a
maggiori probabilità di vivere in povertà. Le famiglie il cui referente ha solo
la licenza elementare o nessun titolo registrano un’incidenza pari al 13,3% nel
2023, in aumento rispetto al 13,0% dell’anno precedente. Anche chi possiede
solo la licenza media si colloca su livelli elevati, con un’incidenza del
12,3%. In netto contrasto, i nuclei con persona di riferimento in possesso
almeno di un diploma registrano un valore significativamente più basso, pari al
4,6%, sebbene in lieve crescita rispetto al 4,0% del 2022. Questo scarto
dimostra quanto l’istruzione rappresenti un fattore protettivo importante
contro la povertà, offrendo maggiori opportunità occupazionali e stabilità
economica. Dal punto di vista occupazionale, le famiglie con persona di
riferimento occupata mostrano un’incidenza dell’8,1% nel 2023, più bassa
rispetto a quelle con persona non occupata (8,8%). Tuttavia, all’interno degli
occupati emergono forti differenze. I dirigenti, quadri e impiegati presentano
livelli contenuti (2,8%), mentre tra gli operai l’incidenza raggiunge il 16,5%,
in crescita significativa rispetto al 14,7% del 2022. Questo dato evidenzia la
crescente difficoltà di chi, pur lavorando, non riesce a raggiungere un tenore
di vita dignitoso, fenomeno noto come “working poor”. Tra gli indipendenti,
imprenditori e liberi professionisti hanno un’incidenza minima (1,7%), mentre
“altri indipendenti” segnano un valore del 6,8%. Tra i non occupati, le persone
in cerca di lavoro restano le più esposte, con un’incidenza del 20,7%, a
testimonianza del legame diretto tra disoccupazione e povertà. Anche chi si
trova in altre condizioni non lavorative registra un dato elevato, pari al 15%.
L’incidenza della povertà assoluta in Italia varia
significativamente in base alla tipologia del comune di residenza e alla
ripartizione geografica. A livello nazionale, nel 2023 l’incidenza è risultata
più elevata nei centri delle aree metropolitane (8,1%) e nei piccoli comuni con
meno di 50.000 abitanti (8,8%), mentre nei comuni di cintura o di medie
dimensioni (oltre 50.000 abitanti) è leggermente più bassa (7,9%). Questo
andamento nazionale, tuttavia, nasconde forti differenze territoriali. Nel
Mezzogiorno si registrano i livelli più alti di povertà in tutte le categorie
urbane. Particolarmente critici sono i centri metropolitani del Sud e delle
Isole, dove l’incidenza raggiunge rispettivamente il 15,9% e l’8,7%, con un
picco di 12,5% per l’intera area metropolitana del Mezzogiorno. Anche nei
comuni piccoli (fino a 50.000 abitanti), il valore si mantiene elevato, con un
10,2% complessivo per il Sud e un 10,8% per le Isole. Nonostante un leggero
miglioramento rispetto al 2022 in alcuni contesti (ad esempio nei comuni medi
del Sud), il quadro generale resta critico. Nel Nord, si osserva un aumento
dell’incidenza della povertà nei centri metropolitani, passata dal 7% all’8%
nel complesso, con un picco nell’area nord-orientale (da 6,6% a 8,9%). Nelle
aree periferiche e nei piccoli comuni, i valori restano sostanzialmente stabili
o in lieve aumento. Il Centro Italia presenta dinamiche più contenute, ma con
un incremento nei piccoli comuni (da 6,3% a 7,9%) e una flessione nei centri
metropolitani (da 7,3% a 5,3%), segnale di una parziale tenuta nei contesti più
urbanizzati. In generale, i piccoli comuni mostrano un’incidenza della povertà
costante nel tempo, mentre l’aumento nei centri metropolitani suggerisce una
crescente fragilità anche nei grandi agglomerati urbani, dove i costi della
vita più elevati incidono maggiormente sulle famiglie a basso reddito.
I dati relativi all’incidenza della povertà assoluta
per presenza di stranieri in famiglia evidenziano con chiarezza che la
componente migrante rappresenta uno dei gruppi più vulnerabili in Italia. Nel
2023, a livello nazionale, le famiglie composte esclusivamente da stranieri
mostrano un’incidenza della povertà pari al 35,1%, in aumento rispetto al 33,2%
del 2022. Questo valore è oltre cinque volte superiore a quello registrato per
le famiglie composte solo da italiani, ferme al 6,3%. Anche le famiglie miste,
composte da almeno un componente straniero, presentano livelli di povertà
elevati, con un’incidenza del 19%, in lieve aumento rispetto all’anno
precedente. Le famiglie che includono stranieri, siano esse miste o composte
solo da stranieri, registrano complessivamente un tasso del 30,4%, a fronte del
6,3% delle famiglie autoctone. A livello territoriale si osservano differenze
importanti. Nel Nord, l’incidenza della povertà per le famiglie straniere è
aumentata sensibilmente, passando dal 32,3% al 35% per i nuclei composti solo
da stranieri, e dal 27,8% al 29,4% per tutte le famiglie con presenza
straniera. Il Centro registra un lieve incremento per le famiglie miste (dal
13,6% al 19,3%) e per quelle esclusivamente straniere (da 32% a 32,4%), segnalando
un peggioramento più marcato nelle situazioni di integrazione parziale. Nel
Mezzogiorno, dove la povertà è generalmente più diffusa, le famiglie di soli
stranieri raggiungono un’incidenza del 39,5%, in ulteriore crescita rispetto al
37,8% del 2022. Anche le famiglie miste e quelle con stranieri mantengono
incidenze superiori al 27%. Il confronto tra famiglie italiane e straniere
evidenzia in modo netto la discriminazione economica e la marginalizzazione che
colpisce le persone immigrate, a causa di ostacoli strutturali quali l’accesso
al lavoro dignitoso, la casa, i servizi e un riconoscimento effettivo
dell’inclusione sociale. Questi dati sollecitano interventi politici e
istituzionali mirati, orientati all’equità, alla protezione dei diritti e
all’integrazione sostenibile.
