Passa ai contenuti principali

Lavoro e migrazioni: dieci anni di cambiamenti nei flussi migratori permanenti nei paesi OCSE

 


 

L’analisi dei flussi migratori standardizzati di tipo permanente per motivi di lavoro, tra il 2014 e il 2023, mostra un quadro variegato e dinamico, influenzato da fattori socioeconomici, politici e, più recentemente, sanitari. Questo insieme di dati, proveniente dai paesi OCSE, consente di esaminare l’evoluzione delle migrazioni per lavoro in un decennio segnato da crisi globali, riprese economiche e riforme nazionali in materia di immigrazione.

Cominciando dall’Australia, si osserva una relativa stabilità dei flussi migratori per lavoro dal 2014 fino al 2019, con valori che oscillano tra i 50.000 e i 60.000 migranti all’anno. Tuttavia, nel 2020, anno dell’esplosione della pandemia da COVID-19, si registra un brusco calo fino a 43.944 ingressi. Il trend discendente prosegue nel 2021 (36.082), ma già nel 2022 si assiste a una ripresa (41.022), culminata in un picco di 68.922 nel 2023, segno di un’importante riapertura del mercato del lavoro e probabilmente di una politica migratoria più favorevole post-pandemica.

 


L’Austria mostra un andamento molto più contenuto, ma interessante per la sua crescita negli ultimi anni. Dopo valori stabili e bassi dal 2014 al 2017 (intorno a 1.200–1.300 ingressi), il numero cresce fino a superare le 5.000 unità nel 2023. Un incremento simile è osservabile anche in Belgio, che passa da poco più di 4.000 ingressi nel 2014 a oltre 7.600 nel 2023. Questa crescita nei paesi dell’Europa centrale può essere attribuita sia alla ripresa economica dell’UE dopo la crisi del debito che a specifici programmi di attrazione di lavoratori qualificati.

Il caso del Canada è emblematico. Dopo una lieve flessione nel periodo 2014–2016, i flussi aumentano costantemente fino al 2019, con oltre 103.000 migranti. La pandemia provoca un crollo nel 2020 (59.990), ma il 2021 segna una svolta: si arriva a 169.890 ingressi, e il trend rimane elevato nei due anni successivi, con oltre 135.000 e 144.000 ingressi stimati. Il Canada si conferma un paese con una forte domanda di forza lavoro esterna, sostenuta da un sistema di immigrazione strutturato e aperto.

Un andamento sorprendente è quello della Repubblica Ceca, che passa da circa 2.500 ingressi nel 2014 a oltre 35.000 nel 2019, per poi registrare fluttuazioni importanti negli anni successivi. Le cause possono risiedere sia nell’incremento della domanda di manodopera sia nelle dinamiche migratorie intra-UE, soprattutto da paesi dell’est.

La Germania mostra una traiettoria significativa, con una progressione da circa 28.000 ingressi nel 2014 a oltre 93.000 nel 2023. Dopo un aumento costante fino al 2019, la pandemia riduce i numeri, ma la ripresa è forte. Anche in questo caso, la Germania dimostra di attrarre lavoratori esteri per sostenere un mercato del lavoro in continua evoluzione e con fabbisogni crescenti in settori come la sanità, l’ingegneria e l’assistenza.

L’Irlanda è un caso peculiare, con una crescita repentina dal 2015 (4.811) al 2021 (13.230), culminata in 35.376 ingressi nel 2022, prima di scendere a 27.372 nel 2023. Questa dinamica potrebbe riflettere una forte espansione economica, specialmente nel settore tecnologico, ma anche un ritorno di emigrati irlandesi.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati sono irregolari. Dopo un picco nel 2014 (48.522), vi è un crollo drastico tra il 2015 e il 2019, con numeri che scendono sotto i 10.000. Tuttavia, si nota un’inversione di tendenza nel 2021 (42.989) e 2022 (55.802), con un nuovo calo stimato nel 2023 (31.834). Questo andamento riflette probabilmente una crisi economica prolungata, seguita da un tentativo di rilancio post-COVID, che però non ha mantenuto stabilità nel lungo termine.

