domenica 20 agosto 2023

Anti-Elitismo dell'Innovazione-Trascrizione

 Di seguito la trascrizione del podcast intitolato "Anti-Elitismo dell'Innovazione" disponibile al seguente link: https://www.spreaker.com/user/angelo.leogrande/angel

  Allora voglio commentare il capitolo di un libro che sto leggendo che si chiama The Power o Creative Destruction. È un libro molto molto interessante che affronta il tema dell'economia e dell'innovazione. Mi sono occupato abbondantemente di economia dell'innovazione non perché sia  un tema particolarmente  affascinante, ma perché per lavoro me ne sono occupato, avendo lavorato per diversi anni in un centro di ricerca che si occupava di nuove tecnologie e anche nel mio lavoro attuale, occupandomi di digitalizzazione ed essendo io un economista perché io non sono un ingegnere, io sono un economista e quindi mi sono occupato degli impatti economici delle nuove tecnologie e ho studiato l'innovazione con alcuni articoli che ho scritto una trentina con i professori Alberto Costantiello e Lucio Laureti della università Lum Giuseppe De Gennaro.

 

 Che cosa mi ha colpito questo libro si chiama The Power creato Destruction and the World for Nations, Filippa Gun serene, Antonin Simone Brunel sono economisti francesi. Infatti il libro è apparso innanzitutto in lingua francese e poi è stato tradotto in inglese pubblicato da Alva University Press. Che cosa possiamo dire?  di questo, di questo di questo capitolo che il capitolo è il sesto capitolo The Seminati di base è un capitolo molto interessante nel quale gli autori dicono che in realtà non è che ci sia tutto questo ottimismo, necessariamente relativamente alla innovazione tecnologica e alla e alle tecnologie. Infatti,  ciò che , gli autori contrappongono la visione di uno storico economico che si chiama Joel Mokyr e la visione di un altro economista, Robert Gordon è ottimista e Robert Gordon invece è pessimista. Entrambi, in realtà hanno le loro motivazioni per essere sia ottimista che pessimista, perché non c'è dubbio, come dice Joel Mokyr, che alla fine anche la rivoluzione informatica produrrà una crescita economica.

 

Però è vero anche quello che dice Gordon, e cioè che se noi andiamo a guardare i tassi di produttività dell'economia statunitense ed anche dell'economia europea a partire dal duemila in poi, notiamo una significativa riduzione dei tassi di produttività. E questo lascia intendere che effettivamente le economie occidentali abbiano dei problemi, allo stato attuale, che queste nuove tecnologie in realtà non sono in grado di aumentare la produttività così come avevano inizialmente promesso, e quindi c'è l'idea di questa stagnazione secolare. Ora la stagnazione secolare è un'idea un po' antica che è stata interrotta nel millenovecentotrentotto da un economista che si chiama Hansen, quando nel suo discorso all'American Economic Association aveva messo in evidenza le difficoltà dell'economia statunitense nel riprendersi dalla depressione. Ovviamente non aveva previsto che di lì a due o tre anni sarebbe incominciata la guerra mondiale.

 

 E  considerazioni analoghe, sperando in un esito sostanzialmente diverso. Sono quelle che hanno spinto l'economista presidente di Harvard, Lawrence Summers, a usare la medesima definizione, ovvero quella di secular stagnation, con riferimento a quello che è successo dopo la crisi del 2007-2008 Sostanzialmente , ci sono degli esempi, ci sono dei casi. Per esempio qua si dice che il Boeing sette zero sette all'inizio  c'è stata una crescita esponenziale della capacità di questo aereo di  essere veloce, di viaggiare velocemente. Però poi a un certo punto chiaramente questa crescita esponenziale si è ridotta ed evidentemente oggi i Boeing volano anche più piano per il semplice motivo che vogliono risparmiare carburante. Ovviamente  c'è un problema di misura, sostanzialmente che gli autori mettono in evidenza.

 

 Sostanzialmente qui si fa riferimento al confronto tra due economie l'economia svedese e l'economia giapponese l'economia svedese, che a seguito di una serie di riforme economiche e fiscali, ha avuto la capacità di crescere molto significativamente a livello economico da un lato, e dall'altro lato l'economia giapponese, che invece, a partire dagli anni novanta è andata incontro ad una riduzione molto significativa dei tassi di crescita economica.

