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La distribuzione di genere tra gli insegnanti nel 2023: un equilibrio ancora lontano

 

 

 

I dati relativi alla distribuzione delle insegnanti donne nei diversi livelli di istruzione per l’anno 2023 rivelano una marcata tendenza alla femminilizzazione della professione docente, soprattutto nei cicli educativi inferiori. L’analisi comparativa tra i Paesi OCSE e non OCSE selezionati mostra che, in maniera pressoché generalizzata, la quota di donne tra gli insegnanti è particolarmente elevata nell’educazione prescolare ed elementare, mentre tende a ridursi nei livelli di istruzione superiore, specialmente nel segmento universitario e post-secondario non terziario. Questa dinamica evidenzia non solo una questione di composizione di genere nella forza lavoro scolastica, ma richiama anche aspetti culturali, storici ed economici che influenzano l’accesso e la permanenza delle donne nelle professioni accademiche.

In paesi come Austria, Italia, Repubblica Ceca, Lituania, Lettonia e Ungheria, le percentuali di insegnanti donne nei livelli prescolare e primario superano frequentemente il 95 percento, raggiungendo in alcuni casi valori prossimi al 100 percento. Questi numeri indicano chiaramente come l’insegnamento nella prima infanzia sia percepito, sia a livello culturale che occupazionale, come un mestiere fortemente legato alla figura femminile. In parte, ciò può essere spiegato dalla natura educativa e di cura propria di questi livelli scolastici, storicamente associata al ruolo materno. Non a caso, in molti paesi il termine stesso per indicare l’insegnante della scuola dell’infanzia o della primaria ha una connotazione fortemente femminile. Questo fenomeno culturale ha radici profonde e continua a riflettersi nelle scelte professionali delle donne, nonostante i progressi in termini di parità di genere.

Nel passaggio all’istruzione secondaria inferiore, la quota di insegnanti donne inizia a diminuire, pur restando in molti casi maggioritaria. In paesi come Francia, Germania e Corea, si registrano percentuali comprese tra il 65 e il 75 percento. In Italia, Polonia e Portogallo, il dato resta comunque superiore al 75 percento, a testimonianza di una presenza femminile ancora robusta ma già in flessione. L’istruzione secondaria superiore mostra un ulteriore calo della presenza femminile, con paesi come Giappone, Corea e Svizzera che presentano valori inferiori al 50 percento, mentre in altri come Polonia e Lituania le donne rappresentano ancora circa due terzi del corpo docente. La tendenza è chiara: man mano che si sale nella gerarchia educativa, la presenza femminile si riduce, probabilmente in funzione di dinamiche di selezione professionale, requisiti accademici, e carichi lavorativi e gestionali più impegnativi.

Questa decrescita diventa particolarmente marcata nei livelli post-secondari non universitari e soprattutto nella formazione terziaria, dove le donne risultano largamente sottorappresentate. In Germania, Giappone, Corea e Svizzera, ad esempio, la percentuale di docenti donne nell’istruzione terziaria scende sotto il 45 percento, con punte minime intorno al 30 percento. Anche in Italia, pur partendo da un sistema scolastico largamente femminile nei cicli inferiori, le donne costituiscono solo circa il 39 percento del corpo docente universitario. Fanno eccezione alcuni paesi come Lituania, Lettonia e Finlandia, dove le percentuali sono leggermente più alte e sfiorano o superano il 50 percento, segnalando un sistema più equilibrato. Tuttavia, il quadro complessivo resta improntato a un forte squilibrio di genere, che si acuisce proprio nei livelli dove l’insegnamento si fonde con la ricerca e la leadership accademica.

A livello globale, il divario tra i cicli educativi è tanto evidente quanto significativo. La femminilizzazione dei livelli prescolare e primario può essere interpretata come il risultato di una tradizione che ha radicato l’insegnamento ai bambini piccoli nel ruolo sociale della donna, vista come figura di riferimento nell’educazione e nella cura. Tuttavia, questa associazione storica ha prodotto anche una forma di segregazione occupazionale verticale, in cui le donne sono fortemente rappresentate nei ruoli meno prestigiosi, meno retribuiti e meno influenti all’interno del sistema educativo. Al contrario, i livelli superiori dell’istruzione, dove la retribuzione e lo status sociale sono generalmente più elevati, restano in buona parte appannaggio degli uomini, in un quadro che richiama le dinamiche note del cosiddetto soffitto di cristallo.

Le ragioni di questa progressiva esclusione femminile dai livelli superiori dell’insegnamento sono molteplici. In primo luogo, vi è una questione di accesso e permanenza nel mondo accademico, dove le carriere sono spesso lunghe, competitive e richiedono un impegno costante nella ricerca e nella pubblicazione scientifica. In molti contesti, le donne devono confrontarsi con maggiori difficoltà nel conciliare carriera e vita privata, in particolare per quanto riguarda la maternità e le responsabilità familiari. Inoltre, le dinamiche di promozione all’interno delle università e degli istituti superiori possono essere influenzate da bias di genere, che rendono più difficile l’avanzamento professionale delle donne.

