L’analisi dei dati relativi alla formazione lorda di capitale (Gross Capital Formation, GCF) rappresenta un elemento centrale per comprendere il dinamismo economico di un paese, la sua capacità di attrarre investimenti e di generare crescita sostenibile. Questo indicatore comprende gli investimenti in beni capitali fissi (come macchinari, infrastrutture, edilizia) e le variazioni delle scorte, fornendo una misura dell’accumulazione di capitale in un’economia. I dati qui presentati, convertiti in dollari statunitensi a parità di potere d’acquisto (PPP) e a prezzi correnti, offrono uno spaccato dell’andamento degli investimenti pubblici e privati in oltre 30 paesi tra il 2010 e il 2024, rivelando tendenze, discontinuità, risposte alle crisi globali e traiettorie nazionali.
Nel caso degli
Stati Uniti, l’andamento è coerente con una grande economia in espansione. Si
parte da un livello già molto elevato di 2.809 miliardi di dollari nel 2010,
con una crescita continua fino al 2019, quando si superano i 4.667 miliardi. Il
lieve calo del 2020 è spiegabile con gli effetti della pandemia da COVID-19, ma
la successiva ripresa è netta: oltre 5.700 miliardi nel 2022 e quasi 6.000 nel
2023. Questo trend evidenzia la resilienza degli Stati Uniti e l’efficacia
delle politiche fiscali espansive e monetarie accomodanti nell’alimentare
investimenti anche in tempi di crisi.
La Germania
segue un percorso altrettanto solido, con valori in costante crescita: dai 635
miliardi del 2010 a oltre 1.3 trilioni nel 2022. Il dato è particolarmente
significativo per una nazione con una forte vocazione industriale ed
export-oriented, dove la formazione di capitale è strettamente legata alla
modernizzazione delle catene di produzione e alla transizione energetica. Il
lieve rallentamento nel 2023 (1.249 miliardi) potrebbe riflettere le tensioni
globali in ambito energetico e la decelerazione della domanda internazionale,
ma l’andamento generale resta fortemente positivo.
Anche la Francia
mostra una tendenza in crescita, sebbene con un passo più moderato. Da circa
498 miliardi nel 2010, si passa a oltre 924 miliardi nel 2022. La traiettoria
rivela una certa costanza degli investimenti, in parte guidata dal ruolo dello
Stato e dai piani di rilancio, in particolare nel periodo post-pandemico. L’implementazione
del piano di transizione energetica e dei programmi digitali europei
contribuisce probabilmente a sostenere questi livelli.
L’Italia
presenta un quadro più complesso. Dopo un picco nel 2011 (451 miliardi), gli
investimenti lordi calano per alcuni anni, toccando il minimo nel 2013 (373
miliardi), per poi riprendere gradualmente e registrare un incremento rilevante
tra il 2020 e il 2022, arrivando a 816 miliardi. Questo recupero recente è
quasi certamente collegato all’afflusso di risorse del Next Generation EU, che
ha alimentato piani di investimento pubblico in infrastrutture,
digitalizzazione e green economy.
Nel Regno Unito
si osserva una progressione regolare, interrotta da un lieve calo nel 2020,
come per molte altre economie, ma il trend si riprende rapidamente. Il paese
passa da 370 miliardi nel 2010 a oltre 709 miliardi nel 2022. Questo incremento
indica un settore privato ancora dinamico e una buona attrattività per gli
investimenti esteri, malgrado le incertezze legate alla Brexit.
Il Giappone,
storicamente uno dei paesi con più alta propensione all’accumulazione di
capitale, mostra una crescita continua, da 1.022 miliardi nel 2010 a oltre 1.6
trilioni nel 2023. Il dato conferma la persistente rilevanza del Giappone nel
panorama produttivo globale, e la tenuta dell’apparato industriale nonostante
un contesto demografico sfavorevole e stagnazione dei consumi interni.
La Corea del Sud
evidenzia una traiettoria positiva impressionante. Partendo da 537 miliardi nel
2010, raggiunge oltre 948 miliardi nel 2022. Questa crescita è emblematica del
successo del suo modello economico, fondato su innovazione, export e
investimenti in settori ad alta tecnologia. È anche uno degli esempi più chiari
di come una strategia industriale ben orchestrata possa sostenere un incremento
sostenuto della GCF.
Tra i paesi
emergenti, il caso del Messico è significativo: da 351 miliardi nel 2010 a
oltre 660 miliardi nel 2023. Gli investimenti si mantengono elevati nonostante
l’instabilità politica e i problemi strutturali, suggerendo un forte ruolo
delle multinazionali, in particolare nel settore manifatturiero orientato
all’export verso gli Stati Uniti.
