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Umbria e Sicilia registrano la crescita più
forte nei tassi di passaggio all’università tra il 2013 e il 2021.
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La Campania segna un calo marcato, con il tasso
più basso e una variazione negativa del decennio.
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Il Nord mostra stabilità, mentre il Centro e il
Sud evidenziano dinamiche di crescita più vivaci.
L’analisi dei
dati relativi al passaggio all’università, riferiti al tasso specifico di
coorte per le regioni italiane nel periodo 2013-2021, offre un quadro complesso
e stratificato delle tendenze territoriali nell’accesso agli studi
universitari. I valori rappresentano la percentuale di diplomati che si immatricolano
all’università nell’anno successivo al conseguimento del diploma, fornendo
dunque un indicatore significativo del grado di continuità formativa e
dell’orientamento dei giovani verso l’istruzione terziaria. Complessivamente,
il periodo analizzato mostra un’Italia divisa, con regioni che registrano
miglioramenti sensibili e altre che invece evidenziano una contrazione del
tasso di transizione universitaria. La variabilità regionale, espressa sia in
termini assoluti che percentuali, riflette differenze economiche, sociali e
culturali che influenzano in modo diretto le scelte post-scolastiche dei
giovani.
Il Piemonte, con
valori oscillanti tra il 51,7 e il 55,7 per cento, mantiene una sostanziale
stabilità nel periodo, mostrando una variazione positiva minima di 0,4 punti
percentuali rispetto al 2013. Tale andamento indica una sostanziale continuità
del sistema piemontese, in cui la propensione all’iscrizione universitaria non
subisce scosse né in positivo né in negativo. È plausibile ritenere che
l’offerta formativa articolata e la presenza di poli universitari consolidati
come Torino abbiano garantito una certa costanza, ma allo stesso tempo il
rallentamento nella crescita potrebbe derivare da fattori strutturali, come
l’inserimento precoce nel mercato del lavoro tecnico o la scelta di percorsi
professionali alternativi.
In Valle
d’Aosta, i dati sono parzialmente incompleti, ma quelli disponibili mostrano
una flessione piuttosto marcata: dal 52,6 per cento del 2013 si scende al 51
per cento nel 2021, con una perdita di 1,6 punti e una variazione percentuale
negativa superiore al 3 per cento. Questo andamento negativo potrebbe essere
connesso alle dimensioni ridotte del sistema scolastico e all’assenza di
un’università regionale vera e propria, che spinge i diplomati a migrare verso
altre regioni o a rinunciare all’iscrizione universitaria per motivi economici
e logistici.
La Liguria
mostra invece una moderata crescita, passando da un 55,1 per cento nel 2013 a
un 56,4 nel 2021. La variazione di 1,3 punti percentuali rappresenta un
incremento contenuto ma significativo, soprattutto se si considera la crisi
demografica e la riduzione del numero di diplomati che ha interessato la
regione. Tale tenuta può essere attribuita alla buona presenza di atenei di
riferimento come Genova e alla progressiva valorizzazione delle competenze
digitali e marittime, settori che nella regione hanno conosciuto un rinnovato
interesse e un’integrazione con i percorsi universitari.
In Lombardia, la
regione con il sistema universitario più vasto del Paese, i dati oscillano tra
il 52,6 e il 55,9 per cento, con una variazione positiva complessiva di 0,9
punti. Si tratta di un incremento limitato, ma coerente con una regione in cui
l’accesso all’università è già storicamente alto e in cui la concorrenza con il
mercato del lavoro qualificato e tecnico è forte. Milano e le altre città
universitarie lombarde continuano ad attrarre studenti, ma la crescita
contenuta segnala anche un possibile equilibrio ormai raggiunto tra percorsi
formativi e occupazionali alternativi.
Il Trentino-Alto
Adige presenta dati disponibili solo a partire dal 2018, con valori molto
inferiori rispetto alla media nazionale, tra il 33,9 e il 38,4 per cento.
