I
dati presentati riguardano il valore delle entrate fiscali mancate legate alla
mancata applicazione di un prezzo del carbonio pari a un dato benchmark
(tipicamente 60 o 120 euro per tonnellata di CO₂). Questo indicatore è
estremamente utile per valutare in termini concreti il livello di supporto
implicito che molti governi forniscono ai combustibili fossili, non attraverso
sussidi diretti, ma tramite la mancata internalizzazione dei costi ambientali
delle emissioni. In altri termini, si tratta di una stima del potenziale
fiscale perduto a causa di politiche di carbon pricing inadeguate o assenti.
Guardando
ai valori espressi sia in milioni di euro a prezzi costanti 2023, sia come
percentuale del PIL, emergono forti differenze tra i paesi. I numeri raccontano
una storia chiara: molti governi rinunciano a risorse pubbliche significative
non applicando un’efficace tassazione delle emissioni di carbonio.
Al
vertice della classifica troviamo il Regno Unito, con ben 19.820,94 milioni di
euro di entrate mancate, equivalenti allo 0,63% del PIL. Questo dato,
sorprendente per un paese che ha sempre dichiarato un impegno forte nella
transizione ecologica, suggerisce che esistano ancora ampie aree del sistema
economico britannico in cui il carbon pricing è troppo debole o assente. Una
piena applicazione di un prezzo sul carbonio allineato al benchmark potrebbe
quindi generare risorse preziose, sia per finanziare la decarbonizzazione che
per misure sociali.
Subito
dopo, il Giappone con 15.761,92 milioni di euro (pari allo 0,38% del PIL) e la
Francia con 5.974,78 milioni di euro (0,21% del PIL) mostrano quanto anche le
grandi economie avanzate siano lontane da una politica fiscale climatica
pienamente efficace. In particolare, nel caso giapponese, questo dato conferma
quanto emerso da precedenti analisi: la presenza di un carbon pricing formale,
ma debole, e forti sussidi energetici, portano a un grande divario tra le
entrate potenziali e quelle effettive.
Tra
i paesi dell’Unione Europea, si distinguono Spagna con 2.376,42 milioni di euro
(0,16% del PIL), Grecia con 537,19 milioni (0,24%), Austria con 266,30 milioni
(0,06%) e Belgio con 122,82 milioni (0,02%). Si nota che, nonostante la
partecipazione al sistema ETS europeo, molte economie UE mantengono settori o
prodotti energetici insufficientemente prezzati, rinunciando così a risorse
fiscali e incentivando indirettamente l’uso di combustibili fossili.
Il
caso della Colombia è particolarmente emblematico. Con 2.770,07 milioni di euro
di entrate mancate, pari allo 0,76% del PIL, è il paese con il valore
percentuale più alto della tabella. Questo significa che, in termini relativi,
la Colombia fornisce un supporto implicito ai combustibili fossili superiore a
quello di molte economie avanzate, ostacolando i suoi stessi sforzi di sviluppo
sostenibile. Lo stesso si può dire per la Lituania, dove il valore di entrate
perse arriva allo 0,68% del PIL, dimostrando che anche le economie più piccole
hanno margini significativi per una riforma del carbon pricing.
Molti
altri paesi, invece, riportano valori pari a zero. Tra questi troviamo
Australia, Canada, Costa Rica, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania,
Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia,
Portogallo, Slovenia, Svezia e Svizzera. È importante però chiarire che un
valore zero non significa necessariamente che il carbon pricing sia perfetto,
ma può anche indicare che, al livello di benchmark considerato, le emissioni
sono già sufficientemente prezzate, oppure che non si dispone di dati completi
o che le metodologie adottate in questi paesi siano particolarmente coerenti
con gli obiettivi climatici.
Un
caso degno di nota è quello della Germania, che pur essendo una delle
principali economie europee e tra le più energivore, mostra entrate mancate
molto basse in termini assoluti (153,35 milioni di euro) e trascurabili in
percentuale del PIL (0,00%). Questo è probabilmente il risultato delle riforme
recenti, tra cui l’introduzione di un sistema nazionale di scambio di quote per
i settori non ETS, e delle alte accise sui combustibili.
