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Dal benessere alla fragilità: L’ascesa silenziosa dell’insicurezza alimentare nel mondo

 

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 2 delle Nazioni Unite – “Zero Hunger” – si pone come uno dei traguardi più ambiziosi e vitali dell’Agenda 2030. Non si tratta solo di eliminare la fame nel mondo, ma anche di garantire a tutti l'accesso a cibo sicuro, nutriente e sufficiente durante tutto l’anno, ponendo al centro le popolazioni vulnerabili, in particolare i poveri, i bambini e le comunità emarginate. L’analisi dei dati raccolti tra il 2017 e il 2021 per l’indicatore 2.1.1 (prevalenza della sottoalimentazione) e 2.1.2 (prevalenza dell'insicurezza alimentare moderata o grave secondo la scala FIES) fornisce un quadro molto complesso, composto da tendenze divergenti tra aree geografiche, evidenti impatti della pandemia e indicazioni cruciali per la governance alimentare globale.

Una delle prime evidenze che emergono dai dati riguarda la situazione dei paesi ad alto reddito, dove la prevalenza della sottoalimentazione (cioè la quota della popolazione che non consuma una quantità sufficiente di calorie per soddisfare il fabbisogno minimo) rimane molto bassa. In gran parte dei paesi OCSE – come Italia, Germania, Francia, Australia, Giappone – la percentuale di popolazione sottoalimentata si attesta stabilmente all’1.25%, una soglia simbolica che riflette standard nutrizionali mediamente soddisfacenti. Tuttavia, questo valore uniforme cela disuguaglianze locali e forme più complesse di insicurezza alimentare che sfuggono a una misurazione puramente calorica.

Colombia, Messico e Cile mostrano dati molto più variabili e preoccupanti. In Colombia, la sottoalimentazione è aumentata progressivamente dal 4.3% nel 2017 al 6.6% nel 2021, a testimonianza di una crisi alimentare profonda e persistente, probabilmente accentuata da fattori come l’instabilità politica, la migrazione forzata e l’inefficienza dei programmi di sussidio. Messico e Cile, invece, mostrano una tendenza più oscillante: in Messico la percentuale è scesa da 3.8% nel 2017 a 1.25% nel 2020, ma è incerto se si tratti di un miglioramento reale o di una revisione nei metodi di raccolta dati. In Cile, il tasso è calato fino all’1.25% nel 2020 ma è risalito al 2.5% nel 2021. Queste fluttuazioni mostrano come la sottoalimentazione sia sensibile a shock esterni, come la pandemia, ma anche ai cambiamenti di policy interni.

Se la sottoalimentazione misura l’aspetto quantitativo del cibo, la scala FIES (Food Insecurity Experience Scale) ci racconta un’altra storia, molto più articolata: quella dell’insicurezza alimentare vissuta direttamente dalle persone. Le percentuali di insicurezza alimentare moderata o grave sono infatti molto più elevate, anche nei paesi ad alto reddito, e sono aumentate significativamente in molti contesti tra il 2017 e il 2021.

Australia, ad esempio, ha mantenuto una prevalenza di sottoalimentazione all’1.25%, ma ben l’11.4% della popolazione nel 2021 viveva in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave, e il 3.4% in condizioni gravi. La discrepanza rivela l’esistenza di milioni di persone che, pur non essendo clinicamente sottoalimentate, vivono costantemente con l’ansia di non riuscire a procurarsi cibo sufficiente, nutriente o culturalmente appropriato. È la cosiddetta fame nascosta, che colpisce lavoratori poveri, giovani precari, famiglie monoparentali e immigrati.

Canada e Nuova Zelanda presentano andamenti analoghi. In Canada, l’insicurezza alimentare moderata o grave è aumentata costantemente dal 5% nel 2017 al 7.7% nel 2021, mentre quella grave è passata dallo 0.6% all’1.2%. In Nuova Zelanda la situazione è ancora più preoccupante: nel 2021 il 15.1% della popolazione era colpito da insicurezza alimentare moderata o grave e il 3.3% da forme gravi. In entrambi i paesi, il fenomeno si è aggravato nel post-COVID, sottolineando la fragilità delle reti di protezione sociale, l’aumento dei costi del cibo e la disuguaglianza reddituale.