 

 Qual è la realtà? Dove sta la verità? La verità è che con gli attuali strumenti di misurazione, quando noi andiamo a calcolare la produttività, è vero che la produttività è diminuita anche negli Stati Uniti a partire dagli anni duemila. Ora ci si chiede come mai quali sono le motivazioni? Perché le aziende non sono così tanto efficienti? Quali sono i motivi?

 

  che hanno portato le aziende a perdere capacità produttiva.  che gli autori mostrano un grafico come c'è stata effettivamente una riduzione della relazione tra aumento del numero dei ricercatori da un lato e crescita della total factor producticity, cioè gli autori, dicono dal millenovecentocinquanta in poi il numero di ricercatori e ingegneri è aumentato significativamente.

 

 Però questo aumento non ha coinciso con una crescita anche della total factor productivity, cioè della produttività totale dei fattori e quindi la produttività è diminuita, la competitività è diminuita, la capacità innovativa è diminuita, nonostante l'aumento del numero dei ricercatori. Sembra un dato controfattuale. Effettivamente lo è.

 

 Qui si fa riferimento poi alla slow c'è, la legge di Moore, secondo la quale ci sarebbe una crescita  esponenziale, della relazione tra Innova delle innovazioni tecnologiche nel tempo però alla fine gli autori dicono che la legge di Moro in realtà è stata utilizzata soprattutto nel settore dei transistor nel settore dei microchip.

 

 Perché all'inizio si voleva semplicemente misurare la capacità di queste aziende di microchip di o di  di transistore, di aumentare il numero di microchip all'interno di transistor. Quindi questi si diminuivano di dimensioni e nello stesso tempo aumentava il numero di microchip.

 

 E però se si applica un ragionamento simile anche all'industria, per esempio all'industria,  farmaceutica, si nota che anche nel caso dell'industria farmaceutica  c'è stata un'i- una significativa riduzione del numero delle dei brevetti rispetto a quelli che sono invece gli operatori della che lavorano nella ricerca in quello stesso settore e quindi sostanzialmente  da un lato il numero dei ricercatori è aumentato dall'altro lato la  produttività della ricerca è diminuita.

 

 Quindi, , sembra che aggiungere un ulteriore ricercatore ad un certo ad un certo settore non fa progredire né la ricerca né la capacità di quel settore di essere maggiormente produttivo. Ovviamente,  qui, eh? Gli autori si domandano quali sono le motivazioni di questo e perché?

 

 In realtà, molto spesso, quando le aziende investono nella ricerca, non lo fanno veramente per produrre dei nuovi beni e dei nuovi servizi, dicono gli autori. Spesso le aziende investono nella ricerca con finalità difensiva. Cosa significa?

 

 Investono nella vita ricerca perché vogliono andare avanti nelle loro conoscenze per difendersi da eventuali future minacce di mercato. Quindi ci sono aziende che hanno già raggiunto una loro condizione di dominio di un certo mercato, continuano ad innovare semplicemente perché vogliono mantenere quella stessa posizione e poi  in alcuni settori c'è una.

 

 Sembra che ci sia una significativa spesa in termini di ricerca e sviluppo, semplicemente perché ci sono molte aziende che investono in ricerca e sviluppo per fare dei prodotti che sono abbastanza simili tra di loro.

 

 E quindi questo significa che inevitabilmente si viene a creare una crescita del numero di ricercatori, una crescita della spesa in ricerca e sviluppo che non co alla quale però non corrisponde una  crescita anche del settore,  della crescita anche della produttività.

 

 Quindi, , queste sono le motivazioni che impediscono alla all'investimento in ricerca e sviluppo, di tradursi sempre ed immediatamente in una crescita della produttività in nuovi prodotti e nuovi servizi.

 

 Poi, ovviamente,  c'è anche il problema della relazione con l'economia sommersa, nel senso che una delle una delle problematiche che si riscontrano con riferimento all'innovazione tecnologica, la digitalizzazione e così via, è la capacità di valutare il significato, il contenuto economico e finanziario di una certa innovazione tecnologica.

 

 Perché ovviamente le tecnologie cambiano, però le metodologie di calcolo del prodotto interno lordo della contabilità nazionale non riescono veramente a attualizzare quelli che sono i vantaggi economici prodotti da certe innovazioni.

