L’istruzione come leva per l’occupazione: analisi comparata dei tassi di occupazione tra i 25 e i 64 anni nel 2023
L’analisi dei
tassi di occupazione degli adulti tra i 25 e i 64 anni nel 2023, suddivisi per
livello di istruzione nei Paesi OCSE e in altre economie mondiali, offre uno
spaccato significativo sulle dinamiche del mercato del lavoro globale e
sull’impatto dell’istruzione sulla partecipazione lavorativa. I dati
considerano tre categorie educative: istruzione inferiore al livello secondario
superiore, istruzione secondaria o post-secondaria non terziaria e istruzione
terziaria. L’osservazione generale più evidente è la correlazione positiva tra
il livello di istruzione e il tasso di occupazione: all’aumentare del titolo di
studio si registra, in modo quasi universale, un incremento nell’accesso
all’occupazione.
Nel complesso,
la media OCSE mostra un tasso di occupazione del 60,3 per cento per gli adulti
con un livello di istruzione inferiore al secondario superiore, che sale al
77,3 per cento per coloro che hanno completato il secondario o il
post-secondario non terziario, e raggiunge l’87 per cento tra i laureati o
possessori di titoli terziari. Questo schema si ripete nella maggior parte dei
Paesi membri, sebbene con differenze significative nei valori assoluti e in
alcuni casi anche nella distribuzione relativa.
Prendendo come
riferimento alcuni Paesi chiave, l’Australia evidenzia una differenza netta tra
i diversi livelli educativi: solo il 62,1 per cento degli adulti con basso
livello di istruzione è occupato, mentre la percentuale cresce fino all’87,3
per cento per coloro che possiedono un’istruzione terziaria. Simile la
situazione in Canada, dove si osservano tassi rispettivamente del 57,8, 75,8 e
84,1 per cento. In entrambi i casi, il divario tra basso e alto livello di
istruzione supera i 25 punti percentuali, segnalando una forte penalizzazione
nel mercato del lavoro per chi non completa l’istruzione secondaria.
Il caso della
Germania risulta emblematico di un sistema che premia sia la formazione
secondaria che quella terziaria: con tassi di occupazione pari al 65,8 per
cento per i meno istruiti, 83,3 per cento per chi ha completato il secondario e
88,8 per cento per i laureati. Un dato simile si registra nei Paesi nordici,
come la Danimarca, la Norvegia e la Svezia, dove l’istruzione terziaria
garantisce tassi di occupazione superiori all’89 per cento. In Islanda si
raggiungono valori eccezionali: ben il 76,5 per cento degli adulti con bassa
istruzione è occupato, un dato molto più elevato rispetto alla media OCSE,
mentre tra i laureati l’occupazione sfiora il 91 per cento.
In contrasto, in
Paesi come l’Italia, il Belgio e la Francia, i tassi di occupazione per i meno
istruiti sono decisamente inferiori alla media OCSE. L’Italia, ad esempio,
presenta solo il 54,1 per cento di occupazione per chi ha un’istruzione
inferiore al livello secondario superiore, mentre il valore per i laureati è
dell’84,3 per cento. Questo suggerisce una difficoltà strutturale del mercato
del lavoro italiano ad assorbire lavoratori con livelli di istruzione bassi,
spesso correlata a un’elevata disoccupazione giovanile e a un’economia che
premia meno le competenze generaliste.
Il divario più
ampio in assoluto si riscontra in Slovacchia, dove solo il 35,9 per cento delle
persone con bassa istruzione è occupato, contro il 90,7 per cento dei laureati.
Questo gap di oltre 50 punti percentuali rappresenta una delle disparità più
marcate e potrebbe essere sintomo di una segregazione rigida del mercato del
lavoro, in cui la formazione è una condizione quasi imprescindibile per
l’inserimento lavorativo. Simile la situazione in Croazia, con un tasso di
appena il 39,2 per cento per la fascia meno istruita.
