L’analisi dei tassi di crescita annuali del
personale in ricerca, misurato in unità equivalenti a tempo pieno, nel periodo
2020–2024, evidenzia un panorama fortemente eterogeneo tra le diverse aree
geografiche e le economie mondiali. In un quinquennio segnato dalla pandemia,
dalla crisi energetica e dalla trasformazione digitale e verde, le dinamiche di
espansione o contrazione del numero di ricercatori riflettono le priorità
strategiche adottate dai governi, la resilienza dei sistemi scientifici e la
capacità di valorizzare il capitale umano nel settore della ricerca e sviluppo.
Le economie emergenti, in particolare, si confermano protagoniste di una forte
espansione quantitativa: la Cina guida questa crescita con tassi costantemente
elevati, passando dal +9.6 % nel 2022 al +13.8 % nel 2023, a testimonianza di
una strategia nazionale decisa nell’affermarsi come superpotenza tecnologica,
investendo pesantemente in scienza applicata e innovazione industriale. Anche
la Turchia registra una dinamica analoga, con tassi di crescita superiori al 12
% nei primi tre anni del periodo considerato e una leggera attenuazione nel
2023, mantenendo comunque un solido +7 %. Questi dati indicano l’emergere di un
nuovo asse dell’innovazione, trainato da investimenti pubblici, aumento della
popolazione scientifica e politiche di attrazione di talenti.
In contrasto, le grandi economie avanzate, pur
mantenendo livelli assoluti elevati di ricercatori, mostrano tendenze meno
dinamiche. La Germania, ad esempio, presenta una crescita contenuta e regolare,
con variazioni annue comprese tra lo 0 % e il +5.3 %, confermando un sistema
consolidato ma poco espansivo. La Francia segue una traiettoria simile, con
incrementi moderati tra il +2.6 % e il +3.9 %, mentre l’Italia oscilla tra
valori più deboli: una decrescita iniziale del –2.4 % è seguita da un recupero
progressivo, fino a un +2.1 % nel 2023, che tuttavia non basta a compensare la
perdita iniziale. La Spagna, al contrario, rappresenta una nota positiva nel
contesto mediterraneo, con un’accelerazione fino al +8.2 % nell’ultimo anno
disponibile, probabilmente legata all’arrivo dei fondi europei per la ripresa e
alla stabilizzazione di ricercatori precari. Anche il Portogallo mantiene una
crescita stabile e consistente, sempre tra il 5 % e il 6 %, confermandosi tra i
Paesi UE più coerenti nel rafforzamento della propria base scientifica.
I Paesi nordici offrono spunti interessanti, con
traiettorie che, pur in un contesto demografico limitato, rivelano una certa
vivacità. La Finlandia mostra una crescita regolare tra il 2.8 % e il 4.4 %,
segno di continuità nelle politiche pubbliche di sostegno alla ricerca. La
Svezia presenta tassi più alti, toccando il 6.6 %, mentre la Danimarca
sorprende nel 2022 con un picco del +17.9 %, che potrebbe essere attribuito a
una revisione metodologica o a un investimento eccezionale. L’Islanda, in
controtendenza, registra una significativa contrazione del –5.5 % nel 2023,
probabilmente legata a un ridimensionamento o ristrutturazione del sistema
accademico nazionale. L’Estonia si distingue nel gruppo baltico, con una
crescita fino al +15.5 % nel 2022 e un ritorno alla media negli anni
successivi. Al contrario, Lettonia e Lituania mostrano forti oscillazioni: la
prima passa da un picco positivo del +12.1 % a una contrazione del –3.3 %,
mentre la seconda, dopo l’8.4 % di crescita, crolla a –9.4 % nel 2023. Questi
andamenti evidenziano quanto sia fragile l’equilibrio nei sistemi scientifici
più piccoli, spesso dipendenti da fondi esterni e soggetti a fluttuazioni nei
cicli politici o economici.
In Europa centro-orientale, i dati raccontano una
storia di progressiva costruzione della capacità scientifica. La Polonia mostra
una crescita regolare, con picchi dell’8.9 %, mentre la Repubblica Ceca alterna
anni di espansione (+8.8 %) a un rallentamento nel 2023 (–1.3 %). L’Ungheria,
inizialmente in crescita, subisce un calo nel 2023 (–3.4 %), segno di un
contesto istituzionale più instabile. La Romania sorprende positivamente, con
un aumento significativo dell’8.4 % nell’ultimo anno, mentre la Bulgaria mostra
un andamento più irregolare, con fasi di declino (-2.8 % e –6.5 %) alternate a
un’espansione temporanea. Nei Balcani occidentali, la Croazia parte da tassi
positivi (fino al 4.3 %), ma termina con un calo, evidenziando criticità di
sostenibilità a lungo termine.