 

 E quindi qui, per esempio, si fa il caso della Kodak ovviamente fino al duemila c'erano circa ottanta miliardi di fotografie che venivano scattate ogni giorno nel nella, nel mondo eh ottanta miliardi all'anno nel mondo.

 

 Poi si è introdotto lo smartphone, lo smartphone ha distrutto completamente il mercato delle macchine fotografiche e in più ha prodotto tutta una serie di alti vantaggi. Quindi dal punto di vista del Pil che cosa è successo?

 

 Che c'è stata una riduzione del Pil, perché tutte quelle persone che compravano le macchine fotografiche e che poi dovevano pagare per sviluppare le fotografie non hanno più dovuto comprare né macchine fotografiche né hanno dovuto pagare per sviluppare le fotografie. E quindi, da un punto di vista strettamente economico, tutte quelle transazioni oggi non sono più ricomprese nel Pil.

 

 Certo, qualcuno potrebbe dire, però sono ricomprese nei telefoni. È vero, però il telefono non fa solo le fotografie, fa anche tante altre attività, tanti altri servizi che comunque non sono adeguatamente rappresentati nel Pil.

 

 O ancora l'autore dice Basti considerare per esempio Wikipedia è gratis, non si paga. Però alla fine, se noi andiamo a verificare, Wikipedia ha prodotto non soltanto un aumento della conoscenza e quindi un valore aggiunto attivo,  così un aumento della conoscenza.

 

 Wikipedia ha anche ridotto creato una perdita, cioè perché molte persone che magari in passato avrebbero acquistato una enciclopedia adesso non acquistano più. Perché appunto c'è Wikipedia.

 

 Quindi da un lato c'è ci sono delle transazioni che non vengono registrate perché Wikipedia è gratis e dall'altro lato c'è una perdita economica perché tutto il settore dell'enciclopedia ha iniziato a vendere meno prodotti è lo stesso,  in generale per la tecnologia, anche un computer. Un computer sostituisce un insieme di oggetti, quindi si crea quasi una perdita economica.

 

 Quindi non è chiaro effettivamente come andare a contabilizzare,  all'interno del sistema della contabilità, contabilità nazionale, tutte queste variazioni e inoltre c'è un ulteriore elemento, e cioè che questi smartphone, per esempio, non vengono prodotti. È un unico paese c'è, una catena globale del valore che coinvolge quasi una ventina o trentina di paesi.

 

 E poi  anche se vengono ideati in California, nella realtà sono prodotti in Cina, A Shenzhen, quindi, , ci sono nell'economia digitale, tanti elementi che non vengono adeguatamente rappresentati all'interno della contabilità nazionale.

 

 Ovviamente  l'autore cerca gli autori cercano di trovare un modo di dare questo  di questo valore,  attraverso una nuovo tipo  di un nuovo tipo  di con di contabilità che loro chiamano quella mi sarebbe la  la il tasso di crescita rilevato, la missing growth sarebbe quel valore portato dalle innovazioni che però non viene rappresentato nel prodotto interno lordo perché non ha dato origine a delle transazioni o è stato meno che compensato dalla scomparsa di alcuni settore attraverso la distruzione creatrice.

 

 E però alla fine gli autori dicono anche se noi andiamo a sommare al tasso di crescita misurato un tasso di crescita  missing, non otteniamo comunque dei valori entusiasmanti e si dimostra comunque una perdita della produttività a partire dagli anni Duemila.

 

 E allora gli autori cercano di di  di andare più a fondo in questa relazione che esiste tra le imprese che sono leader in un certo settore e le imprese che sono follower, cioè le imprese che seguono e dicono gli autori che oggi si è verificata una situazione particolare nel mercato, dove i leader di quando sono tecnologica leader tendono a scoraggiare tutti quanti i follower.

 

 E quindi sostanzialmente le aziende non entrano neanche nei mercati perché sono terrorizzati dalla presenza di aziende cosiddette superstar. Perché le aziende superstar fanno delle performance eccezionali perché le aziende superstar riescono a controllare i mercati.

 

 Quindi un imprenditore prima di fare un'azienda in un mercato dove c'è molta con molta presenza di dove c'è ci sono delle aziende superstar, , magari fa altri investimenti e su questo  possiamo dire che effettivamente questo può avere un senso. Gli autori dicono Perché succede questo?