Questo quadro indica una specificità regionale rilevante, probabilmente legata
a un modello educativo duale più orientato verso la formazione professionale e
tecnica piuttosto che verso l’università. La presenza di istituti tecnici
avanzati e l’influenza del modello tedesco di apprendistato sembrano giocare un
ruolo determinante nel ridurre la propensione al proseguimento degli studi
universitari.
Il Veneto, al
contrario, registra un miglioramento tangibile, con un incremento di 1,8 punti
percentuali e una crescita del 3,5 per cento in termini relativi. Dal 50,5 del
2013 si passa al 52,3 nel 2021, segno di una graduale ma costante tendenza
positiva. La rete universitaria veneta, con atenei di rilievo come Padova,
Venezia e Verona, ha probabilmente contribuito a rafforzare la percezione
dell’università come investimento formativo. Anche l’introduzione di corsi
professionalizzanti e il miglioramento dei collegamenti territoriali hanno reso
più accessibile la prosecuzione degli studi.
Il
Friuli-Venezia Giulia è una delle regioni che mostra la crescita più
consistente, passando da un 51,3 per cento nel 2013 a un 54,8 nel 2021, con un
incremento assoluto di 3,5 punti e una variazione percentuale superiore al 6
per cento. Tale risultato riflette probabilmente l’impegno regionale nel
sostegno all’orientamento universitario e l’efficacia delle politiche di
internazionalizzazione e collaborazione transfrontaliera che caratterizzano
atenei come Trieste e Udine.
In
Emilia-Romagna la variazione è positiva ma moderata, con un incremento di 1,7
punti e un tasso che passa dal 53,2 al 54,9 per cento. Si tratta di una
crescita costante, coerente con una regione in cui il sistema universitario è
fortemente radicato e diffuso. Bologna, Modena, Parma e Ferrara costituiscono
poli di attrazione consolidati e contribuiscono a mantenere elevato il livello
di accesso all’università, anche grazie alla capacità di integrare istruzione,
ricerca e innovazione industriale.
La Toscana
evidenzia una crescita più marcata, da 51,8 a 54,1 per cento, con una
variazione di 2,3 punti. L’incremento risulta significativo, anche in virtù del
forte radicamento culturale dell’istruzione superiore in una regione con un
tessuto universitario storico e diffuso. Firenze, Pisa e Siena continuano a
esercitare un ruolo di traino, ma si nota anche un’attenzione crescente verso
percorsi scientifici e tecnologici, che tradizionalmente avevano avuto minor
peso rispetto a quelli umanistici.
Molto
interessante è il caso dell’Umbria, che registra una crescita straordinaria:
dal 50,5 per cento nel 2013 al 58,4 nel 2021, con un aumento di quasi otto
punti e una variazione percentuale superiore al 15 per cento. Tale progresso
può essere interpretato come frutto di un processo di valorizzazione del sistema
universitario locale, in particolare Perugia, e di una politica regionale
orientata al sostegno degli studenti, anche attraverso borse di studio e
incentivi all’iscrizione. L’Umbria si conferma così una delle regioni più
dinamiche nel panorama nazionale in termini di accesso all’università.
Anche le Marche,
il Lazio e l’Abruzzo mostrano un’evoluzione positiva significativa. Le Marche
passano da 53,1 a 57,4 per cento, con una crescita di 4,3 punti, mentre il
Lazio migliora di 4,7 punti, arrivando al 56,3 per cento nel 2021. In entrambe
le regioni, la presenza di poli universitari di riferimento e un forte legame
tra istruzione superiore e opportunità professionali sembrano aver incentivato
la prosecuzione degli studi. L’Abruzzo, con un incremento di 4 punti, si
attesta tra le regioni con i tassi più alti del Sud, superando il 59 per cento.
Questo dato è particolarmente rilevante se si considera che l’area meridionale
tende generalmente a registrare valori inferiori.
Il Molise,
nonostante le oscillazioni, evidenzia anch’esso una crescita di oltre 3 punti
percentuali, arrivando a un 59,4 per cento. È un risultato sorprendente per una
regione piccola, ma che dimostra una forte propensione all’istruzione
universitaria, forse anche come risposta a una limitata offerta lavorativa
locale.