Nel confronto tra il 2022 e il 2023 emergono alcune
variazioni statisticamente significative nell’incidenza della povertà assoluta,
che mettono in luce dinamiche territoriali e socio-professionali differenziate.
In particolare, nel Nord-Ovest si registra un peggioramento, con un incremento
della quota di individui in povertà assoluta che passa dall’8,2% al 9,1%,
evidenziando una crescente vulnerabilità anche in aree tradizionalmente più
sviluppate economicamente. Al contrario, nel Sud si osserva una diminuzione
dell’incidenza, che scende dal 13,3% al 12%, pur restando su livelli molto
elevati rispetto alla media nazionale. Questo calo potrebbe riflettere
interventi di sostegno o una leggera ripresa occupazionale, ma non modifica la
struttura di fondo delle disuguaglianze territoriali. Anche la condizione della
persona di riferimento incide fortemente. Le famiglie in cui il referente ha
almeno un diploma mostrano un leggero aumento dell’incidenza della povertà, dal
4% al 4,6%, segno che l’istruzione superiore, pur restando un fattore
protettivo, non garantisce più pienamente sicurezza economica. Più preoccupante
è la condizione degli operai e assimilati, tra i quali l’incidenza sale dal
14,7% al 16,5%, indicando che il lavoro manuale, spesso precario e a basso
salario, non è sufficiente a garantire una vita dignitosa. Al contrario, tra i
lavoratori autonomi si nota un miglioramento: l’incidenza scende dall’8,5% al
6,8%, possibile riflesso di una ripresa di alcune attività produttive o di una
migliore stabilità reddituale in determinati comparti. Sul piano territoriale
urbano, si evidenzia un peggioramento della povertà nei centri metropolitani
del Mezzogiorno e in particolare del Sud, dove l’incidenza cresce bruscamente
dal 10,1% al 15,9%. Al contrario, si registra un miglioramento nei comuni medi
del Sud (da 11,6% a 8,8%), suggerendo un certo riequilibrio tra centro e
periferia. In controtendenza, nel Centro Italia peggiora la situazione nei
piccoli comuni, dove la povertà passa dal 6,3% al 7,9%, mentre migliora nei
centri urbani, dove cala dal 7,3% al 5,3%. Questo complesso quadro riflette le
trasformazioni socio-economiche in atto e l’eterogeneità delle condizioni di
vita nei diversi territori.
In conclusione, l’analisi dei dati relativi alla povertà
assoluta in Italia nel biennio 2022-2023 restituisce un’immagine chiara e al
tempo stesso allarmante: la povertà è ormai un fenomeno strutturale e
trasversale, che attraversa il Paese in tutte le sue articolazioni sociali,
economiche e geografiche. Se da un lato la stabilità dell’incidenza complessiva
può sembrare rassicurante, un esame più attento rivela dinamiche differenziate
e in evoluzione. Crescono le situazioni di vulnerabilità nei contesti urbani
del Nord e del Centro, mentre il Mezzogiorno resta la macroarea più colpita,
pur con segnali di lieve miglioramento in alcune aree. Le persone più colpite
dalla povertà continuano ad essere i minori, i giovani, le famiglie numerose, i
nuclei monogenitoriali, le persone con basso titolo di studio e i lavoratori
manuali, anche se occupati. Particolarmente preoccupante è l’aumento
dell’incidenza della povertà tra gli operai e tra chi, pur avendo un lavoro,
non riesce a garantire condizioni di vita dignitose per sé e per la propria
famiglia. Il fenomeno dei “working poor” si conferma quindi come una delle
criticità principali del mercato del lavoro italiano. A ciò si aggiunge la
condizione degli stranieri, per i quali il rischio di povertà è ancora
significativamente più alto rispetto alla popolazione italiana. I dati
evidenziano anche l’inadeguatezza del sistema di welfare nel rispondere alle
nuove povertà, spesso caratterizzate da molteplici fragilità sovrapposte:
disagio economico, abitativo, sanitario, relazionale. Di fronte a questa
complessità, le risposte non possono essere emergenziali né frammentarie.
Occorre un impegno collettivo e strutturale: politiche pubbliche coordinate, un
rafforzamento del welfare locale, investimenti in istruzione, lavoro dignitoso,
inclusione sociale e diritti. Solo così sarà possibile contenere una deriva che
rischia di compromettere la coesione sociale e il futuro del Paese.
Fonte: ISTAT, Caritas
Link: https://www.istat.it/comunicato-stampa/la-poverta-in-italia-anno-2023/
; https://www.caritas.it/presentazione-report-la-poverta-in-italia-e-bilancio-sociale-2024-a-roma-e-online-lunedi-16-giugno-2025-ore-10/ 
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