 

 Perché L'azienda superstar in genere diventa superstar perché ha una capacità di avere un markup più alto che cos'è. Questo sarebbe la differenza tra i costi di produzione e il valore del fatturato? Potremmo dire i ricavi, la marginalità. Ovviamente se Un'azienda ha una marginalità più alta, cresce più velocemente e diventa leader di mercato.

 

 Ora la tecnologia dicono gli autori. Che cosa Che tipo di effetto ha sulle aziende leader? Un'azienda leader con la tecnologia può gestire più processi, più operazioni, più attività, più organizzazioni. Può gestire più mercati e quindi più prodotti, Perché la tecnologia abbatte alcune limitazioni.

 

 Per esempio abbatte la limitazione dei costi fissi oppure abbatte la limitazione del tempo perché magari rende le cose più veloci. E allora le aziende che sono leader di mercato e che sanno usare la tecnologia la utilizzano sistematicamente per guadagnare ancora più competitività.

 

 E quindi questo significa che avendo, essendo aziende che hanno un elevato profitto ed essendo aziende che sanno usare la tecnologia, tendono ad espandere la loro attività anche in altri settori e quindi riducono sempre di più lo spazio disponibile per altre aziende che non sono leader nel mercato, che sono aziende che seguono e questo scoraggia ancora di più i nuovi.

 

 Entrambi  le new entrance, cioè quelle aziende nuove che, , hanno difficoltà ad investire perché si trovano di fronte dei mercati già dominati da aziende che estraggono profittabilità e che hanno anche capacità di generare valore.

 

 E allora,  le imprese superstar, , impediscono di fatto con il loro successo l'ingresso di nuove aziende del mercato e quindi il fatto che non ci siano. Come dire che il numero di aziende tende ad essere subottimale a causa della presenza di aziende leader che scoraggiano i nuovi ingressi. Tutto questo ha un impatto negativo sul Pil e sulla produttività?

 

 Ovviamente, . Dal punto di vista della innovazione tecnologica, però, è anche importante quello che dicono gli autori alla fine, cioè gli autori, alla fine del capitolo dicono se è così, ed effettivamente sembra che sia così.

 

 Cioè se è vero che le aziende leader, che poi sono quelle che sanno usare meglio la tecnologia grazie alla tecnologia, svolgono più attività, aprono nuove aziende, si allargano in altri settori, quindi assumono i connotati delle conglomerate delle holding.

 

 Allora è vero anche dicono gli autori, che bisogna intervenire con le Competition policy, che sarebbero le politiche della concorrenza del mercato per evitare che tutto questo generi poi alla fine delle  conseguenze negative in termini di Pil.

 

 Perché alla fine questi mercati non producono le quantità ottimali che potrebbero produrre qualora esistesse una più  una qualora esistessero delle regole di concorrenza meglio disegnate allora qui si riporta in sintesi una proposta che è stata fatta da un economista di che si chiama Richard Gilbert, in un libro che si chiama Innovation for the high technology economy.

 

 Allora, cosa dice questo economista? Dice in fondo c'è un errore nelle politiche di antitrust.

 

 Perché come calcola come si calcola,  il pericolo che magari una fusione o un acquisition tra due aziende possa generare una riduzione della competitività del mercato, si calcola andando a vedere la market share.

 

 E quindi si dice se poi questa market share non è, non è poi così elevata, allora magari si consente a queste aziende  di diffondersi, di fare emergere ed acquisisce però il problema, dice L'autore. Nella realtà non è questo il discorso che bisognerebbe fare e su questo sono molto d'accordo.

 

 Perché L'autore dice se è vero come è vero che le aziende leader scoraggiano i  i nuovi entranti, allora non bisogna soltanto calcolare banalmente la quota di mercato. Bisogna anche chiedersi quale sarà l'impatto del and acquisition sulla capacità delle altre aziende di innovare in quello stesso settore.

 

 Perché se poi col and acquisition le aziende che si fondono impediscono il tasso di innovazione nel mercato, magari pur avendo una quota minima, quindi dal punto di vista della market share non è una quota  rilevante. Però è rilevante dal punto di vista dell'innovazione, perché questi magari sono tecnologica leader e quindi impediscono ad altre aziende scoraggiando di fare, di fare l'innovazione.

