Ore in cattedra: come varia il carico di lavoro degli insegnanti di scuola primaria nei Paesi OCSE e oltre
L’analisi dei
dati sulla durata annua dell’orario di insegnamento statutario degli insegnanti
della scuola primaria nelle istituzioni pubbliche dal 2000 al 2021 rivela
dinamiche molto differenziate tra i Paesi dell’area OCSE e non solo. Si tratta
di un indicatore fondamentale per comprendere le condizioni di lavoro dei
docenti, la struttura organizzativa dei sistemi scolastici, e persino alcune
delle strategie adottate per rispondere a pressioni sociali, economiche e
pedagogiche nel corso del tempo.
Partendo dall’Australia, osserviamo un andamento tendenzialmente
stabile con valori intorno alle 870-880 ore annue. Tuttavia, si nota una lieve
flessione nel 2021, quando le ore scendono a 860, probabilmente legata alla
pandemia da COVID-19 e all’adattamento della didattica a distanza. In Austria,
la situazione è alquanto statica fino al 2016, con 779 ore costanti, salvo un
leggero incremento nel 2018 e 2019, in cui si raggiungono 814 ore. Questo
incremento potrebbe riflettere un adeguamento alle nuove esigenze curricolari o
un tentativo di allineamento con gli standard internazionali.
Il caso del Belgio è particolarmente interessante perché si
presenta separato per comunità linguistiche. Nella Comunità Francese si nota
una tendenza alla riduzione progressiva delle ore, passando da 724 nel 2006 a
680 nel 2021. Questa riduzione può indicare un cambio di paradigma verso una
valorizzazione della qualità piuttosto che della quantità dell'insegnamento. Al
contrario, la Comunità Fiamminga mostra oscillazioni costanti attorno alle
740-750 ore, indicando una certa rigidità nel modello organizzativo adottato.
Canada e Stati Uniti presentano lacune nei dati per molti anni,
ma per il Canada tra il 2010 e il 2018 si rileva una stabilità intorno alle
797-799 ore. Negli Stati Uniti, l’unico dato disponibile risale al 2015 con
1.004 ore, un valore significativamente elevato rispetto alla media OCSE, che
suggerisce un carico di lavoro piuttosto importante per gli insegnanti
statunitensi. Questo può anche essere indice di una diversa configurazione del
tempo scuola, dove l’insegnante è coinvolto in più ore frontali rispetto a
colleghi di altri Paesi.
Tra i Paesi dell’America Latina, spicca il caso del Cile, che
mostra un andamento decrescente: si passa dalle oltre 1.150 ore del 2014 alle
999 del 2019. Questo calo potrebbe indicare una presa di coscienza da parte del
sistema educativo circa la sostenibilità dell’impegno orario richiesto agli
insegnanti, magari anche in seguito a pressioni sindacali o valutazioni
sull’efficacia del tempo speso in aula. In Colombia, si mantiene un valore
costante di 1.000 ore per quasi tutti gli anni, con lievi flessioni a 950 nel
2021. Anche Costa Rica mostra un orario elevato (oltre 1.170 ore), ma con un
leggero incremento nel 2021, che potrebbe indicare una risposta alle
interruzioni scolastiche causate dalla pandemia.
Guardando all’Europa centrale, la Repubblica Ceca presenta una
riduzione netta nel 2014, passando da valori oltre le 820 ore a 617, mantenendo
livelli più bassi negli anni successivi. Questo cambiamento radicale può essere
dovuto a riforme strutturali, magari legate a un nuovo bilanciamento tra ore di
insegnamento e attività collaterali. La Danimarca, invece, mostra una tendenza
all’aumento, raggiungendo il picco di 784 ore nel 2014, seguite poi da una
decrescita post-2015. Anche in questo caso, la flessione potrebbe essere
correlata all’introduzione della didattica ibrida durante la crisi sanitaria
globale.
In Finlandia, l’orario resta stabile e costantemente inferiore
alla media OCSE, attestandosi tra le 673 e 680 ore. Questo riflette la
filosofia educativa finlandese, che punta molto sulla qualità
dell’insegnamento, sul tempo per la preparazione delle lezioni e sul benessere
degli insegnanti. In Francia, si registra una perfetta stabilità per oltre un
decennio a 924 ore, con una leggera riduzione a 900 dopo il 2014, segno di un
sistema piuttosto rigido ma che comunque è intervenuto per ridurre
marginalmente il carico orario.
