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Analisi dei Flussi di Mobilità degli Autori Scientifici nel Mondo

 

 

Il dataset relativo agli indicatori bibliometrici dei flussi bilaterali di mobilità scientifica offre una panoramica ampia e articolata della mobilità internazionale degli autori scientifici, misurata in termini di presenza e attività tra paesi di origine e di destinazione. Con 1532 punti dati selezionati, la matrice fornisce un'analisi dettagliata di come si distribuisce il capitale umano scientifico nel mondo, con un focus particolare sui paesi OCSE e su alcune economie emergenti. L’unità di misura combinata, espressa in “persone”, indica il numero di autori scientifici che si spostano da un paese all’altro, contribuendo alla produzione accademica e alla collaborazione transnazionale.

L’analisi evidenzia come gli Stati Uniti siano il polo più importante per l’attrazione di ricercatori da una varietà di paesi. Con flussi in entrata provenienti da nazioni come l’India (27.806), la Cina (66.971), il Regno Unito (43.874), la Germania (26.952) e il Canada (39.696), si conferma la posizione egemonica degli USA nel sistema della scienza globale. Questo riflette l’elevata capacità di attrazione del sistema accademico americano, favorito da un ampio investimento in ricerca, infrastrutture avanzate e una cultura universitaria profondamente radicata. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti esportano numerosi scienziati, con flussi significativi verso il Regno Unito, il Canada, la Germania e la Francia.

Anche il Regno Unito si distingue per la sua duplice funzione di origine e destinazione. Oltre a ricevere un numero elevato di ricercatori da paesi come l’Australia (12.308), il Canada (8.205) e la Germania (14.603), ne esporta altrettanti verso gli Stati Uniti (41.320), la Francia (9.158) e l’Australia (11.129). Questo suggerisce un sistema accademico molto integrato a livello internazionale, in grado di operare sia come hub di ricezione che come nodo di ridistribuzione della conoscenza.

La Cina emerge come un attore di primo piano tra le economie non OCSE. Pur non essendo un tradizionale paese OCSE, dimostra una dinamica impressionante in termini di mobilità scientifica. È una delle principali fonti di ricercatori in partenza, con flussi consistenti verso Stati Uniti, Australia, Germania, Giappone e Regno Unito. Tuttavia, accoglie anche studiosi da numerosi paesi, sebbene in misura decisamente inferiore. Questo asimmetrico rapporto tra emigrazione e immigrazione riflette una strategia di lungo periodo da parte della Cina, che ha storicamente incentivato l’uscita di talenti con l’obiettivo, almeno parziale, di favorire successivamente il rientro e l’arricchimento del proprio sistema scientifico.

L’Italia, invece, si presenta con un profilo di forte esportatore di capitale scientifico. Gli autori italiani si spostano principalmente verso Regno Unito (9.972), Stati Uniti (13.762), Germania (6.645) e Francia (7.305), confermando una tradizione di migrazione accademica spesso legata a fattori strutturali come la scarsità di fondi per la ricerca, le difficoltà nella carriera universitaria e la rigidità del sistema accademico nazionale. Nonostante ciò, l’Italia accoglie anch’essa un numero rilevante di ricercatori, principalmente da paesi europei e, in misura minore, da economie emergenti, ma il saldo resta generalmente negativo.

La Germania si distingue per essere una delle nazioni europee più interconnesse. Riceve flussi significativi da Austria (6.884), Svizzera (10.153), Paesi Bassi (6.722) e Italia (6.645), ma è anche uno dei principali esportatori di capitale scientifico verso gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia. Questo equilibrio riflette un sistema accademico forte, attrattivo e ben finanziato, in grado di mantenere un’intensa interazione scientifica con partner internazionali.

