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Italia cresce nei laureati 25-34 anni, ma
resta indietro rispetto agli obiettivi europei.
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Nord stabile, Centro in forte crescita,
Mezzogiorno migliora ma persiste un forte divario territoriale.
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Sud e Isole registrano progressi
percentuali rilevanti, ma i livelli assoluti restano ancora bassi.
L’analisi dei dati relativi ai laureati e ad
altri titoli terziari nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni nelle
diverse regioni italiane dal 2018 al 2023 permette di osservare dinamiche molto
interessanti, sia in termini assoluti che percentuali, con differenze marcate
tra le varie aree del Paese. In primo luogo si nota che a livello complessivo
il trend nazionale è di lieve crescita, ma la distribuzione territoriale rivela
profonde disomogeneità che rispecchiano, in parte, la tradizionale spaccatura
tra Nord e Sud. Prendendo in esame le singole regioni, il Piemonte si caratterizza
per una sostanziale stabilità, con valori oscillanti tra il 27 e il 29% e un
leggero aumento che porta dal 28,3% del 2018 al 29,5% del 2023, con una
variazione assoluta di 1,2 punti e una percentuale del 4,2. La Valle d’Aosta
mostra invece un andamento molto più dinamico, con una crescita significativa:
dal 27,6% del 2018 si arriva al 32,5% nel 2023, con un guadagno di quasi 5
punti e una variazione percentuale vicina al 18%, segnale che in un territorio
così piccolo anche modesti spostamenti numerici possono avere un impatto
proporzionalmente elevato. La Liguria registra anch’essa una crescita discreta,
passando dal 29,2% al 31,2% con un incremento del 6,8% che indica una tenuta
positiva nonostante alcune flessioni intermedie. La Lombardia, regione più
popolosa e centrale per il mercato del lavoro, vive una fase di oscillazioni
notevoli: dal 34% del 2018 scende al 30,7% nel 2021 per poi risalire con
decisione fino al 35,2% del 2023. Questo andamento riflette forse dinamiche
legate alla mobilità studentesca e alla forte attrattività di Milano come polo
universitario, ma anche agli effetti della pandemia sulla prosecuzione degli
studi. Il Trentino-Alto Adige, al contrario, mostra un calo netto: dal 29,6%
del 2018 scende al 28,5% del 2023, con una perdita dell’1,1% e una variazione
negativa del 3,7%. È un dato interessante perché questa regione viene spesso
percepita come particolarmente virtuosa in termini di servizi e qualità della
vita, ma non necessariamente in termini di scolarizzazione terziaria, forse per
la forte tradizione di impiego diretto nei settori primario e turistico. Il
Veneto mantiene valori piuttosto stabili con una lieve crescita: dal 32,1% del
2018 al 32,9% del 2023, una variazione modesta di 0,8 punti che indica una
condizione di consolidamento. Il Friuli-Venezia Giulia invece segna un calo
importante: dal 35,5% del 2018 al 31,6% del 2023, perdendo quasi 4 punti e
registrando la flessione più rilevante del Nord. Si tratta di una variazione
del -11% che merita attenzione, perché potrebbe derivare da un
ridimensionamento della capacità attrattiva degli atenei regionali oppure dalla
scelta dei giovani di migrare altrove per proseguire gli studi.
L’Emilia-Romagna si colloca anch’essa in un’area di contrazione, scendendo dal
34,1% del 2018 al 32,9% del 2023 con una perdita di 1,2 punti, pari a un -3,5%.
Toscana e Umbria offrono invece un quadro in controtendenza: la prima passa da
29 a 31,3 con una crescita di 2,3 punti e quasi l’8% in più, mentre l’Umbria
segna uno dei balzi più rilevanti, dal 28,4% del 2018 al 34,4% del 2023, con un
incremento di 6 punti pari a oltre il 21%. Le Marche crescono in maniera
significativa dal 29,7% al 34,8, guadagnando 5,1 punti e il 17,2% in più,
mostrando quindi un deciso miglioramento dell’istruzione terziaria. Il Lazio,
grazie alla presenza di grandi poli universitari a Roma, segna l’aumento più
consistente tra le regioni centrali: dal 31,7% al 38,4% con un guadagno di 6,7
punti e una variazione del 21,1%. Qui appare chiaro il ruolo della capitale
come centro di formazione e attrazione per studenti da tutta Italia. Passando
al Sud, Abruzzo, Molise e Campania raccontano storie molto diverse. L’Abruzzo
cresce in modo impressionante dal 23,8% al 29,1% con una variazione di 5,3
punti pari a oltre il 22%, mentre il Molise mostra oscillazioni ma nel
complesso resta stabile, con un aumento minimo dell’1,3% dal 30,5% al 30,9%. La
Campania invece parte da livelli molto bassi, il 21,3% nel 2018, ma cresce fino
al 26,6% nel 2023 con un guadagno del 25% che rappresenta uno dei progressi più
vistosi, pur rimanendo tra le regioni con meno laureati. In Puglia il percorso
è meno brillante, con una crescita modesta dal 21,6% al 22,8%, pari solo al
5,6%. La Basilicata registra un andamento altalenante ma nel complesso positivo,
passando dal 26,2% al 27,8% con un aumento di 1,6 punti. La Calabria invece
mostra un incremento molto consistente, dal 21,9% al 27,6%, con un guadagno di
5,7 punti e una crescita percentuale del 26%, tra le più alte di tutto il
Paese. La Sicilia rimane indietro, ma anche qui si notano miglioramenti: dal
19,3% al 21,8%, con un incremento di 2,5 punti pari al 13%. La Sardegna invece
segna una crescita netta, dal 21,5% al 27%, con 5,5 punti guadagnati e una
variazione del 25,6%. Se si osserva il quadro generale emergono alcuni spunti
fondamentali. Le regioni del Nord e parte del Centro, già dotate di livelli
relativamente alti di laureati, tendono a rimanere stabili o a crescere
leggermente, in alcuni casi persino a calare come in Friuli, Trentino ed Emilia-Romagna.