 

 E allora bisognerebbe dice l'autore di questo libro dovrebbero Richard Gilbert bisognerebbe che le autorità per la concorrenza e il mercato inizino anche a calcolare qual è la perdita di innovazione in termini per esempio di brevetti in termini per esempio di nuovi prodotti, nuovi servizi che un certo acquisiti andrebbe a determinare.

 

 E questa mi sembra un'idea molto, molto interessante. Gli autori dicono che anche se Gilbert ha scritto questo libro per criticare gli Stati Uniti, in realtà dicono gli autori, considerazioni simili valgono anche con riferimento all'economia europea.

 

 In conclusione gli autori si domandano sostanzialmente se sia giusto se sia corretto essere ottimisti oppure essere pessimisti nella realtà, . È chiaro che ci sono sia motivazioni di ottimismo per l'incedere della tecnologia, della scienza e delle conoscenze.

 

 Che motivazioni di pessimismo per il fatto che la produttività non cresce, che i mercati diventano sempre più controllati, che c'è sempre più potere di mercato da parte di alcune aziende. E questo potrebbe essere molto negativo nel medio e lungo periodo per il tasso di crescita economico e per il tasso di crescita delle innovazioni tecnologiche.

 

 E quindi ci si domanda se per esempio, l'intelligenza artificiale sarà una tecnologia inclusiva, esclusiva, se creerà ulteriore disuguaglianza. E ovviamente,  gli autori dicono questo deve essere oggetto di politiche di concorrenza.

 

 Cosa possiamo dire di questo? Di questo  di questo capitolo? A me sembra molto, molto interessante. E possiamo ovviamente dire che alla base di tutto, probabilmente c'è un problema nella total factor productivity, perché probabilmente nella total factor productivity non sono adeguatamente rappresentati  i i beni cosiddetti intangibles.

 Cioè, il problema è che quando noi parliamo di economia della conoscenza, quando noi ci riferiamo all'economia informatica, tutta questa roba qui o quando si vuole fare il discorso dell'innovazione del capitale umano, della ricerca e sviluppo, bisogna sapere che il capitale che si usa è un capitale di conoscenza.

 

 Non sono macchine, non sono, sono anche macchine. Però il capitale che si usa veramente è la capacità di usare quelle macchine. Il know-how sono le conoscenze.

 

 Allora il problema nostro,  del nostro mondo attuale, è che noi abbiamo sviluppato un'economia che va nel senso dei beni materiali, dell'del capitale di conoscenza del capitale umano, del know-how, senza che tutto questo sia adeguatamente rappresentato all'interno per esempio di un bilancio di esercizio oppure all'interno di una contabilità nazionale.

 

 Quindi cosa succede che noi spingiamo, ? Il sistema economico spinge le aziende e le organizzazioni ad essere, , sostanzialmente attive, all'interno, , del sistema economico, però nello stesso tempo non consente loro  di generare maggiore,  valore dai beni stessi che si aprono.

 

 Che cosa significa questo? Se noi riusciamo a modificare, però su questo ci vogliono  delle modifiche importanti nei modelli del gas, dei sistemi contabili, sia delle aziende che anche dello Stato.

 

 Se noi riuscissimo a mettere nel capitale nel patrimonio delle aziende, anche il capitale conoscitivo, il know-how però non soltanto nella forma di brevetti.

 

 Anche proprio facendo una valutazione del capitale umano, del fatto che magari ci sono ricercatori, ci sono ingegneri c'è un lavoro che viene portato, che c'è una conoscenza che viene indotta,  in questa azienda. Allora avremmo un aumento della patrimoniale,  di queste imprese e probabilmente queste imprese sarebbero più facilitate nell'ottenere fondi, finanziamenti, debiti e mutui.

 

 Che significa questo? Che si andrebbe a risolvere il problema della patrimonializzazione delle aziende che magari sono start up?

 

 Perché magari un'azienda che c'ha è una start up che però c'ha dieci persone che sono ingegneri, dottori di ricerca, probabilmente potrebbe mettere nel proprio capi- nel proprio bilancio all'interno dello stato patrimoniale dei beni intangibili, cioè beni immateriali che potrebbero essere collaterale per avere risorse finanziarie.

