L’analisi
dei dati relativi ai contributi sociali a carico del datore di lavoro per i
dipendenti nel settore manifatturiero, suddivisi per classe dimensionale
d’impresa e osservati tra il 2018 e il 2022, evidenzia dinamiche complesse che
riflettono al contempo l’evoluzione macroeconomica, le politiche fiscali e
previdenziali, nonché l’andamento specifico del comparto industriale nei vari
Paesi considerati. La distinzione tra piccole e medie imprese (PMI) e grandi
imprese risulta fondamentale, poiché le differenze di struttura, capacità
finanziaria e forza lavoro comportano variazioni sostanziali negli importi
versati e nel loro andamento nel tempo.
Prendendo in
considerazione innanzitutto i Paesi con i volumi più elevati, si nota che la
Germania guida nettamente la classifica per entità dei contributi, con valori
complessivi che passano da circa 84 miliardi di euro nel 2018 a oltre 107
miliardi nel 2022. La crescita è stata continua e più marcata nel biennio
2021-2022, segno sia della ripresa post-pandemica sia dell’aumento dei salari e
della base contributiva. La ripartizione tra PMI e grandi imprese è molto
sbilanciata verso queste ultime, che rappresentano costantemente circa tre
quarti del totale. È plausibile che la maggiore incidenza delle grandi aziende
derivi non solo dal numero medio di dipendenti superiore, ma anche dal livello
retributivo medio più alto, fattore che incide direttamente sui contributi
calcolati in percentuale della retribuzione lorda.
La Francia
mostra un andamento relativamente stabile, con oscillazioni più contenute.
Partendo da circa 53,5 miliardi nel 2018, si arriva a poco più di 55 miliardi
nel 2022. Il 2020 evidenzia un calo rispetto al 2019, coerente con le
contrazioni occupazionali e le riduzioni di orario dovute alla pandemia, ma il
rimbalzo successivo riporta i valori ai livelli pre-crisi già nel 2021. La
distribuzione tra PMI e grandi imprese è meno squilibrata rispetto alla
Germania, con le PMI che contribuiscono per poco più di un quarto del totale.
Ciò riflette una maggiore presenza di imprese medie ben strutturate e un
tessuto produttivo in cui anche le aziende sotto i 250 addetti possono avere
una forza lavoro rilevante.
L’Italia
evidenzia importi significativi, oscillando tra i 40 e i 47 miliardi
complessivi nel periodo. Si osserva un calo sensibile nel 2020, coerente con la
contrazione del monte ore lavorato e delle retribuzioni lorde, seguito da una
ripresa costante fino al massimo del 2022, anno in cui si registrano 47,7
miliardi. Anche qui la distribuzione è favorevole alle PMI, che rappresentano
più della metà dei contributi complessivi, a differenza di quanto accade nei
Paesi del Nord Europa. Ciò si spiega con la struttura del sistema industriale
italiano, fortemente frammentato e basato su distretti produttivi dove la media
dimensionale delle imprese è ridotta, ma il numero complessivo di addetti è
elevato.
La Spagna
presenta valori più contenuti rispetto a Italia e Francia, ma comunque di
rilievo: si passa da circa 16,8 miliardi nel 2018 a oltre 18,7 miliardi nel 2022.
L’aumento è costante, anche negli anni più critici, con una ripartizione quasi
perfettamente bilanciata tra PMI e grandi imprese, segno che entrambe le
componenti del tessuto produttivo contribuiscono in maniera simile alla base
contributiva nazionale. È interessante notare che le variazioni annue sono
modeste, suggerendo un sistema di contribuzione stabile e meno soggetto a
fluttuazioni salariali o occupazionali di grande ampiezza.
Tra i Paesi
Bassi si osserva un andamento di crescita graduale, da 8,56 miliardi nel 2018 a
oltre 10,17 miliardi nel 2022. Anche qui le PMI generano oltre la metà dei
contributi totali, confermando un sistema produttivo in cui le imprese di
piccola e media dimensione hanno un ruolo centrale. L’aumento regolare nel
quinquennio è probabilmente legato sia alla crescita occupazionale sia a
incrementi salariali medi, in un contesto di stabilità economica.
Se si guarda
al quadro dei Paesi di dimensioni più ridotte, come Austria, Belgio e
Finlandia, si notano differenze nei rapporti tra le due classi dimensionali. In
Austria, per esempio, i contributi delle PMI rappresentano circa un terzo del
totale e mostrano una crescita moderata da 3,04 miliardi nel 2018 a 3,33
miliardi nel 2022, mentre quelli delle grandi imprese crescono in modo analogo.
