Il saldo dei redditi primari netti dal resto del mondo rappresenta una componente chiave del reddito nazionale disponibile lordo di un paese, in quanto misura i redditi che i residenti ricevono da o versano a non residenti, come salari, interessi, dividendi e profitti. Tale indicatore è utile per comprendere quanto un paese guadagni o perda dalle sue relazioni economiche internazionali, al di là del commercio di beni e servizi. Analizzando i dati disponibili dal 2010 al 2024 per numerosi paesi del mondo, emerge un quadro estremamente variegato, che riflette differenze strutturali nei modelli economici, nei regimi fiscali, nel grado di apertura internazionale e nella presenza di imprese multinazionali o investimenti esteri.
Tra i paesi con
saldi fortemente positivi spiccano Stati Uniti, Giappone e Germania. Gli Stati
Uniti hanno costantemente registrato saldi positivi molto elevati, che si
attestavano attorno ai 205 miliardi di dollari nel 2010 e raggiungevano quasi
293 miliardi nel 2017, prima di stabilizzarsi su livelli leggermente inferiori
negli anni successivi. Questo risultato riflette il ruolo degli Stati Uniti
come principale detentore di asset internazionali, il cui rendimento sotto
forma di interessi, dividendi e profitti rafforza la posizione del paese. Anche
il Giappone mostra un andamento simile, con saldi che crescono da circa 120
miliardi nel 2010 a oltre 365 miliardi nel 2022. Il Giappone, forte esportatore
di capitali e sede di numerose multinazionali, beneficia anch’esso di un flusso
continuo di redditi dall’estero. La Germania presenta una traiettoria in decisa
crescita: da circa 65 miliardi nel 2010 a oltre 215 miliardi nel 2024,
riflettendo il suo costante surplus commerciale e l’investimento di capitale
all’estero. La capacità tedesca di generare attivi netti è sostenuta da una
politica industriale focalizzata sull’export e da un sistema finanziario
solido.
Al contrario,
molti paesi, soprattutto tra quelli emergenti o altamente dipendenti dagli
investimenti esteri, registrano saldi fortemente negativi. L’Irlanda è
l’esempio più eclatante, con un peggioramento progressivo che parte da -31
miliardi nel 2010 per toccare -223 miliardi nel 2022. Questa dinamica è in
parte dovuta alla presenza massiccia di multinazionali che rimpatriano profitti
nei paesi d’origine, facendo sì che l’Irlanda, pur registrando elevati livelli
di prodotto interno lordo, veda gran parte della ricchezza prodotta trasferita
altrove. Un fenomeno simile si osserva in Lussemburgo, con saldi negativi
consistenti che superano i 33 miliardi nel 2022. Questi paesi, pur essendo tra
i più ricchi in termini di PIL pro capite, vedono una porzione significativa
del reddito generato internamente sfuggire al controllo delle famiglie
residenti.
Molti paesi
dell’America Latina, come Messico, Cile, Colombia e Costa Rica, presentano
saldi cronici negativi. Il Messico passa da -35 miliardi nel 2010 a oltre -119
miliardi nel 2023, mostrando la dipendenza del paese da investimenti esteri e
la vulnerabilità legata al rimpatrio dei profitti da parte di imprese
straniere. Il Cile segue un percorso simile, sebbene su scala minore, con un
saldo negativo vicino ai -35 miliardi nel 2024. La Colombia ha saldi più
contenuti ma comunque strutturalmente negativi, aggravati tra il 2020 e il
2022, quando il valore annuo supera i -30 miliardi. Queste economie, sebbene in
crescita, non riescono a trattenere i benefici della produzione nazionale
all’interno del paese, una condizione che riflette una debolezza strutturale
nel controllo del capitale produttivo.
Tra le economie
emergenti europee, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria si distinguono per i
saldi negativi che, nel caso polacco, superano i -66 miliardi nel 2022. Si
tratta di economie che hanno beneficiato dell’afflusso di investimenti diretti
esteri e dell’integrazione nelle catene di produzione dell’Europa occidentale,
ma che, al contempo, pagano dividendi e profitti ai paesi investitori, in
particolare Germania e Paesi Bassi. La Repubblica Ceca mostra un andamento
simile, con saldi negativi superiori ai -30 miliardi negli anni precedenti la
pandemia. L’Ungheria mantiene un disavanzo persistente, aggravato nel 2022 e
2023.