 

 Che significa che magari, a differenza di quello che accade generalmente non si fa l'ipoteca sul capannone. In quel caso perché il capannone non c'è. Ci sono delle persone che hanno  delle competenze e delle conoscenze.

 

 Si fa magari un mutuo garantito da questa valutazione del capitale umano, allora questo è quello che bisogna fare, perché se non si sviluppano delle metriche per andare a valutare il contenuto di conoscenza che è presente all'interno delle aziende. È chiaro che non si darà mai una rappresentazione di quanto  valore c'è in quelle innovazioni tecnologiche.

 

 Ed è chiaro che sembrerà che la total factor productivity diminuisce, ovviamente, perché se oggi con un macchinario efficiente si fanno i prodotti che prima si facevano con dieci macchinari, eh ci sono dieci macchinari in meno che sono stati venduti e sembra che il capitale che tu usi è di meno ed effettivamente è meno però quale capitale meno e quale capitale?

 

 Più è di meno il capitale fisico ed è di più il capitale intangibile tangibile di materiali. Quindi bisognerebbe introdurre,  quello, lo ripeto, questi sono fenomeni,  che richiedono la partecipazione alla contabilità nazionale.

 

 Ci sono gli international accounting standard, insomma bisogna mettere insieme contabili, pubblici e privati.

 

 Però questa è la  l'elemento che bisogna fare se nella productivity noi riuscissimo a introdurre valutazioni metri dell'intangible della conoscenza che poi danno origine per le imprese possibilità di avere finanziamenti, mutui e così via. Questo avrebbe degli impatti assolutamente positivi sulla stessa produttività dei fattori. Perché questo sarebbe crescente.

 

 A questo punto allora, visto che si richiede nell'economia della conoscenza, si richiede al capitale umano di avere certe caratteristiche. È bene che queste caratteristiche siano valutate nella dimensione dello stato patrimoniale di alcune aziende stesse.

 

 Questo se non si farà questo, noi andremo avanti nell'economia della conoscenza, perché gli incentivi che si danno oggi ai lavoratori sono quelli. Però non ne avremo mai una rappresentazione all'interno degli stati patrimoniali, dei conti economici, dei bilanci, delle aziende e anche del bilancio dello Stato e sembrerà come se c'è qualcosa che sta diminuendo.

 

 Però in realtà non è così. È semplicemente che il processo di accumulazione capitalistico attuale avviene attraverso forme e metodologie che non sono adeguatamente rappresentate dai sistemi di contabilità nazionale e privati attuali.

 

Su questo ci sono, , tante, tante,  anche eh, come dire tante metodologie che sono state introdotte per valutare l'intangibles. Però ecco, non c'è stata. Per esempio, per fare un esempio, è un po' come l'idea di misurare la felicità interna, il no felicità interna lorda invece del PIL prodotto interno lordo.

 

 Valutare la felicità interna lorda allora qui è la stessa cosa. Cioè invece di valutare il capitale fisico si si valuta il capitale immateriale.

 

 Però bisogna sviluppare delle metriche per questo, perché attualmente non ci sono queste metriche se non per alcune eccezioni, come per esempio i brevetti, le licenze e così via. Però il valore del capitale umano di Un'azienda, che magari ha il capitale umano molto elevato, non viene rappresentato all'interno dell'impresa stessa.

 

 Quindi, in sintesi, con questo volevo dire insomma che ci sono delle modifiche da fare, che siano conseguenze conseguenti alla rivoluzione, alla rivoluzione che in cui ci troviamo, che è quella tecnologica digitale. Per esempio, quando c'è stata la rivoluzione delle macchine si è capito che nel bilancio delle aziende bisognerà mettere le macchine perché le macchine erano capitali.

 

 Oggi c'è una rivoluzione della conoscenza. Però se noi prendiamo i bilanci delle aziende non troviamo da nessuna parte dei metodi di valutazione della conoscenza. Eppure si chiede alle aziende di essere leader nella conoscenza.

 

 E questo è paradossale ed è il motivo per cui non ci si trova. Da un lato abbiamo una crescita delle tecnologie disponibili e dall'altro lato sembra come se il Pil non cresce, la produttività non cresce, non ci sono dei vantaggi, non ci sono dei vantaggi. Lo ripetiamo l'ennesima volta perché mancano degli adeguati strumenti di valutazione dei beni materiali, delle degli effetti del digitale.