In Germania, il dato mostra una leggera tendenza alla
diminuzione. Si parte da 808 ore nel 2005 e si arriva a 691 nel 2021. Un calo
così costante suggerisce una revisione strutturale dell’orario scolastico o un
tentativo di armonizzare l’equilibrio tra vita lavorativa e privata degli
insegnanti. In Grecia, la situazione è meno lineare a causa di frequenti
interruzioni di serie e cambi nei criteri statistici, ma i valori più recenti
mostrano un leggero aumento, fino a 675 ore nel 2021.
Paesi come Israele e Corea mostrano una certa variabilità:
Israele ha visto un incremento da 731 a 846 ore nel periodo considerato,
probabilmente in risposta a cambiamenti nelle politiche educative o
demografiche. Corea, al contrario, ha ridotto l’orario da oltre 880 a circa 672
ore, una discesa significativa che riflette probabilmente un cambio di
orientamento verso la riduzione dello stress scolastico e una maggiore
flessibilità didattica.
L’Italia si mantiene piuttosto stabile intorno alle 744-770 ore,
con variazioni molto contenute nel tempo. Questo dato suggerisce una struttura
consolidata che non ha subito grandi scossoni, sebbene il minimo del 735 (nel
2006) e il massimo del 770 (nel 2010) indichino comunque delle variazioni
puntuali probabilmente legate ad aggiustamenti normativi. In Spagna, il dato è
sorprendentemente stabile a 880 ore annue, con una minima variazione nel 2019.
Anche questo è indicativo di un sistema rigido e poco incline a riforme
sostanziali.
Nei Paesi nordici, come Islanda, Norvegia e Svezia, la
disponibilità di dati è limitata, ma emerge una tendenza alla stabilità con
orari tendenzialmente più bassi della media OCSE. In particolare, l’Islanda
mostra un calo a 603 ore nel 2019. Questo valore, tra i più bassi, rafforza
l’idea di un modello scolastico centrato sull’autonomia del docente e sul tempo
per la riflessione e la preparazione. La Norvegia presenta 741 ore come valore
costante dal 2005 in poi, che riflette un’organizzazione ben equilibrata.
Il Messico mostra una costanza quasi assoluta fino al 2015 con
800 ore, seguita da una leggera flessione fino a 760 nel 2021. I Paesi Bassi,
invece, si mantengono costantemente su 930 ore, con un lieve aumento a 940 nel
biennio più recente. Il dato elevato riflette una struttura scolastica che
privilegia la presenza in aula, forse compensata da altri strumenti di
supporto. Il Portogallo mostra una certa instabilità con valori che oscillano
dai 747 agli 869 nel 2021, suggerendo una certa flessibilità o adattamento alle
esigenze locali o agli effetti delle politiche educative.
Infine, il dato aggregato OCSE evidenzia un aumento generale
delle ore nel periodo 2005-2016, passando da 842 a 922 ore, con una successiva
lieve decrescita. Questo trend suggerisce che, in generale, i Paesi OCSE
abbiano inizialmente aumentato il carico orario dei docenti per poi rivedere le
scelte alla luce di nuove priorità, tra cui il benessere degli insegnanti, la
qualità didattica e l’impatto della pandemia.
Nel complesso, i dati
mostrano una grande eterogeneità tra Paesi, con alcuni sistemi educativi
caratterizzati da stabilità strutturale e altri da frequenti aggiustamenti.
Alcuni Paesi, come quelli scandinavi e la Finlandia, si mantengono su livelli
orari contenuti, mentre altri come il Cile o i Paesi Bassi mostrano valori
elevati, probabilmente correlati a modelli pedagogici differenti o a differenti
livelli di supporto extracurricolare. La pandemia ha rappresentato un elemento
di discontinuità che ha in alcuni casi accelerato cambiamenti già in atto. In
ultima analisi, l’orario annuo degli insegnanti riflette non solo politiche
scolastiche, ma anche la visione culturale del ruolo dell’insegnante e del
rapporto tra tempo e apprendimento.
Fonte: OCSE
Link: www.oecd.org
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