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Nel 2023 l’occupazione italiana supera i livelli
pre-pandemia, trainata dal Nord e dal manifatturiero.
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Persistono forti divari territoriali: oltre 25
punti separano Nord e Sud nel tasso d’occupazione.
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Cresce il lavoro ma resta precario: giovani e
donne continuano a soffrire maggiori difficoltà occupazionali.
L’analisi del
tasso di occupazione nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 64 anni in Italia
nel periodo compreso tra il 2018 e il 2023 offre una panoramica significativa
delle dinamiche economiche e sociali del Paese negli ultimi anni, segnati da
forti discontinuità dovute alla pandemia, alla successiva ripresa e alle
trasformazioni strutturali del mercato del lavoro. I dati mostrano una tendenza
generale positiva, con un miglioramento diffuso in quasi tutte le regioni, ma
evidenziano al contempo le profonde disuguaglianze territoriali che
caratterizzano da decenni il sistema economico italiano. Nel complesso, il Nord
conferma la sua posizione di area più dinamica e produttiva, il Centro mostra
segnali di consolidamento, mentre il Mezzogiorno resta indietro nonostante un
recupero nel biennio 2022-2023. Il periodo analizzato si apre nel 2018 con una
situazione di relativa stabilità: l’Italia usciva da anni di lenta ripresa dopo
la crisi economica del 2008 e la successiva recessione del 2012, e i livelli di
occupazione stavano gradualmente migliorando. Tuttavia, la crescita era
disomogenea, più sostenuta nel Nord e più fragile nel Sud. Tra il 2018 e il
2019 si registrano incrementi moderati, ma nel 2020 l’arrivo della pandemia di
Covid-19 interrompe bruscamente questa tendenza. La chiusura di molte attività
produttive, la contrazione del turismo, la riduzione della domanda e la
diffusione dello smart working provocano un calo generalizzato
dell’occupazione, anche se meno drammatico di quanto si sarebbe potuto temere
grazie alle misure di sostegno governative e al blocco dei licenziamenti. Nel
2021 inizia la ripresa, che si consolida nel 2022 e nel 2023, portando quasi
tutte le regioni a superare i livelli pre-pandemici.
Nel Nord-Ovest,
il Piemonte mostra una crescita costante dopo la flessione del 2020: dal 70,7%
del 2018 si scende al 68,7% nel 2020 per poi risalire progressivamente fino al
72,2% nel 2023. Si tratta di un aumento complessivo di 1,5 punti percentuali
rispetto al 2018 e di 3,5 rispetto al minimo del periodo pandemico, segno di
una ripresa solida ma non eccezionale. La Valle d’Aosta, pur essendo una
regione di piccole dimensioni, si distingue per la performance migliore in
assoluto: dal 72,6% del 2018 sale fino al 77,3% nel 2023, registrando una
crescita di quasi cinque punti e collocandosi ai vertici nazionali. La Liguria,
tradizionalmente più fragile sul piano occupazionale, passa da 67,4% a 72,2%,
mostrando un miglioramento notevole e una delle più forti accelerazioni del
Nord-Ovest. La Lombardia, locomotiva economica del Paese, parte da un livello
già alto, 72,6% nel 2018, e raggiunge il 74,6% nel 2023, mantenendo una
stabilità notevole e confermando la capacità del suo sistema produttivo di
resistere agli shock esterni e di trainare l’economia nazionale.
Nel Nord-Est, i
dati confermano la tradizionale vitalità di quest’area. Il Trentino-Alto Adige
è la regione con il tasso di occupazione più alto in Italia per tutto il
periodo, con valori compresi tra 74% e 77%, e raggiunge nel 2023 il 77,6%,
praticamente la piena occupazione. Il Veneto, dopo una flessione nel 2020
(70,2%), cresce fino al 75,7%, mentre il Friuli-Venezia Giulia passa da 70,9% a
73,8%. Anche l’Emilia-Romagna, una delle regioni economicamente più solide,
migliora da 74,4% a 75,9%. Questi dati evidenziano un modello di mercato del
lavoro dinamico, basato su un tessuto di piccole e medie imprese, su una forte
integrazione con i mercati europei e su politiche regionali attive. Le regioni
del Nord-Est sono quelle che più rapidamente hanno recuperato le perdite legate
alla pandemia, grazie anche a settori industriali e manifatturieri che hanno
beneficiato della ripresa delle esportazioni e dell’innovazione tecnologica.
Il Centro Italia
mostra risultati più eterogenei. La Toscana passa dal 71,3% del 2018 al 74,5%
del 2023, con una ripresa sostenuta nel biennio finale, in linea con
l’andamento nazionale. L’Umbria cresce da 67,4% a 71,8%, segno di un buon recupero
dopo un 2020 difficile. Le Marche migliorano anch’esse, da 69,1% a 72,6%,
mostrando una progressione costante. Il Lazio, che comprende anche la capitale
e un’ampia componente di servizi pubblici e privati, rimane sotto la media
nazionale ma in crescita: dal 65,3% del 2018 arriva al 68,1% nel 2023, con un
aumento di quasi tre punti. Questo andamento conferma che il Centro, pur non
raggiungendo i livelli del Nord, riesce a mantenere una buona tenuta, sostenuta
dal turismo, dalla pubblica amministrazione e dai servizi avanzati.