 

 Gli autori fanno vari esempi su questo e  loro sostanzialmente si riferiscono. Ha modi alternativi di misurare il Pil. Però dal mio punto di vista bisognerebbe proprio agire con una riforma strutturale che consenta di valutare la dotazione di capitale immateriale presente all'interno dei paesi.

 

 Perché noi oggi se noi andiamo sul sito dell’ISTAT, sul sito dell’Eurostat, sul sito dell’OCSE o andiamo a vedere i dati della Banca Mondiale, non troviamo mai delle misure dell'Intel. Al massimo cosa troviamo? Troviamo il numero di ricercatori per mille abitanti troviamo la spesa in ricerca e sviluppo in percentuale del Pil.

 

 Però non abbiamo mai delle misure che ci dicono quanto capitale immateriale sta in un certo Paese. Quanti intangible ci sono in un certo Paese? Perché è utile saperlo? Perché ovviamente se in un paese ci sono tanti intangible che possono essere utilizzati nell'economia della conoscenza, ovviamente in quei paesi sarà assai più facile andare ad investire.

 

 E attenzione si possono anche combinare delle variabili che già esistono, per esempio su questo. In questo senso mi riferisco allo European Innovation Scoreboard, che è una statistica della Commissione Europea che è tutta rivolta.

 

  a questa dimensione di valutare gli elementi immateriali. Però, ecco, al di là di questo, noi non abbiamo veramente un sistema contabile, sia pubblico che privato, che ci consenta di intendere chiaramente di rispondere a una certa domanda qual è il capitale immateriale che si trova in un certo posto?

 

 Questo non non lo sappiamo. Sappiamo quanti lavoratori ci sono. Sappiamo che certi lavoratori sono laureati e altri no. Però quanto vale?  la conoscenza di un certo lavoratore? Non lo sappiamo. Questo non abbiamo, non siamo riusciti a stimarlo.

 

 Ecco, se si trovassero delle metodologie per stimare questi elementi, ovviamente si avrebbe la possibilità di inserire questi valori negli Stati patrimoniali. Perché è importante questo? Perché adesso noi dobbiamo immaginare che i leader di mercato sono leader di mercato. E vabbè, hanno già vinto la partita. Però l'azienda piccola che c'ha dieci dipendenti e che deve iniziare a produrre e a rinnovare.

 

 Se potesse mettere nel suo bilancio il capitale umano, le conoscenze, il capitale materiale che ha potrebbe avere già una patrimonializzazione. Quindi potrebbe chiedere delle risorse finanziarie ai capitali, alle banche, ai mercati, a quello che sia questa è la motivazione per cui, , ci sono c'è bisogno di intervenire a livello di contabilità pubblica e privata per il riconoscimento di.

 

 A quel punto potremmo verificare che in realtà non c'è stata una riduzione della total productivity c'è stata al massimo una,  una un investimento da alcuni fattori di produzione verso altri fattori di produzione.

 

 Questo è quello che . Si potrebbe verificare in quel punto. E probabilmente questo aiuterebbe tante aziende ad andare meglio nel mercato, perché potrebbero vincere più facilmente la partita finanziaria.

 

 Per quanto riguarda infine il modello che gli autori propongono azienda le dell'azienda incumbent azienda le dell'azienda entrante e io sono d'accordo con quello che dicono gli autori. È vero, quando in un mercato ci sono i leader di mercato c'è poco da fare.

 

 Oggi nessuno immaginerebbe di fare un motore di ricerca, non ci sono startup che si propongono come motori di ricerca, nessuna startup si propone di fare un social network. Non ci sono start up,  che si propongono di fare un market place per l'e-commerce.

 

 Perché questi mercati sono così evoluti e sono due servizi così aggressivi che ovviamente chiunque verrebbe fatto fuori,  da questo tipo di mercati che già ci sono. Però ecco, quello che noi possiamo dire è che se appunto si eh,  si dessero valori finanziari a queste aziende nuove, magari questi avrebbero più risorse per fare nuove cose.

 

 E poi bisognerebbe forse impedire alle grandi aziende. Per esempio bisognerebbe impedire a Facebook, a Google e ad Amazon di fare lo shopping aziendale, cioè di andare in giro a comprarsi tutte le startup, perché è questo quello che fanno Facebook, Google e Amazon.