Anche la Turchia
mostra un profilo ascendente, che culmina in un dato record nel 2022, con oltre
1.1 trilioni di dollari. Questo valore, che supera quello della Germania, va
interpretato con cautela: potrebbe riflettere distorsioni legate alla
conversione PPP o a un’espansione inflazionistica non sostenibile. Tuttavia,
evidenzia comunque un’intensa attività di investimento, sia pubblica sia
privata, favorita da una politica monetaria espansiva.
Paesi come
l’Australia e il Canada, ricchi di risorse naturali, mostrano anch’essi un
trend di crescita stabile. L’Australia passa da 249 miliardi nel 2010 a 477
miliardi nel 2023, mentre il Canada da 320 a oltre 627 miliardi nello stesso
arco temporale. Entrambi i paesi hanno visto forti investimenti in settori
estrattivi, energia e infrastrutture, rafforzati dal boom delle materie prime.
La Spagna, dopo
una fase discendente fino al 2013, torna su un percorso di crescita importante,
raggiungendo oltre 546 miliardi nel 2022. Anche in questo caso, la ripresa
post-pandemica e l’afflusso dei fondi europei giocano un ruolo chiave nel
rilancio dell’investimento interno.
I paesi
dell’Europa centrale e orientale mostrano profili simili ma distinti. La
Polonia si distingue con una crescita solida e costante, da 166 miliardi nel
2010 a quasi 375 miliardi nel 2022. La Repubblica Ceca, partendo da 78
miliardi, arriva a oltre 171 miliardi nel 2022, segnando una buona performance,
così come l’Ungheria, che passa da 46 miliardi a 145 miliardi nello stesso
periodo. Questi andamenti riflettono una robusta dinamica di convergenza,
alimentata dai fondi strutturali UE e da un incremento della fiducia degli investitori
privati.
Anche i paesi
baltici — Estonia, Lettonia e Lituania — mostrano tassi di crescita superiori
alla media, partendo da basi modeste ma aumentando costantemente i livelli di
formazione di capitale, fino a raggiungere quasi il triplo dei valori iniziali
nel 2022. Questo testimonia il successo della loro integrazione economica
nell’UE e l’adozione di politiche favorevoli all’impresa e all’innovazione.
Nei paesi
nordici, si riscontrano livelli di GCF coerenti con economie mature. La Svezia
cresce da 88 miliardi nel 2010 a quasi 185 miliardi nel 2023, la Norvegia da 71
a oltre 134 miliardi nel 2022, mentre la Danimarca e la Finlandia mostrano
anch’esse crescite stabili. Questi valori, se rapportati alla popolazione, sono
tra i più alti al mondo, indice di modelli economici avanzati, con un forte
focus su infrastrutture, tecnologia e sostenibilità.
L’Irlanda
rappresenta un caso particolare, con un picco straordinario nel 2019 (quasi 246
miliardi), dovuto probabilmente alle attività delle multinazionali del settore
farmaceutico e tecnologico. Dopo un calo temporaneo, i valori risalgono,
mantenendosi sopra i 160 miliardi nel 2023. Questo riflette la volatilità
derivante dalla dipendenza dell’Irlanda dalle decisioni di investimento di
grandi gruppi globali.
Infine, paesi
più piccoli come il Lussemburgo, la Slovenia o la Slovacchia mostrano una
crescita costante ma contenuta. In tutti i casi, i dati suggeriscono un
miglioramento delle infrastrutture e un allineamento con gli standard europei,
anche se i volumi assoluti restano modesti a causa delle dimensioni economiche.
In conclusione,
i dati sulla formazione lorda di capitale mostrano un quadro globale in cui gli
investimenti, pur con le interruzioni causate dalle crisi, seguono una
traiettoria generalmente positiva. La crescita degli investimenti è sostenuta
da politiche fiscali attive, sostegno europeo, innovazione tecnologica e, in
alcuni casi, da dinamiche inflazionistiche. Le differenze tra i paesi si
riflettono nei ritmi di accumulazione di capitale, nella composizione
settoriale degli investimenti e nella capacità di attrarre risorse esterne. Il
futuro della crescita economica dipenderà in larga parte dalla continuità di
questi investimenti, in particolare quelli orientati alla transizione ecologica,
alla digitalizzazione e alla resilienza dei sistemi produttivi.
Fonte: OCSE
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