Il Canada è sia un importante destinatario che un esportatore di ricercatori. Oltre ad attrarre scienziati dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal Regno Unito, ne esporta un numero rilevante verso gli stessi paesi, segno di un sistema accademico competitivo e ben integrato nei circuiti internazionali. L’Australia segue un modello simile, agendo come nodo secondario ma comunque centrale nel panorama globale, particolarmente nel rapporto con la Cina, l’India e il Regno Unito.

Spagna e Francia mostrano tendenze parallele: entrambe attirano numerosi studiosi da paesi dell’America Latina e dell’Africa, oltre che da altri paesi europei, ma si trovano anche a fronteggiare l’emigrazione di talenti verso Stati Uniti e Regno Unito. Questo dualismo evidenzia l’importanza della lingua e dei legami storici nelle dinamiche migratorie accademiche.

Un altro aspetto significativo è la presenza dei flussi tra paesi emergenti e paesi OCSE. L’India, per esempio, invia un gran numero di scienziati verso Stati Uniti, Regno Unito e Australia, mentre riceve un numero assai minore in cambio. Lo stesso vale per il Brasile e l’Egitto, che rappresentano esempi chiari di “fuga dei cervelli”, fenomeno che, pur potendo portare benefici sotto forma di rimesse di conoscenze e collaborazioni, rappresenta una sfida in termini di sviluppo scientifico domestico.

Il Giappone e la Corea del Sud hanno un comportamento interessante: il Giappone, pur avendo una solida tradizione scientifica, mostra una tendenza a inviare ricercatori verso Stati Uniti e Europa, mantenendo tuttavia un numero non trascurabile di ingressi, soprattutto dalla Cina e da altri paesi asiatici. La Corea, invece, pur essendo una meta in crescita, resta prevalentemente un paese di origine per la mobilità scientifica, con forti flussi in uscita diretti soprattutto verso Stati Uniti e Giappone.

Paesi di dimensioni minori o con sistemi scientifici più giovani, come quelli baltici, i Balcani o alcune nazioni africane, mostrano una mobilità prevalentemente unidirezionale, con l’uscita verso paesi OCSE. Estonia, Lettonia, Lituania e Slovenia, ad esempio, hanno numeri relativamente modesti ma indicativi del ruolo di perno che i paesi occidentali giocano nella formazione e nell’impiego di capitale scientifico proveniente dall’Est Europa.

Un altro elemento di rilievo è il ruolo delle ex-colonie e dei legami linguistici. Molti ricercatori africani si dirigono verso la Francia, mentre i latinoamericani gravitano verso Spagna, Stati Uniti e Brasile. Questo conferma che, oltre alle opportunità economiche e accademiche, anche la lingua e i legami storici influenzano profondamente i percorsi migratori degli scienziati.

I dati suggeriscono anche l’emergere di nuovi poli regionali. Paesi come Singapore, Qatar e Emirati Arabi Uniti stanno aumentando la loro capacità di attrazione di talenti, spesso grazie a politiche di investimento massiccio in ricerca e alla costruzione di campus universitari d’élite. Tuttavia, il numero di flussi in entrata è ancora inferiore rispetto a quelli in uscita, evidenziando la necessità di tempo e continuità per consolidare il proprio ruolo nel sistema globale della ricerca.

In sintesi, l’analisi dei flussi bibliometrici di mobilità scientifica rivela una geografia della conoscenza in cui dominano poche nazioni ad alta capacità attrattiva e una vasta rete di paesi fornitori di capitale umano intellettuale. La mobilità non è solo un fenomeno numerico, ma riflette squilibri di potere, investimenti, condizioni strutturali dei sistemi di ricerca e rapporti storici tra nazioni. Se da un lato la circolazione di ricercatori può rappresentare una risorsa per la cooperazione globale, dall’altro mette in luce le fragilità di alcuni sistemi nazionali e la necessità di politiche più equilibrate che incentivino la mobilità circolare, evitando che si trasformi in una perdita permanente di competenze.

 

Fonte: OCSE

Link: https://data-explorer.oecd.org/








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