L’analisi
dell’aggregato “acquisizioni meno dismissioni di beni non finanziari non
prodotti” offre una finestra affascinante e poco esplorata dell’economia
nazionale. Questo indicatore, spesso trascurato nei commenti macroeconomici,
rappresenta i flussi netti di beni non prodotti come terreni, risorse naturali,
concessioni e diritti d’uso. A differenza della formazione di capitale fisico,
qui ci si concentra sugli elementi immateriali o non replicabili dell’economia
reale. I dati forniti, convertiti in dollari statunitensi a parità di potere
d’acquisto (PPP), mostrano quanto ogni paese ha acquisito (o ceduto) in termini
di risorse non prodotte tra il 2010 e il 2024. Questo tipo di movimento è
spesso collegato a decisioni strategiche di lungo periodo, come la gestione del
territorio, i diritti minerari, i cambiamenti normativi o lo sfruttamento
ambientale.
A livello
generale, i valori di questa voce sono molto contenuti rispetto ad altre
grandezze economiche, ma la loro volatilità e discontinuità rendono l’analisi
interessante. I saldi possono infatti variare notevolmente da un anno
all’altro, non tanto per effetto del ciclo economico, quanto per eventi
straordinari o politiche specifiche adottate dai governi.
Prendendo ad
esempio gli Stati Uniti, si nota una serie di valori estremamente modesti e
stabili, che oscillano tra pochi milioni in positivo o negativo. Il picco
negativo è nel 2020 (-177 milioni), mentre il massimo positivo è nel 2022 (+181
milioni). Questa stabilità suggerisce che, nel contesto statunitense, le
transazioni su beni non prodotti non costituiscono una leva strategica
rilevante in politica economica, e probabilmente riflettono normali
aggiustamenti amministrativi o transazioni statali marginali.
Ben diversa
è la situazione della Germania, che pur alternando anni negativi ad anni
positivi, mostra una netta impennata nel 2022 e 2023, con rispettivamente +22,9
e +26,3 miliardi. Questi valori sono eccezionalmente elevati per questa voce e
potrebbero riflettere importanti operazioni statali legate alla transizione
energetica, concessioni territoriali, riorganizzazioni del sistema
infrastrutturale o patrimoniale. È probabile che tali dati siano collegati
anche al nuovo orientamento in materia di autonomia energetica e uso del suolo
in risposta alla crisi energetica europea. Anche il valore del 2024 (stimato in
+23 miliardi) conferma la tendenza di un utilizzo più attivo di questa leva nel
contesto tedesco.
Nel caso del
Regno Unito, si osservano saldi generalmente negativi fino al 2020, con
un'inversione di tendenza dal 2021 in poi, raggiungendo un valore positivo di
+1,4 miliardi nel 2023. Questa inversione potrebbe essere attribuibile a
politiche di riorganizzazione territoriale o alienazione di asset da parte
dello Stato, magari in risposta alla Brexit e al bisogno di riconfigurare
assetti giuridici e di proprietà in funzione delle nuove relazioni
internazionali.
Anche
l’Italia mostra un profilo molto interessante. Dopo un forte disavanzo nel 2012
(–2,45 miliardi), i saldi diventano positivi e crescenti negli anni successivi,
con valori intorno ai 4–6 miliardi tra il 2019 e il 2023. Questo andamento
suggerisce una politica attiva in termini di acquisizione di beni non prodotti
o una rivalutazione di concessioni, probabilmente in relazione alla valorizzazione
del patrimonio pubblico, al rilancio delle aree interne o alla riorganizzazione
delle risorse idriche, forestali e minerarie. La tendenza positiva sembra
indicare una strategia nazionale più strutturata di gestione e valorizzazione
delle risorse non prodotte.
Molto
singolare è il caso dell’Irlanda, che mostra valori elevatissimi tra il
2015 e il 2020, con un picco straordinario nel 2018 (oltre 65 miliardi). Tale
cifra rappresenta un’anomalia statistica e potrebbe essere legata a
ristrutturazioni societarie di multinazionali con sede fiscale in Irlanda. È
noto che, per motivi di ottimizzazione fiscale, molte multinazionali
statunitensi trasferiscono beni immateriali – come brevetti o concessioni –
nelle controllate irlandesi. Questi movimenti potrebbero quindi alterare le
statistiche nazionali, facendo apparire acquisizioni massicce di asset non
prodotti che, in realtà, sono solo riclassificazioni interne a gruppi
internazionali.
