L’analisi dei dati relativi all’indicatore della
povertà relativa nei paesi OCSE nel periodo 2019-2023 evidenzia una tendenza
complessa influenzata principalmente da fattori economici straordinari quali la
pandemia da COVID-19, le sue conseguenze sociali ed economiche e, più
recentemente, le tensioni geopolitiche internazionali che hanno inciso sul
costo della vita e sull’equità redistributiva. In primo luogo emerge una
sostanziale variabilità fra i paesi, con i tassi di povertà relativa più
contenuti nei paesi nordici come Finlandia, Danimarca, Norvegia e Svezia, dove
le politiche di welfare universalistico e i sistemi di protezione sociale
fortemente strutturati hanno storicamente contribuito a contenere le
disuguaglianze economiche. Ad esempio, la Finlandia oscilla tra valori compresi
tra il 5.7% e il 6.7% in tutto il quinquennio, confermando una stabilità che
riflette l’efficacia di un modello sociale ben radicato. Situazioni simili si
osservano anche in paesi come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, che mostrano
livelli inferiori alla media europea, con valori attorno al 5-9%, nonostante le
recenti pressioni economiche. All’opposto, paesi come Costa Rica, Cile,
Colombia e Stati Uniti presentano livelli sensibilmente più elevati. In
particolare, la Costa Rica registra valori in costante aumento, passando dal
19.9% nel 2019 al 21.2% nel 2023, segnalando una crescita della fascia della
popolazione economicamente vulnerabile e potenzialmente legata a una debolezza
strutturale nei meccanismi di protezione sociale o a un forte divario tra aree
urbane e rurali. Negli Stati Uniti, pur osservandosi una lieve flessione tra il
2019 e il 2021 dal 18% al 15.2%, si evidenzia un preoccupante aumento al 18.1%
nel 2022, indice che le politiche straordinarie di supporto legate alla
pandemia hanno avuto un impatto temporaneo ma non strutturale sulla riduzione
della disuguaglianza economica. In Canada si rileva una dinamica simile con un
calo importante al 2020 (8.6%) seguito da una risalita nel 2021 (10.5%),
suggerendo come l’effetto degli stimoli pubblici sia stato efficace solo nel
breve periodo. In America Latina, anche se con dati incompleti, si nota in Cile
una riduzione dal 18.6% al 16.3% tra il 2020 e il 2022, che può essere
interpretata come risultato di interventi redistributivi specifici o di
rimbalzi economici post-crisi, mentre in Messico, pur mancando la serie completa,
il dato del 2022 (15%) mostra un livello ancora elevato. In Europa meridionale,
l’Italia mostra un lento miglioramento con un passaggio dal 13.6% nel 2019 al
12.8% nel 2021, che tuttavia rimane elevato rispetto ai paesi del centro
Europa; la Spagna invece, pur con un leggero miglioramento nel 2021 (14.4%
rispetto al 15.4% del 2020), si mantiene su livelli alti, espressione di una
ripresa economica ancora incompleta e di fragilità strutturali nel mercato del
lavoro. Anche la Grecia, storicamente colpita da forti diseguaglianze dopo la
crisi del debito sovrano, mostra un andamento altalenante tra il 2019 e il 2021
(dal 11.5% al 13% e poi di nuovo all’11.7%), segno di un contesto economico
ancora instabile. Tra i paesi che hanno mostrato miglioramenti significativi va
menzionata l’Ungheria, dove la povertà relativa è passata dal 9.2% del 2019 al
6.7% nel 2021, con una riduzione netta di oltre due punti percentuali, e ciò
potrebbe essere collegato a politiche di sostegno al reddito o incrementi
salariali selettivi. In Irlanda, invece, si registra un aumento della povertà
relativa dal 7.7% al 9.7% nello stesso triennio, forse causato da una
disuguaglianza crescente nei redditi da lavoro o da un’erosione del potere
d’acquisto delle classi medie. Interessanti sono anche i dati provenienti
dall’Asia orientale: in Corea si osserva un lieve ma costante miglioramento
della condizione economica delle fasce più deboli con una riduzione dal 16.3%
del 2019 al 14.9% nel 2022, mentre in Giappone, unico dato disponibile nel 2021,
si segnala un preoccupante 15.4%, suggerendo che anche le economie più avanzate
non sono immuni da disuguaglianze strutturali. In Europa occidentale, Francia,
Belgio e Germania si attestano su livelli intermedi con valori oscillanti tra
il 7% e il 11%, ma con una tendenza alla crescita in Germania, dove si passa
dal 10.9% all’11.6% tra il 2019 e il 2020, potenzialmente attribuibile a una
maggiore pressione sui salari reali o a difficoltà di inclusione di specifici
gruppi sociali. Nei Paesi Bassi e in Lussemburgo i tassi si mantengono stabili
attorno all’8-10%, livelli considerabili relativamente bassi ma che
testimoniano comunque una presenza costante di popolazione in condizioni di
difficoltà. Tra i casi virtuosi vi sono Slovenia e Slovacchia che, pur registrando
qualche fluttuazione, restano tra i paesi con le percentuali di povertà
relativa più basse, elemento che denota un sistema sociale inclusivo e una
distribuzione dei redditi relativamente equa. Infine, nel Regno Unito e in
Israele i dati evidenziano un profilo più instabile: il Regno Unito passa dal
12.4% all’11.7% tra il 2019 e il 2021 con variazioni contenute, mentre in
Israele il dato sale dal 16.9% al 17.8%, suggerendo una crescita delle
disuguaglianze che richiederebbe un intervento strutturale. In sintesi, il
panorama che emerge da questi dati mette in luce una forte eterogeneità tra i
paesi in termini di povertà relativa, con alcuni paesi che hanno saputo
contenere l’impatto delle crisi attraverso politiche efficaci e altri che
invece hanno visto peggiorare la situazione delle fasce più vulnerabili. Le
oscillazioni dei dati, soprattutto nel biennio 2020-2021, sono per lo più
imputabili agli effetti della pandemia, con l’intervento di misure
straordinarie che in alcuni casi hanno attenuato temporaneamente la povertà ma
che non hanno risolto i problemi strutturali. La riduzione della povertà
relativa richiede dunque un approccio sistemico, che comprenda politiche
fiscali redistributive, investimenti nell’istruzione e nella salute,
rafforzamento del mercato del lavoro, sostegno al reddito e strategie mirate
per i gruppi più a rischio di esclusione, al fine di garantire una crescita
economica realmente inclusiva in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle
Nazioni Unite.
Fonte: OCSE
Link: www.oecd.org
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