Questo indica che probabilmente si è raggiunta una certa saturazione o che
altri percorsi formativi e lavorativi assorbono una parte della popolazione
giovanile. Al contrario, molte regioni del Sud, che partivano da valori molto
bassi, mostrano incrementi percentuali molto elevati, a dimostrazione di una
convergenza lenta ma significativa. Tuttavia in valori assoluti restano ancora
sotto la media nazionale, confermando il divario territoriale storico. Le
regioni più virtuose in termini di crescita relativa risultano Calabria,
Campania, Sardegna, Abruzzo e Lazio, mentre quelle con performance meno
brillanti o negative sono Friuli, Emilia-Romagna, Trentino e Puglia. Questi
dati aprono riflessioni importanti sulle politiche di istruzione e sul ruolo delle
università come motori di sviluppo. Nel Nord, dove la presenza di poli
universitari è storicamente consolidata, la sfida è forse quella di mantenere
alta la qualità e l’attrattività internazionale piuttosto che aumentare i
numeri, mentre al Sud il problema resta l’accesso agli studi superiori, la
dispersione scolastica e la migrazione verso altre regioni. Da un punto di
vista economico, la disponibilità di laureati giovani è un indicatore cruciale
per la competitività dei territori, perché influenza la capacità di attrarre
investimenti e di innovare. Le regioni che riescono a incrementare la quota di
popolazione con titoli terziari hanno più probabilità di inserirsi nelle
dinamiche della knowledge economy, mentre quelle che restano indietro rischiano
di consolidare modelli produttivi meno innovativi e più vulnerabili alle crisi.
La crescita di regioni come Lazio e Umbria dimostra che anche in aree
tradizionalmente non ai vertici è possibile innescare dinamiche virtuose,
probabilmente grazie a politiche universitarie, incentivi locali e alla
capacità di trattenere gli studenti. Nel Sud il dato incoraggiante è che, pur
partendo da valori bassissimi, si osserva un miglioramento diffuso e
consistente, anche se resta da capire quanto di questa crescita corrisponda a
un effettivo inserimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro locale e
quanto invece sia legata a migrazioni verso altre aree. Nel complesso quindi, i
numeri raccontano una storia di luci e ombre: da un lato segnali incoraggianti
di convergenza territoriale, dall’altro la persistenza di forti squilibri che
richiedono politiche mirate e investimenti nell’istruzione per ridurre il
divario. È evidente che l’Italia si muove lentamente verso una maggiore
diffusione dei titoli terziari, ma la strada per raggiungere gli standard
europei e per garantire una distribuzione più equa delle opportunità è ancora
lunga.
Macro-Regioni. I dati relativi ai laureati e ad altri titoli
terziari nella fascia 25-34 anni tra il 2018 e il 2023 mostrano una dinamica
complessivamente positiva, ma con notevoli differenze territoriali. A livello
nazionale, l’Italia passa dal 27,9% al 30,6%, con una variazione assoluta di
2,7 punti e un incremento percentuale del 9,7%. Questo miglioramento, seppur
significativo, lascia il Paese ancora distante dagli obiettivi europei e rivela
una frattura evidente tra le macro-aree. Il Nord si conferma la zona con i
valori più elevati, attestandosi al 32,9% nel 2023. Tuttavia, la crescita è
molto contenuta (+1,5%), segno che le regioni settentrionali si trovano in una
fase di consolidamento piuttosto che di espansione. All’interno del Nord, il
Nord-Ovest cresce in maniera discreta (da 32% a 33,4%), mentre il Nord-Est
registra un leggero calo (-0,7%), evidenziando differenze interne che meritano
attenzione. Il Centro spicca per il progresso più marcato: dal 30,4% del 2018
al 35,5% del 2023, con un aumento di oltre 5 punti e una variazione del 16,8%.
Questo risultato lo porta vicino ai livelli settentrionali, grazie soprattutto
al traino del Lazio e di altre regioni universitarie dinamiche. Il Mezzogiorno
mostra segnali di recupero. Dal 21,4% al 25,1%, la crescita del 17,3% in
termini relativi è la più significativa, pur partendo da valori molto bassi.
All’interno, il Sud continentale guadagna quasi 4 punti (fino al 26%), mentre
le Isole si fermano al 22,9%, con un aumento più contenuto. Nel complesso
emerge un’Italia che si muove in direzione positiva, ma con un divario
persistente: oltre sette punti separano ancora Nord e Centro dal Mezzogiorno.
Il quadro riflette una progressiva convergenza, ma anche la necessità di
politiche più mirate per sostenere il diritto allo studio e colmare le
disparità territoriali.
Fonte: ISTAT
Link:
https://www.istat.it/
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