Decisamente
diversa la situazione nel Mezzogiorno, dove i livelli occupazionali restano i
più bassi del Paese, pur registrando miglioramenti nell’ultimo biennio.
L’Abruzzo cresce da 62,1% a 66%, il Molise da 57,3% a 60,9%, la Basilicata da
53,3% a 59,1%, mostrando una ripresa significativa. La Puglia passa dal 49,4%
del 2018 al 54,7% del 2023, con un incremento di oltre cinque punti, mentre la
Campania, pur partendo da un valore molto basso, 45,2%, arriva a 48,4%. La
Calabria segue lo stesso trend, passando da 45,5% a 48,4%. La Sicilia, che nel
2018 aveva il livello più basso del Paese (44,3%), sale al 48,7% nel 2023,
segnando un miglioramento di oltre quattro punti, ma rimanendo comunque lontana
dalla media nazionale. In Sardegna, il tasso passa da 56% a 59,9%, confermando
una crescita regolare. Questi dati, pur mostrando un progresso generalizzato,
evidenziano la persistenza di un divario strutturale tra Nord e Sud, che nel
2023 supera ancora i 25 punti percentuali tra le regioni più e meno occupate.
Il confronto tra
le macroaree italiane permette di comprendere meglio la portata di queste
differenze. Nel Nord, il tasso medio di occupazione nel 2023 è attorno al 75%,
nel Centro circa il 71% e nel Sud appena il 55%. Questa polarizzazione riflette
una diversa struttura economica: il Nord è caratterizzato da una maggiore
industrializzazione, una rete di imprese diffuse e un mercato del lavoro più
flessibile, mentre il Sud continua a soffrire di una debole base produttiva, di
alti livelli di disoccupazione giovanile e femminile e di una minore
attrattività per gli investimenti.
L’impatto della
pandemia ha colpito duramente tutti i settori, ma la ripresa ha avuto intensità
diverse. Nel 2020 il calo dell’occupazione è stato più marcato nelle regioni a
forte vocazione turistica e nei comparti dei servizi, in particolare in
Liguria, Toscana e Lazio, mentre le aree industriali del Nord-Est hanno
resistito meglio. Nel 2021 e nel 2022, la graduale riapertura delle attività e
il rilancio della domanda interna ed estera hanno favorito una ripresa robusta,
sostenuta anche dalle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il
2023 segna un ulteriore consolidamento, con la quasi totalità delle regioni che
raggiungono o superano i livelli pre-pandemia.
Dal punto di
vista sociale, l’aumento del tasso di occupazione rappresenta un segnale
positivo, ma non basta da solo a descrivere la qualità del lavoro. Molti degli
incrementi registrati negli ultimi anni sono legati a forme di occupazione
temporanea o a basso reddito, soprattutto tra i giovani e le donne. La
precarietà resta una caratteristica strutturale del mercato del lavoro
italiano, così come il divario di genere: anche nei contesti più virtuosi, la
partecipazione femminile rimane inferiore di 10-15 punti rispetto a quella
maschile. Inoltre, il tasso di occupazione elevato del Nord si accompagna a una
maggiore presenza di contratti stabili e a un più alto livello di produttività,
mentre nel Sud la crescita è spesso trainata da lavori stagionali, informali o
scarsamente retribuiti.
L’andamento
positivo del triennio 2021-2023 può essere attribuito anche alle politiche di
sostegno e di incentivo all’occupazione, come le decontribuzioni per le
assunzioni, le misure per i giovani e per le donne e gli investimenti in
formazione e innovazione. In alcune regioni del Mezzogiorno, progetti legati al
PNRR hanno iniziato a generare nuovi posti di lavoro nei settori delle
infrastrutture, della transizione ecologica e della digitalizzazione, anche se
l’impatto complessivo si farà sentire pienamente solo nei prossimi anni.
In prospettiva,
il tasso di occupazione italiano, pur in crescita, resta inferiore alla media
europea, che nel 2023 si attesta intorno al 75%. Ciò significa che, nonostante
i progressi, l’Italia continua a soffrire di problemi strutturali: bassa
partecipazione al lavoro, in particolare delle donne, elevata disoccupazione
giovanile, divari territoriali e scarsa produttività. Il Nord e parte del
Centro si avvicinano agli standard europei, ma il Sud resta ancora lontano.
Tra il 2018 e il
2023, dunque, il mercato del lavoro italiano ha attraversato una fase
complessa, oscillando tra crisi e ripresa. I dati mostrano che la resilienza
del sistema produttivo, sostenuta da interventi pubblici e da un progressivo
adattamento delle imprese, ha permesso di recuperare i livelli occupazionali e,
in alcune aree, di superarli. Tuttavia, la persistente dualità territoriale e
la fragilità qualitativa del lavoro restano le principali sfide per il futuro.
Per consolidare i progressi e garantire una crescita sostenibile e inclusiva
sarà necessario agire su più fronti: politiche attive efficaci, investimenti
nell’istruzione e nella formazione, sostegno all’imprenditoria giovanile e
femminile, riduzione del divario Nord-Sud. Solo in questo modo l’Italia potrà
trasformare l’attuale ripresa occupazionale in un processo stabile e duraturo,
capace di coniugare quantità e qualità del lavoro in tutte le sue dimensioni.
Fonte: ISTAT
Link: www.istat.it
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