In paesi come
l’Italia e la Spagna, il saldo dei redditi primari ha mostrato un'evoluzione
significativa. L’Italia è passata da saldi leggermente negativi nei primi anni
del decennio a valori positivi nel periodo 2016–2022, con un picco di 33
miliardi nel 2020. Questo miglioramento riflette una maggiore redditività degli
investimenti all’estero, una riduzione dei costi per interessi sul debito
pubblico e una maggiore competitività internazionale di alcune imprese
italiane. Tuttavia, nel 2023 e 2024, il saldo torna in territorio negativo,
segno di una possibile inversione di tendenza o di uno squilibrio tra
investimenti esteri attivi e passivi. La Spagna ha vissuto un'evoluzione
simile, passando da un saldo negativo di oltre -21 miliardi nel 2010 a un
piccolo surplus nel 2021, per poi ricadere in disavanzo nel 2023.
Diversi paesi
scandinavi presentano invece saldi strutturalmente positivi. La Danimarca
mantiene un saldo in crescita quasi costante, passando da 3,9 miliardi nel 2010
a oltre 16 miliardi nel 2024. La Norvegia mostra saldi positivi tra 3 e 19
miliardi, sostenuti dalle rendite petrolifere e dagli investimenti sovrani
all’estero. La Svezia registra un saldo crescente, che nel 2024 raggiunge quasi
33 miliardi, confermando il successo del suo modello di economia aperta,
produttiva e con forte presenza internazionale. La Finlandia mantiene un saldo
più contenuto, ma tendenzialmente positivo, con valori tra 1 e 5 miliardi.
Il Regno Unito
mostra un andamento molto instabile, alternando surplus e deficit anche
marcati. Dopo un picco negativo nel 2015 e 2016, con saldi di -60 e -67
miliardi rispettivamente, si osserva un forte recupero nel 2021 e 2022, ma il
valore torna negativo nel 2023. Questa volatilità è legata a fattori sia
strutturali, come l’esposizione finanziaria globale, sia contingenti, come la
Brexit e la pandemia.
In altri paesi
dell’OCSE, l’andamento è misto. Il Canada registra saldi negativi persistenti,
ma di entità relativamente stabile, oscillando tra -26 e -45 miliardi.
L’Australia, pur partendo da un saldo negativo di circa -38 miliardi nel 2010,
riesce a migliorare fino al 2019, ma peggiora bruscamente nel 2021 e 2022, superando
i -80 miliardi. Israele mostra invece un’evoluzione più equilibrata, con saldi
leggermente positivi in alcuni anni, pur rientrando in territorio negativo
negli ultimi periodi.
Alcuni casi
particolari meritano attenzione. I Paesi Bassi hanno avuto un saldo
estremamente variabile, passando da un lieve deficit nel 2010 a un surplus di
oltre 14 miliardi nel 2021, per poi tornare in rosso nel 2023. Questo andamento
riflette la natura del paese come hub finanziario e logistico, con una grande
mobilità di capitali. La Svizzera, nonostante la sua reputazione di centro
finanziario globale, mostra un saldo negativo consistente negli ultimi anni,
superiore ai 25 miliardi nel 2021. Ciò potrebbe essere legato a una riduzione
del flusso netto di rendimenti finanziari a favore della Svizzera o a una
riallocazione degli investimenti da parte delle imprese transnazionali.
La Corea del Sud
presenta un’evoluzione decisamente positiva, passando da un piccolo saldo di
2,3 miliardi nel 2010 a oltre 50 miliardi nel 2023. Questo rafforza il ruolo
del paese come esportatore di capitale e dimostra l’efficacia della strategia
di internazionalizzazione delle imprese coreane. In contrasto, la Turchia
presenta saldi cronicamente negativi che aumentano progressivamente, superando
i -37 miliardi nel 2019. Questo indica una forte dipendenza da capitale estero
e una vulnerabilità strutturale legata al finanziamento del disavanzo delle
partite correnti.
In sintesi,
l’analisi dei saldi dei redditi primari netti rivela una chiara spaccatura tra
paesi creditori e debitori strutturali. I primi tendono a beneficiare di una
rendita stabile derivante dal possesso di asset internazionali, che rafforza il
loro reddito disponibile nazionale. I secondi, invece, pur crescendo in termini
di prodotto interno lordo, vedono una parte significativa della ricchezza
prodotta trasferirsi all’estero, rendendo la loro crescita meno inclusiva e più
vulnerabile alle crisi finanziarie globali. Queste dinamiche pongono
interrogativi cruciali sulla sostenibilità dei modelli di crescita basati sul
capitale estero e sull’effettiva capacità dei paesi di trattenere e distribuire
il valore generato sul proprio territorio.
Fonte: OCSE
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