L’andamento dell’indicatore che misura la
crescita annua del PIL reale pro capite nei paesi OCSE tra il 2018 e il 2022
offre una visione dettagliata e stratificata delle dinamiche economiche globali
in un periodo segnato da eventi straordinari, prima fra tutti la pandemia da
COVID-19. I dati mostrano con estrema chiarezza come l’economia mondiale sia
entrata in una fase di estrema volatilità a partire dal 2020, preceduta da un
biennio di crescita moderata, e seguita da un rimbalzo più o meno intenso a seconda
del paese e delle sue caratteristiche strutturali, politiche fiscali, capacità
sanitaria e risposta sociale. Analizzando i valori, emerge che nel 2018 la
maggior parte dei paesi registrava una crescita positiva e generalmente
contenuta tra l’1% e il 3%, con punte significative in Irlanda (7,1%), Polonia
(6,0%), Lituania e Lettonia (entrambe al 5,0%), e in Ungheria (5,5%), a
testimonianza di economie che in quel periodo stavano beneficiando di una
combinazione di export competitivo, investimenti esteri diretti, e crescita dei
consumi interni. Al contrario, si evidenziano già segnali di rallentamento in
paesi come il Lussemburgo (-0,7%), la Norvegia (0,2%) e il Giappone (1,0%),
tutti segnali di economie mature con un ciclo più avanzato e strutture economiche
meno reattive allo stimolo della domanda globale. L’anno 2019 conferma per
molti paesi questa tendenza alla decelerazione, con un numero crescente di
economie in rallentamento, tra cui Australia (-1,8%), Messico (-1,1%), Nuova
Zelanda (0,0%), Giappone (0,0%) e Islanda (-0,3%), mentre si mantengono sopra
la media alcuni paesi dell’Europa orientale e centro-orientale, come Lituania
(5,7%), Ungheria (4,9%), Irlanda (4,0%) e Polonia (4,5%). La fotografia cambia
radicalmente nel 2020, quando la pandemia e i conseguenti lockdown globali
hanno provocato un crollo generalizzato del PIL reale pro capite. I dati
mostrano una regressione drammatica in quasi tutti i paesi, con punte di caduta
in Spagna (-11,6%), Regno Unito (-10,7%), Messico (-9,3%), Grecia e Italia (-8,8%
e -8,6%), Islanda (-8,7%) e Colombia (-8,6%). Questa profonda recessione è il
risultato diretto dell’interruzione delle attività economiche, della caduta del
commercio internazionale, del calo dei consumi, dell’impatto sulle catene di
fornitura e delle misure di contenimento adottate da tutti i governi. La crisi
ha colpito in modo più grave i paesi con economie fortemente dipendenti da
settori come il turismo, l’intrattenimento e il commercio al dettaglio, così
come quelli con mercati del lavoro più flessibili e meno protetti. Alcuni
paesi, tuttavia, sono riusciti a contenere le perdite o addirittura a segnare
una crescita, seppur contenuta: è il caso di Irlanda (5,5%), Lituania (1,0%) e
Türkiye (1,1%), grazie a modelli economici particolari, tra cui un forte peso
dei settori tecnologici, delle esportazioni farmaceutiche e digitali, o di
politiche macroeconomiche espansive. Nel 2021, l’anno del rimbalzo, le economie
mondiali hanno registrato un’espansione significativa, trainata da stimoli
fiscali senza precedenti, dalla campagna vaccinale e dalla riapertura graduale
dei settori produttivi. I tassi di crescita più elevati si osservano in Irlanda
(14,2%), Cile (10,6%), Türkiye (10,6%), Colombia (9,8%), Grecia (9,1%),
Slovenia ed Estonia (8,1%), e Italia (8,8%), seguiti da altri paesi europei con
tassi tra il 6% e il 7%. Questa ripresa, tuttavia, non è stata omogenea: nei
paesi nordici, ad esempio, la crescita è risultata più contenuta (Svezia 5,2%,
Finlandia 3,0%), così come negli Stati Uniti (5,5%) e in Canada (4,3%), dove il
rimbalzo ha scontato una maggiore prudenza nei consumi e un’inflazione già in
fase di risalita. L’analisi del 2022 mostra un’ulteriore trasformazione, con la
crescita che rallenta nuovamente nella maggior parte dei paesi, riflettendo l’effetto
combinato della crisi energetica, del conflitto russo-ucraino, del ritorno
dell’inflazione e della progressiva riduzione degli stimoli fiscali. I tassi di
crescita più elevati restano in Irlanda (8,6%), Colombia e Islanda (6,5%),
Portogallo (7,0%) e Grecia (6,2%), mentre numerosi paesi vedono scendere la
crescita al di sotto del 2%, come Australia (2,0%), Germania (1,9%), Giappone
(1,6%), Stati Uniti (1,5%), Polonia (1,2%), Slovacchia (-1,8%) ed Estonia
(-1,1%), segnando l’inizio di una nuova fase di incertezza macroeconomica. In
questo contesto, è interessante osservare come le economie che avevano
registrato le cadute peggiori nel 2020 siano anche quelle che hanno mostrato i
rimbalzi più significativi nel 2021, come Spagna, Italia, Grecia e Colombia, a
conferma di un effetto statistico ma anche della capacità di alcune economie di
rimettersi in moto rapidamente grazie a riforme strutturali e all’utilizzo
efficiente dei fondi pubblici e degli aiuti europei. Tuttavia, il 2022 segna il
ritorno a un ritmo di crescita più contenuto o addirittura negativo,
sottolineando che il problema principale per molte economie non è solo il
recupero post-pandemico, ma la costruzione di un percorso di crescita
sostenuto, inclusivo e resiliente agli shock esterni. In conclusione, i dati
sul PIL reale pro capite degli anni 2018-2022 confermano l’estrema volatilità
dell’economia globale e la crescente difficoltà di mantenere un percorso di
crescita stabile. Le economie avanzate si trovano oggi davanti alla sfida di
combinare la stabilizzazione macroeconomica con la transizione ecologica,
l’innovazione digitale e la piena occupazione. Il Goal 8 dell’Agenda 2030 resta
pertanto cruciale non solo per sostenere la crescita economica, ma per
garantire che essa sia effettivamente inclusiva e sostenibile, in grado di
creare lavoro dignitoso, ridurre le disuguaglianze e rafforzare la coesione
sociale. L’evidenza empirica suggerisce che, sebbene molti paesi abbiano
recuperato i livelli pre-crisi, il percorso verso una crescita equa e
sostenibile richiederà politiche attente alla redistribuzione, investimenti in
capitale umano, innovazione tecnologica e capacità di risposta rapida alle
crisi future.
Fonte: OCSE
Link: www.oecd.org
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