Il Giappone rappresenta uno dei casi di crescita più consistenti. I flussi di lavoratori passano da circa 30.000 nel 2014 a oltre 90.000 nel 2023. Questa tendenza è coerente con le politiche giapponesi degli ultimi anni, tese ad aprire, seppur gradualmente, il mercato del lavoro a stranieri per compensare il calo demografico e la carenza di manodopera in settori come l’assistenza agli anziani.

Anche la Corea del Sud mostra un raddoppio dei flussi nel periodo analizzato, da circa 6.000 ingressi a quasi 13.000 nel 2023. È una crescita meno esponenziale rispetto ad altri paesi asiatici, ma significativa per un contesto che, storicamente, ha mantenuto politiche migratorie più restrittive.

Guardando alla Scandinavia, si osservano tendenze di crescita marcata, in particolare in Finlandia e Danimarca. La Finlandia passa da circa 1.100 ingressi nel 2014 a oltre 12.000 nel 2023, mentre la Danimarca da 5.700 a 10.600. Questi incrementi sono indicativi di una crescente apertura verso i lavoratori stranieri, probabilmente per sopperire alla carenza di personale nei settori della tecnologia e dell’assistenza sociale.

La Francia registra una progressione costante, dai circa 28.000 ingressi del 2014 ai 59.310 del 2023. La continuità di questa crescita suggerisce un’impostazione politica e sociale che, pur tra contraddizioni, ha mantenuto una certa apertura al lavoro straniero, in particolare nei servizi e nell’industria leggera.

La situazione del Regno Unito è tra le più drastiche. Dopo valori attorno ai 20–40.000 ingressi tra il 2014 e il 2019, i numeri esplodono post-pandemia: 91.307 nel 2021, 190.513 nel 2022 e oltre 282.000 nel 2023. Questo salto straordinario può sembrare paradossale considerando la Brexit, ma probabilmente riflette l’adozione di nuovi canali migratori extra-UE per bilanciare le perdite derivanti dalla fine della libera circolazione dei lavoratori europei.

Negli Stati Uniti, i flussi restano sostanzialmente stabili intorno ai 60.000–70.000 all’anno fino al 2019, per poi oscillare con forti aumenti post-COVID, fino agli 82.329 del 2023. Questo andamento riflette l’alternanza tra amministrazioni politiche con visioni molto diverse sull’immigrazione e la ripresa della domanda di lavoro dopo la pandemia.

In paesi più piccoli come la Lituania o il Lussemburgo, i dati mostrano comunque una tendenza all’aumento. La Lituania, praticamente assente nel 2014, raggiunge oltre 4.000 ingressi nel 2022. Il Lussemburgo, seppur con numeri modesti, vede raddoppiare i flussi. Questo trend mostra come anche piccoli mercati del lavoro europei stiano diventando mete attraenti per i lavoratori stranieri.

In Spagna, dopo una contrazione drastica tra il 2014 e il 2016, dovuta alla crisi economica, si assiste a una ripresa costante che culmina nel 2022 con 34.480 ingressi. Tuttavia, nel 2023, il dato torna a calare (25.292), probabilmente a causa di incertezze economiche e riforme del mercato del lavoro.

Infine, in Portogallo e Slovenia si osservano dinamiche di crescita sorprendenti. Il Portogallo passa da meno di 7.000 ingressi nel 2014 a oltre 55.000 nel 2023, mentre la Slovenia registra una progressione analoga, riflettendo l’attrattività di economie più piccole ma in espansione, soprattutto in settori come l’edilizia e i servizi.

In conclusione, i flussi di migranti permanenti per motivi di lavoro nel periodo 2014–2023 mostrano forti oscillazioni influenzate da fattori strutturali come la demografia, la domanda di lavoro, e fattori contingenti come la pandemia. Paesi come Canada, Germania, Giappone e Regno Unito si distinguono per la loro capacità di attrarre lavoratori stranieri in modo strutturato, mentre molte economie emergenti all’interno dell’UE stanno rapidamente aumentando il proprio ruolo come destinazioni di lavoro. Il dato complessivo rivela non solo i cambiamenti nella mobilità internazionale, ma anche l’adattamento delle politiche migratorie alle nuove sfide economiche e sociali globali.