 

 E ovviamente alla startup gli conviene perché faccio l'esempio di Google Brain, per esempio, che è una startup che poi è stata comprata da che è diventata Google Brain.

 

 Però prima ero una startup che poi è stata comprata ed internalizzata nell'azienda. Ma così come ci sono tanti altri servizi  e su questo probabilmente bisogna intervenire.

 

 Però il problema è sempre lo stesso Come fa ad intervenire il garante della concorrenza e del mercato in un sistema dove c'è lobbismo e dove le aziende tech finanziano?  una importante attività di lobby nei confronti del Parlamento nei confronti delle istituzioni e del Governo? Praticamente impossibile.

 

 Quindi noi quello di cui abbiamo bisogno oggi sono tre cose se vogliamo cambiare,  questo sistema io sono d'accordo con quello che dicono gli autori ci sono delle criticità c'è bisogno di tre cose punto numero uno l'abbiamo già detto serve, , una contabilità nuova punto numero due servono, , delle mettere dei limiti alle grandi aziende quando queste vogliono comprare le startup e numero tre serve una nuova, come dire una nuova generazione di quelli che sono i civil.

 

 Cioè sono come dire i servitori dello Stato. Possiamo dire così, che abbiano in mente un mondo di valori democratici e di libero mercato e non invece l'idea di appartenere ad un elite, ad una classe che si deve autodifende, che si deve auto perpetrare perché il problema occidentale questo è vero.

 

 Noi adesso  io lo dico qui però l'ho detto anche in altri podcast e in altre cose che ho letto è vero che l'o- l'occidente si sta orientali realizzando è vero, perché l'occidente sta sviluppando un'idea elitaria di classe dirigente chiusa e lo vediamo lo vediamo noi politici che sono sempre gli stessi, lo vediamo nelle classi dirigenti che sono sempre gli stessi.

 

 Lo vediamo nella circolazione, per esempio, della classe dirigente da Google al Governo Americano e dal Governo Americano a Google. In questo sistema di porte girevoli vediamo un mondo che diventa in Italia questo non è l'occidente.

 

 Attenzione. Il mondo occidentale quando si è orientato l'elitismo ha sempre avuto tantissimi problemi, perché poi aumentano le diseguaglianze perché poi si rompono i sistemi democratici perché poi succedono le cose che sono successe già in passato. Quindi bisogna essere molto attenti a questo.

 

 E soprattutto  bisogna tenere il fatto che la classe dirigente occidentale oggi strizza l'occhio, all'oriente e magari invidia l'oriente no, si invidiano le classi dirigenti orientali perché sono chiuse, perché sono elitarie, perché possono permettersi di usare la diseguaglianza contro la popolazione. E allora anche l'occidente si chiude l'elitismo di una classe dirigente che si ritiene abbia  dei privilegi.

 

 Ecco, questo lo ripetiamo non è l'occidente, non è la democrazia, non è il libero mercato, è un mondo vecchio che abbiamo già visto, che ha già capito che non funziona perché, come a come dicono gli autori, è vero che ci troviamo in una crisi di produttività e che se continua così, ovviamente porterà a vincere gli orientali.

 

 Giustamente diremo anche perché alla fine questo è il loro modello è il modello degli orientali, quello di avere una classe dirigente chiusa. E invece noi abbiamo bisogno, in Europa e negli Stati Uniti, nel mondo occidentale di una nuova era di civil servant di cioè di servitori dello stato, di servitori della comunità, di persone che svolgono il lavoro con l'idea dei principi, dei valori della democrazia e di buon mercato.

 

 Perché questo ci consentirà di impedire la corruzione, di impedire che il lobbismo vinca sulla giustizia, laddove invece sia la giustizia a vincere sul lobbismo e di creare un sistema che sia più equo, dove certamente ci saranno ancora dei ricchi. Però saranno ricchi perché avranno fatto qualcosa, oltre che dare una tangente o pagare,  un lobbista.

 

 Quindi bisogna tornare ad un Occidente che produce, ad un incidente che Innova e ad un Occidente che confuta se stesso e la propria classe dirigente che mette in crisi la propria classe dirigente, perché in quella crisi della classe dirigente c'è la democrazia c'è la libertà e c'è la possibilità di prosperare

 

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