Tra le economie anglosassoni, il Canada spicca
per la costanza: mostra tassi positivi ogni anno, pur in calo nel tempo, da
+7.7 % a +2.8 %. Gli Stati Uniti, seppur con dati parziali, evidenziano buone
performance (+5.4 % e +7.5 %), compatibili con i grandi investimenti pubblici e
privati in settori strategici come intelligenza artificiale, biotecnologie e
difesa. L’Irlanda, con variazioni tra il +6 % e il –0.1 %, mostra invece un
andamento altalenante. Nei Paesi del Benelux, il Belgio presenta una crescita
compresa tra il +3 % e il +5.4 %, mentre i Paesi Bassi si mantengono su livelli
medi, con un +4.7 % nell’ultimo anno disponibile. Il Lussemburgo mostra forti
fluttuazioni, passando da un –1.4 % a un +9.4 %, segno di un sistema che
risente dell’andamento di pochi grandi attori istituzionali.
Nel resto del mondo, i dati mostrano contrasti
ancora più marcati. L’Argentina cresce moderatamente, tra l’1.2 % e il 3.4 %,
riflettendo un lento consolidamento post-crisi. Il Sudafrica, al contrario,
mostra una dinamica negativa, con una contrazione costante fino al –0.9 %,
forse legata alla difficoltà di finanziare il settore pubblico della ricerca.
Singapore, pur con meno dati, segnala un’importante crescita del +9.9 %, in linea
con la strategia di lungo termine volta a fare del Paese un hub globale per la
scienza applicata. Anche Taiwan (ex “Chinese Taipei”) mostra una crescita
sostenuta e costante, tra il +2.3 % e il +2.7 %, rappresentando un modello di
stabilità e continuità nella valorizzazione del personale scientifico. La
Russia, invece, presenta un unico dato negativo (-0.9 %), troppo isolato per
delineare una tendenza ma comunque coerente con un contesto geopolitico e
finanziario critico. L’OCSE, nel complesso, si attesta su una crescita media
del +2.9 % all’anno, con un picco del +6.1 %, mentre l’Unione Europea dei 27
registra una media fra il +1.8 % e il +5.2 %, confermando una progressione più
lenta ma stabile. Questi dati mettono in luce una tendenza generale: mentre i
Paesi OCSE mantengono l’occupazione nella ricerca su livelli sostenibili, i
Paesi emergenti si espandono con maggiore energia, riducendo il divario nella
capacità di produrre e gestire conoscenza scientifica. Tuttavia, la
sostenibilità di questi tassi nel tempo resta incerta, e sarà fondamentale
osservare se tale crescita sarà accompagnata da investimenti proporzionati in
infrastrutture, programmi di ricerca e opportunità di carriera.
Infine, il periodo 2020–2024 mostra quanto la
ricerca scientifica sia diventata una leva strategica globale. L’aumento dei
ricercatori non è solo un indicatore quantitativo, ma riflette la capacità di
ciascun Paese di attrarre giovani talenti, trattenere competenze e creare
condizioni di lavoro stabili e attrattive. La crisi pandemica ha dimostrato il
valore insostituibile della scienza, ma ha anche reso evidente la necessità di
rafforzare strutturalmente il capitale umano su cui essa si regge. La
divergenza tra Paesi che crescono rapidamente e quelli in stallo o in contrazione
non può essere trascurata: senza investimenti strutturali e continui, i sistemi
scientifici rischiano di non reggere la crescente pressione legata alle
transizioni ecologica, digitale e tecnologica. I dati mostrano con chiarezza
che dove c’è visione politica, sostegno finanziario e continuità istituzionale,
la crescita del numero di ricercatori è solida e duratura. Al contrario,
laddove prevalgono l’incertezza e la discontinuità, anche il capitale umano
nella ricerca diventa fragile e instabile.
Fonte: OCSE
Variabile: Measure:
Researchers. Combined unit of measure: Full
time equivalent unit
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