 

Fonte: OCSE

Link: https://data-explorer.oecd.org/vis?fs[0]=Topic%2C1%7CSociety%23SOC%23%7CMigration%23SOC_MIG%23&pg=0&fc=Topic&bp=true&snb=6&df[ds]=dsDisseminateFinalDMZ&df[id]=DSD_MIG_INT%40DF_MIG_INT_PER&df[ag]=OECD.ELS.IMD&df[vs]=1.0&dq=.A..WO.&pd=%2C&to[TIME_PERIOD]=false&vw=tb&lb=bt

 

 


 





Commenti

Post popolari in questo blog

Il Cuneo Fiscale nei Principali Paesi OCSE nel 2024

  I dati mostrano l’evoluzione del tax wedge medio – cioè l’incidenza percentuale delle imposte sul lavoro rispetto al costo totale del lavoro – per un lavoratore single senza figli, con un reddito pari al 100% del salario medio, in un campione ampio di Paesi OCSE, nel periodo 2015–2024. Questo indicatore è centrale per comprendere l’onere fiscale sul lavoro e il suo impatto sull’economia, sull’occupazione e sulla competitività. L’analisi mostra un panorama piuttosto eterogeneo. I Paesi OCSE si collocano su un ampio spettro, che va da chi applica una pressione fiscale minima, come Colombia e Cile, fino a chi presenta carichi elevati, come Belgio e Germania. Nonostante le differenze strutturali tra i sistemi fiscali, è possibile individuare alcune tendenze comuni e differenziazioni regionali e temporali. Cominciando dai Paesi con le pressioni fiscali più alte, il Belgio resta costantemente in cima alla classifica per tutta la serie temporale, pur mostrando un leggero trend dis...

Trend globali nella produzione di nuovi medici

  Il lungo arco temporale compreso tra il 1980 e il 2023 offre uno sguardo ricco di dettagli sull’evoluzione della formazione dei medici in numerosi paesi, misurata in laureati in medicina per 100 000 abitanti. All’inizio degli anni Ottanta diverse nazioni presentavano livelli di ingresso nelle facoltà di medicina piuttosto elevati, con alcuni picchi record, mentre altre registravano numeri più contenuti. Nel corso dei decenni successivi il quadro si è fatto più sfaccettato: a un’estensione e a un potenziamento delle politiche di reclutamento hanno fatto da contraltare oscillazioni legate a riforme accademiche, crisi economiche, ristrutturazioni dei sistemi sanitari e flussi migratori di professionisti. Dall’analisi emerge un generale trend di aumento della produzione di nuovi medici a livello mondiale, benché con intensità e momenti diversi a seconda delle regioni e dei contesti nazionali, riflettendo scelte politiche, bisogni demografici e dinamiche di mercato. A livello comple...

Nord e Sud a confronto: differenze territoriali nei tassi di adeguata alimentazione

  ·          Le regioni del Nord mantengono livelli elevati, ma mostrano cali significativi negli ultimi anni. ·          Il Mezzogiorno registra valori più bassi, con Calabria e Abruzzo in miglioramento, Basilicata in forte calo. ·          Crisi economiche , pandemia e stili di vita hanno inciso profondamente sull’ adeguata alimentazione degli italiani.   L’analisi dei dati relativi all’adeguata alimentazione in Italia nel periodo compreso tra il 2005 e il 2023, misurata attraverso i tassi standardizzati per 100 persone, restituisce un quadro piuttosto articolato, con forti differenze territoriali, variazioni cicliche e trend di lungo periodo che denotano dinamiche sociali, economiche e culturali. Nel Nord e nel Centro i livelli sono generalmente più elevati rispetto al Mezzogiorno, ma anche qui emergono oscillazioni notevoli. In alcune regi...