Il Portogallo e
la Polonia mostrano valori molto elevati per i laureati (oltre il 90 per
cento), ma una forbice significativa rispetto ai meno istruiti, con tassi di
occupazione del 71,5 e del 50,4 per cento rispettivamente. Questi dati indicano
che sebbene il completamento dell’istruzione superiore sia fortemente premiato,
permane una significativa esclusione lavorativa per chi non riesce a
raggiungere i livelli educativi più avanzati.
Tra i Paesi
extra-OCSE, l’Argentina e il Brasile mostrano una buona performance per la
popolazione meno istruita (70,4 e 59,3 per cento), ma anche in questi casi
l’occupazione migliora notevolmente con l’aumentare del titolo di studio.
Interessante il dato del Perù, dove anche chi ha una scarsa istruzione
raggiunge un tasso di occupazione del 79,6 per cento, superando quello di molti
Paesi OCSE. Tuttavia, la qualità del lavoro, l’informalità e le condizioni
contrattuali potrebbero differenziare significativamente questi numeri.
In paesi come
l’India e l’Indonesia si notano alcune anomalie. In India, il tasso di
occupazione più alto si registra tra i meno istruiti (67,1 per cento), mentre
scende al 65,5 per cento per i laureati. Questa inversione della tendenza
tipica potrebbe essere legata a un sistema economico in cui l’occupazione
informale o a basso valore aggiunto è predominante e in cui i titoli di studio
più elevati non sempre si traducono in occupazione qualificata. Un fenomeno
simile si osserva in Indonesia, anche se con differenze più contenute.
Colpisce infine
la situazione della Turchia, dove solo il 51,6 per cento degli adulti con basso
livello di istruzione è occupato e dove anche per i laureati il tasso di
occupazione si ferma al 74,4 per cento, uno dei valori più bassi della
categoria. Questo potrebbe riflettere problemi strutturali del mercato del
lavoro, inclusa una minore partecipazione femminile o una scarsa domanda di
manodopera qualificata.
L’analisi
comparata dei dati mostra chiaramente come l’istruzione sia una leva
fondamentale per l’integrazione nel mercato del lavoro. La correlazione
positiva tra titolo di studio e tasso di occupazione è robusta e trasversale,
ma i divari tra Paesi suggeriscono che non si tratti solo di una questione
individuale, bensì di un’interazione complessa tra politiche pubbliche,
struttura economica, domanda di competenze e inclusività del sistema
produttivo. In alcuni Paesi, il sistema economico riesce ad assorbire anche
lavoratori meno istruiti grazie a un’ampia offerta di impieghi manuali o
semi-qualificati. In altri, il mercato del lavoro è fortemente polarizzato, e
solo chi possiede una formazione avanzata riesce a inserirsi stabilmente e con
prospettive.
Un altro
elemento da considerare è la qualità dell’occupazione. Anche nei Paesi dove i
tassi sono elevati tra i meno istruiti, resta aperto il tema della precarietà,
della retribuzione e dell’accesso alla protezione sociale. Per questo,
l’istruzione terziaria non garantisce solo una maggiore probabilità di
occupazione, ma anche migliori condizioni lavorative, maggiore mobilità e
resilienza in tempi di crisi.
In conclusione,
i dati del 2023 confermano che l’istruzione continua a rappresentare uno dei
principali determinanti della partecipazione al lavoro, ma suggeriscono anche
la necessità di politiche più inclusive che migliorino l’accesso all’istruzione
superiore, riqualifichino gli adulti a basso livello educativo e favoriscano un
mercato del lavoro più equo, capace di valorizzare competenze diverse e di
offrire opportunità a tutti i livelli formativi. Solo attraverso un equilibrio
tra inclusione sociale e valorizzazione del capitale umano sarà possibile
affrontare le sfide economiche e sociali del futuro.
Fonte: OCSE
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