Il caso
dei Paesi Bassi è ancora più estremo: dopo anni con valori oscillanti ma
contenuti, nel 2022 si registra un valore negativo di –146 miliardi,
un’anomalia che richiede una lettura particolare. È probabile che si tratti
della vendita, trasferimento o annullamento contabile di grandi asset
intangibili da parte di imprese multinazionali, con sede fiscale o legale nel
paese. I Paesi Bassi, come l’Irlanda, sono spesso utilizzati come hub per la
gestione dei diritti intellettuali e di proprietà industriale, e flussi di tale
entità possono risultare da complesse ristrutturazioni finanziarie globali.
Un’altra
situazione da evidenziare è quella della Svizzera, con valori positivi
estremamente elevati nel 2014 e 2015 (fino a +40 miliardi), e poi un andamento
altalenante. Anche in questo caso, la presenza di grandi gruppi finanziari e la
natura altamente sofisticata del sistema bancario e patrimoniale svizzero
rendono plausibili movimenti legati a cessioni o acquisizioni di concessioni e
beni intangibili di elevato valore. Tuttavia, il valore negativo del 2023 (–3,7
miliardi) suggerisce una possibile inversione di rotta o la fine di un ciclo di
valorizzazione patrimoniale.
Nella
maggior parte dei paesi dell’Est Europa – come Polonia, Slovacchia, Slovenia –
si osservano invece saldi positivi costanti ma contenuti, che crescono nel
tempo. In particolare, la Polonia mostra un aumento dai 438 milioni del 2010 ai
18,5 miliardi del 2023, segnalando un’attività significativa di gestione e
acquisizione di beni pubblici non prodotti. Questa dinamica può essere
correlata alla transizione economica e alla regolamentazione delle risorse
naturali, delle infrastrutture pubbliche o del patrimonio immobiliare statale.
Lo stesso vale per la Slovacchia, che aumenta progressivamente da pochi milioni
a oltre 1,7 miliardi nel 2023, rafforzando l’ipotesi di un percorso di
consolidamento patrimoniale attraverso il controllo delle risorse territoriali.
Altri paesi
come l’Austria e la Svezia mostrano saldi moderatamente positivi e stabili.
L’Austria passa da 213 milioni nel 2010 a oltre 550 milioni nel 2023, mentre la
Svezia ha un andamento altalenante ma complessivamente positivo, suggerendo una
gestione coerente di risorse ambientali, diritti territoriali e concessioni.
Anche la Danimarca, pur con cifre più contenute, conferma un utilizzo moderato
ma regolare di questa voce di bilancio patrimoniale.
Paesi come la
Francia, il Giappone, il Messico e la Colombia riportano valori nulli o
assenti, indicando una contabilità meno dettagliata o una scarsa rilevanza
delle operazioni di acquisizione/disposizione di beni non prodotti. Questo può
dipendere da una scarsa attività in questo ambito, oppure da scelte
metodologiche nei sistemi statistici nazionali che aggregano tali movimenti in
altre voci del bilancio economico.
Tra i paesi
emergenti, la Turchia riporta valori modesti, prevalentemente positivi
ma sotto il miliardo. Questi potrebbero riflettere operazioni di concessione
per l’uso di risorse naturali, in un contesto di espansione infrastrutturale e
industriale. In America Latina, il Cile e il Brasile non sono inclusi
nei dati forniti, mentre per Costa Rica e Messico non si
registrano valori significativi, probabilmente per le stesse ragioni sopra
menzionate.
Il caso
della Spagna è piuttosto negativo: dopo un valore positivo nel 2011 (+438
milioni), tutti gli anni successivi fino al 2023 riportano saldi negativi, fino
a un minimo di –5 miliardi. Questo può indicare un processo di dismissione di
beni pubblici, concessioni e diritti d’uso, forse per esigenze di bilancio
durante la crisi del debito o come parte delle riforme strutturali richieste
dalla Troika.
In conclusione,
l’analisi dei saldi delle acquisizioni e dismissioni di beni non finanziari non
prodotti mette in luce una realtà frammentata e fortemente condizionata da
fattori straordinari. In alcuni paesi, come Germania, Irlanda, Paesi Bassi e
Svizzera, queste voci riflettono operazioni patrimoniali di grande rilievo,
spesso legate a dinamiche fiscali, multinazionali o energetiche. In altri
contesti, come l’Italia, la Polonia o la Slovacchia, emergono politiche
nazionali attive di gestione del territorio e valorizzazione dei beni statali.
Infine, in molti paesi, questi movimenti risultano marginali, suggerendo un
ruolo secondario della leva patrimoniale nella strategia economica. Sebbene
poco appariscente, questa variabile rappresenta un indicatore utile per comprendere
la strategia di lungo periodo nella gestione del capitale non prodotto delle
nazioni.
Fonte: OCSE
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