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Nel 2023 la mancata partecipazione al lavoro
cala ovunque, ma il divario Nord-Sud persiste.
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Valle d’Aosta e Veneto guidano i progressi,
mentre Sicilia e Calabria restano oltre il 30%.
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La ripresa post-pandemica riporta fiducia nel
lavoro, ma l’inattività resta alta nel Mezzogiorno.
L’analisi del
tasso di mancata partecipazione al lavoro nel periodo 2018-2023 consente di
comprendere in profondità le trasformazioni del mercato del lavoro italiano negli
anni più recenti, evidenziando la complessità di un fenomeno che riflette non
soltanto l’andamento dell’occupazione ma anche la disponibilità effettiva della
popolazione a entrare o rientrare nei circuiti produttivi. Questo indicatore,
che misura la quota di persone in età lavorativa non occupate e non alla
ricerca attiva di un impiego, rappresenta una sintesi efficace del grado di
esclusione o di marginalità dal lavoro. I dati mostrano un miglioramento
generalizzato in tutte le regioni italiane tra il 2018 e il 2023, con una
riduzione significativa del tasso di mancata partecipazione, ma al tempo stesso
rivelano che la frattura territoriale tra Nord e Sud rimane ampia e
strutturale. Se nelle regioni settentrionali il tasso medio scende sotto la
soglia del 10%, nel Mezzogiorno continua a superare in molti casi il 30%, segno
di una persistente difficoltà a integrare pienamente nel mercato del lavoro una
parte consistente della popolazione.
Nel periodo
considerato, la pandemia ha avuto un ruolo centrale nell’evoluzione di questo
indicatore. Il 2020 e il 2021 segnano infatti un temporaneo incremento del
tasso di mancata partecipazione in quasi tutte le regioni, effetto diretto
delle restrizioni sanitarie, della sospensione delle attività economiche e
dell’incertezza diffusa che ha scoraggiato la ricerca di lavoro. Tuttavia, a
partire dal 2022 si osserva una decisa inversione di tendenza, sostenuta dalla
ripresa economica, dagli incentivi occupazionali e dal rilancio di alcuni
settori chiave, in particolare industria, servizi e turismo. Nel 2023 la quasi
totalità delle regioni registra un miglioramento rispetto al 2018, con
riduzioni che oscillano tra il 15% e il 35% a seconda delle aree.
Nel Nord Italia
i dati mostrano un quadro complessivamente positivo. Il Piemonte passa dal
12,7% del 2018 al 9,5% del 2023, con un calo di 3,2 punti percentuali, pari a
una diminuzione del 25%. La Valle d’Aosta registra uno dei risultati migliori,
scendendo da 10,9% a 6,7% e riducendo il proprio tasso di oltre il 38%. Liguria
e Lombardia mostrano andamenti analoghi, con la prima che passa dal 15,3% al
10,5% e la seconda dal 10,6% al 7,4%. In tutte queste regioni la contrazione
del tasso è dovuta sia alla ripresa del mercato del lavoro dopo la pandemia,
sia a una maggiore partecipazione delle donne e dei giovani. Il Trentino-Alto
Adige, che già partiva da valori molto bassi (6,5% nel 2018), registra un
ulteriore miglioramento, toccando il 5,3% nel 2023, confermandosi come l’area
più dinamica del Paese, con un mercato del lavoro efficiente e un’elevata
capacità di assorbimento della forza lavoro. Anche Veneto e Friuli-Venezia
Giulia, rispettivamente al 6,6% e al 7,7% nel 2023, mostrano una solida
riduzione, con variazioni percentuali superiori al 30%. L’Emilia-Romagna,
infine, si attesta su valori leggermente superiori, ma comunque contenuti
(8,2%), con un calo del 18%.
Nel Centro
Italia la situazione è altrettanto incoraggiante, sebbene con livelli medi
leggermente più alti rispetto al Nord. La Toscana passa dal 12,8% del 2018
all’8,8% del 2023, registrando un miglioramento del 31%. L’Umbria mostra una
riduzione analoga, scendendo da 14,8% a 10%. Nelle Marche il tasso cala da
13,8% a 8,9%, una delle diminuzioni più forti dell’intera area, pari a oltre il
35%. Il Lazio, pur partendo da valori più elevati, passa da 18,2% a 12,7%, con
un calo del 30%. Questi risultati indicano che, nonostante la crisi pandemica,
il mercato del lavoro nel Centro Italia ha dimostrato una buona capacità di
ripresa, sostenuta in parte dal turismo e dai servizi professionali. Tuttavia,
le percentuali rimangono più alte rispetto al Nord, segnalando ancora un certo
grado di scoraggiamento, soprattutto tra i giovani in cerca di lavoro stabile.