I dati provenienti da Europa e Nord America evidenziano crisi “invisibili”. In Italia, tra il 2017 e il 2021, la prevalenza dell’insicurezza alimentare moderata o grave è scesa dal 7.5% al 5.7%, ma la grave è aumentata dall’1.1% all’1.8%. In Francia, la quota di persone colpite da insicurezza alimentare grave è quasi triplicata, passando dallo 0.7% al 1.6%. In Germania è raddoppiata dallo 0.7% al 1.4%. Questi numeri suggeriscono che mentre una parte della popolazione ha superato le soglie più lievi, l’altra si è inabissata in condizioni di deprivazione severa.

Particolarmente rilevante è il caso della Repubblica Ceca, dove la prevalenza dell’insicurezza alimentare moderata o grave è passata dal 3.9% nel 2017 all’8.5% nel 2021, e quella grave è salita allo 2.3%. Si tratta di uno dei peggiori aumenti in Europa centrale, a riprova del fatto che la crisi pandemica, l’inflazione alimentare e le disuguaglianze preesistenti hanno colpito duramente anche le economie più stabili.

Mentre in paesi come gli Stati Uniti l’insicurezza alimentare ha mostrato una tendenza alla diminuzione – dal 8.9% nel 2017 al 7.8% nel 2021 – in gran parte dell’America Latina la situazione è opposta. In Cile, il tasso di insicurezza alimentare moderata o grave è aumentato dal 13.7% al 18.1% nello stesso periodo. In Colombia, l’aumento della sottoalimentazione – da 4.3% a 6.6% – si affianca a dati allarmanti sull’insicurezza alimentare multidimensionale (non contenuti in questa serie, ma noti da altre fonti FAO/UNICEF).

Il caso del Messico è emblematico. Il paese ha avuto una diminuzione apparente della sottoalimentazione, ma il tasso di insicurezza alimentare moderata o grave è aumentato costantemente, passando dal 23% nel 2017 al 27.6% nel 2021. Si tratta di oltre 35 milioni di persone, una cifra sconcertante che riflette l’erosione del potere d’acquisto, le profonde disuguaglianze territoriali e l’effetto combinato del cambiamento climatico sulle colture locali.

Non sorprende che il biennio 2020–2021, coincidente con la pandemia da COVID-19, abbia segnato un peggioramento generalizzato degli indicatori. La pandemia ha messo in crisi le catene di approvvigionamento alimentare, ha fatto aumentare i prezzi dei generi alimentari, ha ridotto il reddito disponibile per milioni di persone, e ha sovraccaricato i sistemi di protezione sociale.

In molti paesi, il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare grave è aumentato tra il 2020 e il 2021 nonostante la fine dei lockdown. In Francia, si è passati da 657 mila a oltre un milione. In Germania da 888 mila a 1.1 milioni. In Canada da 390 mila a 470 mila. I numeri confermano che gli effetti della pandemia non sono stati transitori, ma strutturali.

I dati suggeriscono anche che le medie nazionali nascondono grandi disuguaglianze interne. I gruppi più colpiti includono famiglie monoparentali, bambini, anziani soli, migranti, disabili e lavoratori precari. Non sono solo i paesi poveri a dover affrontare la fame, ma anche i quartieri marginali delle grandi metropoli nei paesi sviluppati.

Nei paesi nordici, tradizionalmente considerati modelli di equità sociale, si osservano segnali d’allarme. In Finlandia, l’insicurezza alimentare grave è aumentata dal 2.1% al 2.6% tra il 2017 e il 2021. In Svezia è salita dallo 0.7% all’1.4%. Anche in Islanda, un piccolo paese con un sistema sociale avanzato, circa il 6% della popolazione vive in insicurezza alimentare moderata o grave.

Il quadro che emerge dai dati è duplice: da un lato, la sottoalimentazione è relativamente sotto controllo in molti paesi sviluppati; dall’altro, l’insicurezza alimentare esperienziale, quella vissuta quotidianamente da milioni di persone, è un fenomeno crescente e sistemico.

L’SDG 2 – Zero Hunger – è ben lontano dall’essere raggiunto entro il 2030. Le crisi economiche, i conflitti, il cambiamento climatico, la pandemia e l’inflazione alimentare stanno convergendo in una “tempesta perfetta” che mette a rischio la sicurezza alimentare globale. La priorità ora è rafforzare i sistemi alimentari locali, estendere la protezione sociale a gruppi vulnerabili, garantire salari dignitosi, e investire in agricoltura sostenibile. È altrettanto fondamentale migliorare la qualità dei dati raccolti e assicurare che le politiche si basino sull’esperienza reale delle persone, non solo su statistiche aggregate.

La fame nel mondo non è solo una questione di disponibilità di cibo, ma di giustizia sociale. È tempo di riconoscerlo.

 

Fonte: OCSE

Link: www.oecd.org

 







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