Decisamente
opposto è il quadro della Campania, che mostra una riduzione del tasso di
passaggio all’università di 4,8 punti, passando dal 44,6 al 39,8 per cento. La
variazione percentuale negativa di oltre il 10 per cento rappresenta una delle
peggiori performance del Paese. Le cause possono essere molteplici: difficoltà
economiche, tasso di disoccupazione giovanile elevato, migrazione verso il Nord
o l’estero e un contesto socioeducativo meno favorevole alla prosecuzione degli
studi. Tale contrazione rappresenta un campanello d’allarme per le politiche
regionali e nazionali.
La Puglia,
invece, segna un incremento importante di 5,7 punti, raggiungendo nel 2021 il
51,8 per cento. Si tratta di un miglioramento del 12 per cento, che indica una
tendenza positiva e una crescente fiducia nell’università come opportunità di
riscatto sociale. Analogo andamento si riscontra in Basilicata, Calabria e
Sicilia, seppure con intensità diverse. La Basilicata cresce di 1,8 punti, la
Calabria di 1,1 e la Sicilia di ben 6,8 punti, quest’ultima con una variazione
percentuale del 16 per cento, la più alta in assoluto. Questi dati suggeriscono
un lento ma costante processo di recupero dell’area meridionale, anche se le
differenze interne rimangono marcate.
La Sardegna
chiude il quadro con un incremento moderato di 2,8 punti, arrivando al 48,9 per
cento. Sebbene resti al di sotto della media nazionale, la tendenza è positiva
e segnala una progressiva stabilizzazione del sistema universitario isolano.
In sintesi,
l’Italia settentrionale appare complessivamente stabile, con variazioni
contenute ma coerenti, mentre il Centro e il Sud mostrano dinamiche più
accentuate, sia in senso positivo (come in Umbria e Sicilia) sia negativo (come
in Campania). L’analisi del periodo 2013-2021 evidenzia dunque un sistema
formativo nazionale che, pur tra squilibri regionali, tende a consolidare il
ruolo dell’università come strumento di crescita, ma anche a riflettere le
disuguaglianze economiche e territoriali del Paese. Le regioni che hanno
investito in orientamento, accessibilità e sostegno economico hanno ottenuto i
risultati migliori, confermando quanto le politiche pubbliche possano incidere
sulle scelte educative delle nuove generazioni.
Macro-regioni.
L’analisi dei dati relativi al passaggio all’università tra il 2017 e il 2021
mostra una sostanziale stabilità a livello nazionale, con un tasso medio
italiano che oscilla tra il 50,4 e il 51,9 per cento, senza variazioni
significative. Tuttavia, dietro questa apparente uniformità si celano
differenze territoriali rilevanti, che evidenziano ancora una volta il
persistente divario tra Nord e Sud. Il Nord complessivamente mantiene valori
più alti della media nazionale, attestandosi tra il 52,5 e il 54,4 per cento.
Al suo interno, il Nord-Ovest si distingue per i risultati migliori,
raggiungendo un picco del 55,8 per cento nel 2020, mentre il Nord-Est si
mantiene su livelli leggermente inferiori ma comunque solidi, intorno al 52 per
cento. Questi dati riflettono un contesto socioeconomico più favorevole, caratterizzato
da una maggiore presenza di poli universitari e da una cultura formativa più
radicata. Il Centro mostra un andamento costantemente positivo: dal 53,4 per
cento del 2017 cresce fino al 56,2 del 2020, per poi stabilizzarsi al 56 nel
2021. Si tratta dell’area che registra il progresso più significativo,
probabilmente grazie al rafforzamento delle università e alle politiche di
orientamento e sostegno agli studenti. Il Mezzogiorno, comprendente Sud e
Isole, rimane invece il territorio con i valori più bassi. Il Sud passa da 46,9
a 46,4 per cento, evidenziando una lieve flessione, mentre le Isole migliorano
fino a raggiungere il 49,1 per cento. In sintesi, l’Italia conferma una
polarizzazione geografica: il Centro-Nord consolida il primato, mentre il Mezzogiorno
mostra segnali di stagnazione nonostante qualche miglioramento insulare.
Fonte: ISTAT-BES
Link: www.istat.it
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