L’accesso sicuro
all’acqua potabile rappresenta uno degli elementi cardine dell’Obiettivo di
Sviluppo Sostenibile 6, volto a garantire disponibilità e gestione sostenibile
dell’acqua per tutti entro il 2030. Analizzando i dati tra il 2018 e il 2022
relativi a oltre 30 paesi, emergono chiari segnali di progresso in molte
nazioni industrializzate, ma anche gravi ritardi in paesi a medio reddito. Le
percentuali riferite alla popolazione che utilizza servizi idrici gestiti in
modo sicuro variano notevolmente da una nazione all’altra, rivelando un mondo
diviso tra chi gode di infrastrutture moderne e servizi affidabili e chi,
invece, deve ancora affrontare sfide basilari di accesso e qualità.
I paesi del Nord
Europa e dell’Europa occidentale, come Danimarca, Germania, Svezia, Paesi
Bassi, Finlandia e Islanda, mostrano una copertura pressoché totale, mantenendo
livelli prossimi o pari al 100% per tutto il periodo osservato. Questo
risultato è il frutto di una lunga tradizione di governance ambientale solida,
investimento pubblico continuativo e una cultura sociale fortemente orientata
alla sostenibilità. È interessante notare che anche altri stati ad alto
reddito, come Nuova Zelanda e Ungheria, hanno raggiunto piena copertura durante
il periodo, segnalando che il miglioramento è possibile anche nei paesi non
ancora completamente allineati agli standard internazionali.
Tuttavia, non
mancano segnali di rallentamento o di lievi regressi anche nei paesi più
avanzati. L’Italia, ad esempio, ha registrato una flessione dal 93.48% del 2018
al 92.71% nel 2022, con una progressiva erosione della percentuale coperta.
Questo trend negativo è indicativo di problematiche sistemiche legate
soprattutto alla vetustà delle infrastrutture idriche, alla dispersione lungo
le reti di distribuzione e alle diseguaglianze territoriali, in particolare tra
Nord e Sud del Paese. Similmente, la Polonia ha evidenziato un calo costante
passando dal 90.69% a fine 2018 all’88.91% nel 2022. In entrambi i casi, pur
mantenendo livelli relativamente alti, la tendenza al ribasso richiede
attenzione strategica e investimenti urgenti.
Altrove in
Europa, paesi come Irlanda, Grecia, Lituania e Lettonia restano stabili sotto
il 97%, suggerendo la necessità di colmare gli ultimi margini di disuguaglianza
interna, specialmente nelle aree rurali o periferiche. Mentre in paesi come
Francia, Spagna e Lussemburgo si registra una crescita, anche se contenuta, il
Regno Unito e la Norvegia presentano leggeri segnali di declino, pur mantenendo
valori molto elevati, al di sopra del 98%. Questo conferma l’importanza di non
considerare questi servizi come “garantiti per sempre”, ma soggetti a continui
aggiornamenti e adattamenti, soprattutto alla luce del cambiamento climatico e
della crescita urbana.
Un’attenzione
particolare merita la situazione in America Latina, dove i contrasti diventano
più netti. Il Messico si attesta intorno al 43% per tutta la serie temporale,
migliorando solo di mezzo punto percentuale in cinque anni. Questa stagnazione
riflette un contesto di forte disuguaglianza territoriale, carenze
infrastrutturali, contaminazione delle risorse idriche e fragilità
istituzionale. Analogamente, la Colombia, pur partendo da livelli più alti,
cresce solo di poco dal 73.13% al 73.86%. Entrambi i paesi si trovano ancora
molto lontani dal traguardo della copertura universale e affrontano ostacoli
significativi in termini di risorse finanziarie, capacità di gestione
decentrata e inclusione delle popolazioni rurali e indigene.
Costa Rica,
sebbene migliori leggermente nei primi anni, rimane stabile intorno all’80.5%,
senza evidenti segnali di progresso nel quinquennio. Questo può essere sintomo
di un consolidamento raggiunto nei centri urbani, ma anche di una difficoltà a
espandere i servizi in modo capillare nelle zone più difficili da raggiungere,
come le aree montane o insulari. La situazione è meno critica rispetto a
Messico e Colombia, ma comunque distante dagli standard europei.
A livello
globale, ciò che emerge con chiarezza è un’evidente polarizzazione tra paesi
che hanno già raggiunto o quasi raggiunto l’obiettivo e quelli che sono
indietro, nonostante lo scorrere degli anni. I primi si trovano oggi ad
affrontare una nuova sfida: garantire la resilienza e la sostenibilità nel
lungo termine. L’innalzamento delle temperature, la riduzione della
disponibilità delle acque dolci, l’inquinamento delle falde e la domanda
crescente da parte di industrie e popolazioni urbane richiedono interventi
sistemici. Non è più sufficiente avere infrastrutture funzionanti: serve una
governance adattiva, trasparente e centrata sulla giustizia ambientale.
Nel frattempo, i
paesi con livelli inferiori devono far fronte a sfide più basilari, che includono
la costruzione di reti idriche, il trattamento delle acque, la rimozione degli
inquinanti e la fornitura continua nelle zone meno servite. A rendere il
compito più arduo, spesso si aggiungono problemi legati alla corruzione, alla
debolezza delle autorità locali, a catastrofi naturali ricorrenti e a una bassa
fiducia della popolazione nelle istituzioni. Senza un piano strategico
nazionale, supportato da cooperazione internazionale e strumenti finanziari
innovativi, l’accesso universale rischia di rimanere una promessa disattesa.
Un aspetto
interessante riguarda anche i paesi in cui i valori sembrano “congelati” nel
tempo. Ad esempio, Cile, Svizzera e Repubblica Ceca mostrano una stabilità
quasi assoluta lungo tutta la serie osservata. Questo può significare una piena
maturità dei sistemi idrici, ma anche una potenziale assenza di monitoraggio
dinamico e miglioramento continuo. Se i dati restano immutati per cinque anni
consecutivi, occorre domandarsi se i meccanismi di rilevamento sono aggiornati
e se le fasce di popolazione più vulnerabili sono effettivamente incluse nella
misurazione.
La distinzione
tra “copertura” e “qualità” diventa centrale: non basta sapere che una rete
arriva in un certo quartiere; è necessario che l’acqua sia potabile,
disponibile 24 ore su 24 e accessibile economicamente. La percentuale rilevata
deve dunque essere letta con spirito critico e contestualizzata alle realtà
locali. In ambienti rurali remoti o nelle periferie informali, la qualità del
servizio può variare significativamente anche in presenza di copertura formale.
In molti paesi, inoltre, la crescente scarsità d’acqua richiede un’integrazione
delle fonti idriche, compresi il riciclo, la desalinizzazione e il riutilizzo
delle acque reflue trattate.
Guardando al
2030, la strada per l’accesso equo e universale è ancora lunga. Anche nei paesi
più avanzati, restano gruppi esclusi: migranti, comunità rom, aree isolate o
quartieri poveri possono non essere raggiunti in modo adeguato. Il progresso
deve dunque combinare quantità e qualità, infrastruttura e partecipazione,
tecnologia e governance. Al tempo stesso, nei paesi più fragili, l’urgenza è
colmare il divario infrastrutturale e costruire fiducia nelle istituzioni. I
dati analizzati forniscono un quadro chiaro delle priorità globali: dove
investire, come pianificare, e perché è fondamentale trattare l’acqua non solo
come risorsa tecnica, ma come diritto umano, bene comune e fondamento della
dignità.
Fonte: OCSE
Link: www.oecd.org
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