In Belgio il peso relativo delle PMI è simile, ma l’andamento è meno lineare,
con un calo nel 2020 e una ripresa più marcata nel 2022. In Finlandia, invece,
i valori sono stabili o in lieve calo fino al 2020, per poi aumentare
sensibilmente nel 2022, segnale di una ripresa sostenuta dei livelli
occupazionali.
Nei Paesi
baltici i volumi sono molto inferiori, ma le dinamiche sono interessanti. In
Estonia e Lettonia i contributi delle PMI sono la quota predominante, ma la
crescita percentuale negli anni è significativa, soprattutto nel 2021-2022,
forse per effetto combinato di salari in aumento e rafforzamento delle tutele
sociali. La Lituania presenta una situazione anomala nei dati 2019-2020, con
valori estremamente bassi nel 2019 e una rapida risalita negli anni successivi,
che potrebbe essere dovuta a variazioni metodologiche o a riforme del sistema
contributivo.
Paesi come
Grecia e Portogallo mostrano invece valori assoluti inferiori rispetto alle
economie principali, ma un andamento crescente. In Grecia, nonostante una
leggera flessione nel 2020, il 2022 segna un incremento significativo a 1,44
miliardi, con le PMI che forniscono circa il 60% della contribuzione
complessiva. In Portogallo si passa da 2,99 miliardi nel 2018 a 3,52 miliardi
nel 2022, con andamento regolare e un ruolo predominante delle PMI.
In alcuni
casi, come in Lussemburgo e Cipro, i valori sono stabili e bassi in termini
assoluti, ma rilevanti se rapportati alla popolazione e alla dimensione
dell’economia. Lussemburgo mostra una divisione fortemente sbilanciata a favore
delle grandi imprese, mentre Cipro presenta una maggiore incidenza delle PMI.
Malta, infine, ha valori estremamente ridotti e in parte anomali, con diversi
anni in cui le grandi imprese risultano avere contributi nulli o quasi,
probabilmente per motivi legati alla classificazione statistica o alla
prevalenza di piccole imprese.
In termini
complessivi, l’analisi mostra che la quota di contributi sociali a carico del
datore di lavoro nel settore manifatturiero è fortemente correlata alla
struttura produttiva nazionale. Nei Paesi dove predominano le grandi imprese,
come Germania e Francia, queste rappresentano la parte preponderante dei
versamenti. Nei sistemi industriali più frammentati e con una forte presenza di
PMI, come Italia, Paesi Bassi e Portogallo, le piccole e medie imprese hanno un
ruolo contributivo maggiore, talvolta prevalente. Inoltre, l’andamento nel
tempo riflette le fasi economiche: cali nel 2020 in quasi tutti i Paesi,
seguiti da rimbalzi più o meno rapidi, con incrementi marcati nel biennio
2021-2022, in parte dovuti a recuperi salariali, in parte a politiche di
rafforzamento della previdenza sociale.
Se si
considera il legame tra questi contributi e le altre voci di costo del lavoro,
emerge come l’incidenza percentuale dei contributi sociali possa variare
sensibilmente tra Paese e Paese, influenzando la competitività delle imprese e
il costo complessivo della manodopera. Nei Paesi con sistemi di welfare più
generosi, come Francia e Germania, l’ammontare assoluto e relativo dei
contributi è più alto, mentre nei Paesi con sistemi più leggeri, come Estonia o
Grecia, i valori restano più contenuti. Questa differenza strutturale si
riflette anche nella capacità di attrarre investimenti e nella localizzazione
delle attività produttive, poiché il costo del lavoro, inclusi i contributi, è
uno dei principali fattori considerati dalle imprese multinazionali nelle loro
scelte strategiche.
In sintesi,
i dati evidenziano l’importanza di leggere i contributi sociali non solo come
una voce contabile, ma come indicatore della struttura produttiva, della
politica sociale e dell’andamento macroeconomico di un Paese. Le tendenze
emerse tra il 2018 e il 2022 confermano che, nonostante la crisi pandemica, la
traiettoria di lungo periodo è di crescita nella maggior parte delle economie,
con differenze nei ritmi e nella distribuzione tra PMI e grandi imprese che
rispecchiano peculiarità strutturali difficilmente modificabili nel breve
termine.
Fonte: OCSE
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