Un’altra chiave di lettura importante riguarda la struttura dei sistemi educativi nazionali. Nei paesi nordici, come Finlandia e Norvegia, che tradizionalmente hanno adottato politiche di welfare avanzate e sistemi educativi inclusivi, si nota una presenza femminile relativamente elevata anche nei livelli più alti dell’istruzione. Al contrario, in paesi con modelli educativi più tradizionali e gerarchici, come Giappone e Corea, il divario di genere è molto più pronunciato. Questo suggerisce che le politiche pubbliche, i modelli di conciliazione famiglia-lavoro e le strategie di inclusione possono avere un impatto determinante sulla composizione di genere nel corpo docente.

Inoltre, è interessante notare alcune eccezioni o variazioni all’interno dei livelli stessi. Ad esempio, in paesi come il Belgio e il Portogallo, si osservano percentuali di insegnanti donne relativamente basse già a livello primario o secondario inferiore rispetto alla media OCSE, il che potrebbe riflettere specifiche tradizioni culturali o politiche educative meno orientate alla parità. In alcuni contesti, come in Canada, Regno Unito o Stati Uniti, l’assenza di dati completi su determinati livelli educativi rende difficile una lettura pienamente comparativa, ma i dati disponibili confermano comunque il trend generale di decrescita della presenza femminile salendo lungo il percorso educativo.

Va sottolineato anche che la presenza femminile nel corpo docente, pur elevata in termini numerici nei cicli inferiori, non sempre si traduce in un’adeguata rappresentanza nelle posizioni di leadership. Molte scuole primarie o dell’infanzia sono dirette da donne, ma nei livelli superiori, come rettori di università o dirigenti scolastici di istituti tecnici e licei, gli uomini sono ancora sovrarappresentati. Questa situazione è specchio delle dinamiche sociali più ampie che riguardano il mondo del lavoro e la distribuzione del potere all’interno delle istituzioni.

In prospettiva futura, promuovere l’equilibrio di genere in tutti i livelli dell’istruzione non può limitarsi all’aumento quantitativo delle insegnanti donne nei segmenti superiori. È necessario agire anche sulla qualità delle opportunità, rimuovendo gli ostacoli strutturali che frenano la carriera accademica femminile. Questo significa, ad esempio, riformare i criteri di reclutamento e avanzamento, incentivare la trasparenza nei processi di selezione, sostenere politiche di mentoring e promuovere una cultura istituzionale realmente inclusiva. Le istituzioni educative devono diventare modelli di equità, capaci non solo di insegnare la parità ma anche di incarnarla nei propri assetti organizzativi.

Infine, l’elevata concentrazione di donne nei cicli inferiori dell’istruzione deve essere oggetto di riflessione critica. Se da un lato ciò testimonia una tradizione educativa femminile consolidata, dall’altro rischia di rafforzare stereotipi di genere che associano l’insegnamento dei bambini piccoli alla figura materna. Una maggiore presenza maschile in questi livelli non solo contribuirebbe a una visione più equilibrata dei ruoli di genere, ma offrirebbe anche ai bambini modelli educativi diversificati. Per questo motivo, le politiche di genere nell’educazione devono promuovere la partecipazione equilibrata di uomini e donne a tutti i livelli, non solo incentivando l’accesso delle donne ai livelli superiori, ma anche favorendo la presenza maschile nei cicli primari e prescolari.

In conclusione, i dati del 2023 relativi alla distribuzione di genere tra gli insegnanti nei diversi livelli di istruzione offrono uno spaccato molto chiaro di una realtà che combina elementi culturali, strutturali e istituzionali. La predominanza femminile nei livelli scolastici inferiori e la loro ridotta presenza nei segmenti accademici più elevati rappresentano una sfida importante per i sistemi educativi moderni. Affrontare questa sfida significa non solo correggere uno squilibrio statistico, ma anche costruire una scuola più giusta, più inclusiva e più rappresentativa della società contemporanea.

 

Fonte: OCSE

Link: https://data-explorer.oecd.org/vis?lc=en&tm=Enseignantes%20sexe&pg=0&snb=14&vw=tb&df[ds]=dsDisseminateFinalDMZ&df[id]=DSD_EAG_UOE_NON_FIN_PERS%40DF_UOE_NF_PERS_SEX&df[ag]=OECD.EDU.IMEP&df[vs]=1.0&dq=.ISCED11_0%2BISCED11_1%2BISCED11_2%2BISCED11_3%2BISCED11_4%2BISCED11_5T8......A......F._T&to[TIME_PERIOD]=false&lb=bt&pd=2023%2C2023





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