La situazione
cambia radicalmente nel Mezzogiorno, dove la mancata partecipazione al lavoro
resta un problema strutturale, benché in diminuzione. L’Abruzzo passa da 20,2%
a 14%, con un miglioramento del 30%, il Molise da 25,9% a 20,6%, la Campania da
37,5% a 32,3%, la Puglia da 30,9% a 23% e la Basilicata da 28,8% a 20,8%. La Calabria,
pur registrando un calo da 38,4% a 32,1%, rimane una delle regioni con i valori
più alti d’Italia, insieme alla Sicilia, che scende da 40,5% a 32,6%. La
Sardegna, infine, riduce il proprio tasso da 27,9% a 22%, segnando un
miglioramento del 21%. Questi dati mostrano che, nonostante i progressi, il Sud
continua a essere la parte del Paese più distante dagli standard europei, con
tassi che in alcune regioni sono quattro o cinque volte superiori a quelli del
Nord.
L’analisi delle
variazioni percentuali evidenzia che le regioni che hanno beneficiato dei
miglioramenti più marcati sono la Valle d’Aosta (-38,5%), il Veneto (-38,3%),
il Friuli-Venezia Giulia (-33%), le Marche (-35,5%) e l’Umbria (-32,4%). Al
contrario, le riduzioni più contenute si registrano nelle regioni del Sud, dove
il problema è più radicato e legato a cause strutturali di lungo periodo.
Campania e Calabria, pur migliorando, mostrano cali inferiori al 20%, segno che
la ripresa occupazionale fatica a tradursi in un’effettiva inclusione della
popolazione inattiva. In queste aree, il tasso di mancata partecipazione è
alimentato da diversi fattori: un’economia più fragile, una maggiore incidenza
del lavoro irregolare, un livello di istruzione mediamente più basso e una
minore presenza di servizi per l’impiego.
Il dato
nazionale riflette dunque una doppia dinamica: da un lato, la progressiva
normalizzazione del mercato del lavoro dopo la pandemia, con un numero
crescente di persone che tornano a cercare attivamente un’occupazione;
dall’altro, la persistenza di un ampio segmento di popolazione inattiva,
soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’incontro tra domanda e offerta di lavoro
resta inefficiente. È interessante notare che, nei primi anni del periodo
analizzato, il tasso di mancata partecipazione cresce leggermente, raggiungendo
un picco nel 2020-2021, per poi diminuire bruscamente nel biennio successivo.
Questo andamento conferma l’impatto diretto della pandemia e delle successive
misure di rilancio.
La riduzione del
tasso di mancata partecipazione è un segnale positivo non solo per il mercato
del lavoro, ma anche per la fiducia complessiva della popolazione nelle
prospettive economiche. Quando le persone tornano a cercare attivamente un
impiego, ciò significa che percepiscono maggiori opportunità e una maggiore
stabilità. Tuttavia, la qualità della ripresa resta disomogenea. Nel Nord, la
diminuzione del tasso si accompagna a un aumento dell’occupazione e a un
miglioramento della qualità dei contratti, mentre nel Sud, pur diminuendo la
mancata partecipazione, l’occupazione resta spesso precaria, stagionale o
informale.
Un altro
elemento da considerare riguarda la composizione di genere del fenomeno. In
Italia, le donne presentano tassi di mancata partecipazione più alti rispetto
agli uomini, in particolare nel Mezzogiorno, dove la carenza di servizi per
l’infanzia e per la conciliazione vita-lavoro continua a limitare l’accesso al
mercato del lavoro. L’aumento dell’occupazione femminile registrato negli
ultimi anni ha contribuito alla riduzione complessiva del tasso, ma non ha
ancora colmato il divario.
Nel complesso, i
dati del 2023 delineano un quadro incoraggiante. In sei anni, quasi tutte le
regioni italiane hanno ridotto in modo significativo la quota di persone
inattive, segno di una maggiore partecipazione sociale e di una rinnovata
fiducia nel mercato del lavoro. Tuttavia, il Paese rimane diviso: al Nord, dove
la mancata partecipazione scende in media sotto l’8%, l’inclusione lavorativa
appare ormai consolidata, mentre al Sud si attesta ancora intorno al 28-30%.
Questo squilibrio rappresenta la principale sfida per i prossimi anni, poiché
limita la crescita complessiva e alimenta la disuguaglianza economica e
sociale.
La riduzione
della mancata partecipazione al lavoro, pur significativa, non può essere
interpretata come un successo definitivo. Per consolidare questa tendenza sarà
necessario intervenire sulle cause strutturali dell’inattività: migliorare i
servizi per l’impiego, potenziare le politiche attive del lavoro, favorire
l’inclusione dei giovani e delle donne e promuovere una maggiore mobilità
territoriale. Solo attraverso una strategia coerente di lungo periodo sarà
possibile ridurre ulteriormente il divario tra Nord e Sud e assicurare una
partecipazione piena e sostenibile al mercato del lavoro. I dati del 2023
rappresentano dunque un punto di partenza importante ma non un traguardo, un
segnale di fiducia che richiede però politiche mirate per trasformarsi in una
crescita inclusiva e duratura.
Fonte: ISTAT
Link: www.istat.it
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