Il
caso degli Stati Uniti merita un’analisi a parte. Con quasi 973 milioni di euro
di entrate mancate, il valore assoluto è significativo, ma in percentuale del
PIL è quasi nullo. Questo riflette la grandezza dell’economia americana, ma
anche la frammentarietà della politica sul carbon pricing: alcuni stati, come
la California, applicano sistemi ETS, mentre a livello federale non esiste una
carbon tax. Tuttavia, data l’elevata intensità carbonica dell’economia
americana, il potenziale di riforma fiscale rimane elevatissimo.
In
termini di policy, questo indicatore rafforza la tesi che la mancanza di un
prezzo adeguato del carbonio rappresenta una forma indiretta di sussidio ai
combustibili fossili. Non si tratta solo di una questione ambientale, ma anche
di equità fiscale: chi inquina non paga il giusto, mentre la collettività ne
subisce i danni ambientali e sanitari.
Riformare
il carbon pricing, portandolo in linea con i benchmark OCSE, rappresenta quindi
una strategia cruciale per recuperare risorse pubbliche oggi perse. Queste
risorse potrebbero essere impiegate per finanziare infrastrutture verdi,
sostenere la ricerca sulle rinnovabili, favorire la mobilità sostenibile e,
soprattutto, per compensare le famiglie più vulnerabili, riducendo il rischio
di rigetto sociale delle politiche climatiche.
Un
altro aspetto importante è che la riforma del carbon pricing e la riduzione dei
sussidi impliciti aiutano a rendere più trasparenti e credibili le politiche
ambientali. In molti paesi, infatti, il contrasto tra retorica ambientale e
pratica fiscale mina la fiducia dei cittadini e delle imprese. Una maggiore
coerenza tra obiettivi climatici e strumenti fiscali renderebbe le politiche
più efficaci e sostenibili nel lungo periodo.
In
conclusione, il dataset sull’ammontare delle entrate fiscali mancate a causa
della mancata applicazione di un prezzo del carbonio adeguato fornisce una
chiave di lettura fondamentale per comprendere dove e quanto la fiscalità
pubblica stia ancora supportando in modo implicito l’uso dei combustibili
fossili. Le differenze tra paesi sono notevoli e, in molti casi, indicano
margini enormi per riforme efficaci. Implementare carbon pricing coerenti con
il costo reale del danno climatico non è solo una questione di giustizia
ambientale, ma anche una scelta strategica per rafforzare la resilienza
economica e la sostenibilità dei conti pubblici.
Fonte:
OCSE
Link: https://data-explorer.oecd.org/
Statistical operation |
Weighted mean |
|
Combined unit of measure |
Euro, Millions, Constant prices, 2023 |
Percentage of GDP |
Australia |
0.00 |
0.00 |
Austria |
266.30 |
0.06 |
Belgium |
122.82 |
0.02 |
Canada |
0.00 |
0.00 |
Chile |
59.81 |
0.02 |
Colombia |
2 770.07 |
0.76 |
Costa Rica |
0.00 |
0.00 |
Czechia |
28.48 |
0.01 |
Denmark |
0.00 |
0.00 |
Estonia |
0.00 |
0.00 |
Finland |
0.00 |
0.00 |
France |
5 974.78 |
0.21 |
Germany |
153.35 |
0.00 |
Greece |
537.19 |
0.24 |
Hungary |
10.94 |
0.01 |
Iceland |
0.00 |
0.00 |
Ireland |
0.00 |
0.00 |
Israel |
68.71 |
0.01 |
Italy |
1.10 |
0.00 |
Japan |
15 761.92 |
0.38 |
Korea |
12.75 |
0.00 |
Latvia |
68.20 |
0.17 |
Lithuania |
488.79 |
0.68 |
Luxembourg |
0.00 |
0.00 |
Mexico |
0.00 |
0.00 |
Netherlands |
9.06 |
0.00 |
New Zealand |
0.00 |
0.00 |
Norway |
0.00 |
0.00 |
Poland |
0.00 |
0.00 |
Portugal |
0.00 |
0.00 |
Slovak Republic |
52.64 |
0.04 |
Slovenia |
0.00 |
0.00 |
Spain |
2 376.42 |
0.16 |
Sweden |
0.00 |
0.00 |
Switzerland |
0.00 |
0.00 |
Türkiye |
227.06 |
0.02 |
United Kingdom |
19 820.94 |
0.63 |
United States |
972.57 |
0.00 |
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