L’analisi della remunerazione dei dipendenti nel settore manifatturiero tra il 2018 e il 2022 rivela un quadro complesso, segnato da andamenti differenziati per paese, per dimensione d’impresa e per la sequenza degli eventi macroeconomici che hanno influenzato il mercato del lavoro e le dinamiche salariali. L’arco temporale copre la fase pre-pandemica, lo shock del 2020 e il rimbalzo, più o meno marcato, del biennio 2021-2022, che ha visto una progressiva ripresa della produzione industriale e, di conseguenza, una crescita del monte salari. In quasi tutti i paesi analizzati, i livelli di remunerazione totale sono aumentati nel periodo, ma con intensità variabile. Paesi come Germania, Francia, Italia e Spagna restano i principali contributori in termini assoluti, mentre economie più piccole come Estonia, Lituania o Slovacchia mostrano valori contenuti ma in crescita percentuale significativa. La Germania, leader europeo, passa da circa 466 miliardi di euro nel 2018 a quasi 519 miliardi nel 2022, con una contrazione nel 2020 legata alla pandemia seguita da una forte ripresa. In questo caso il peso delle grandi imprese è nettissimo: oltre i due terzi della remunerazione totale derivano da aziende con più di 250 addetti, segno della struttura produttiva fortemente orientata a grandi player industriali. Anche la Francia evidenzia un andamento simile: dai 180 miliardi del 2018 ai 191 miliardi del 2022, con una leggera flessione nel 2020 e una ripresa costante nei due anni successivi. L’Italia presenta una dinamica leggermente più irregolare, con una diminuzione significativa nel 2020 rispetto al 2019 (da 151,8 miliardi a 139,5 miliardi), ma poi un recupero che porta il totale a quasi 163 miliardi nel 2022. Qui le PMI hanno un peso molto maggiore rispetto ad altre economie avanzate, contribuendo a una quota sostanziale della massa salariale, anche se le grandi aziende mantengono retribuzioni medie più elevate.
La Spagna segue
una traiettoria abbastanza lineare, crescendo dai 73,2 miliardi del 2018 agli
83,2 miliardi del 2022, con un calo limitato nel 2020. La ripresa del biennio
successivo è stata favorita dal rimbalzo di settori come l’automotive e
l’alimentare, ma anche da politiche di sostegno all’occupazione. Nei Paesi
Bassi la crescita è continua e costante: da circa 40,8 miliardi nel 2018 a
quasi 49 miliardi nel 2022, senza vere battute d’arresto, segnale di una
resilienza strutturale e di un settore manifatturiero che, pur meno imponente
in termini di occupazione rispetto a Germania o Italia, mantiene retribuzioni competitive.
Nei paesi di dimensione più ridotta, l’aumento delle retribuzioni totali è
spesso legato a un incremento sia del numero di addetti sia delle retribuzioni
medie. L’Estonia passa da 2,13 miliardi a 2,80 miliardi, la Lituania da 2,89 a
4,39 miliardi, entrambi con aumenti percentuali importanti che riflettono una
convergenza salariale graduale verso i livelli medi europei. La Slovacchia
cresce da 8,75 miliardi a oltre 10,2 miliardi, mentre la Slovenia aumenta da
5,37 a quasi 7 miliardi nello stesso arco di tempo. In Grecia il totale sale da
6,35 miliardi nel 2018 a 7,64 miliardi nel 2022, nonostante la contrazione del
2020, segnalando un recupero trainato probabilmente da un mix di aumento della
base occupazionale e rialzo salariale medio.
L’impatto della
pandemia nel 2020 si nota in quasi tutti i paesi: le chiusure temporanee, il
calo della domanda e le interruzioni delle catene di approvvigionamento hanno
ridotto la produzione e, di conseguenza, le ore lavorate e le retribuzioni
totali. Le PMI, in particolare, hanno subito un colpo più marcato rispetto alle
grandi imprese, con riduzioni di monte salari dovute sia alla riduzione
temporanea dell’organico sia al ricorso a strumenti di riduzione oraria.
Tuttavia, in molti contesti, le politiche di sostegno come la cassa
integrazione in Italia, il Kurzarbeit in Germania o il chômage partiel in
Francia hanno attenuato l’impatto sui redditi dei lavoratori, consentendo un
recupero relativamente rapido già nel 2021. La ripresa del 2021-2022 è stata
accompagnata anche da pressioni inflazionistiche, che hanno spinto verso
aumenti nominali delle retribuzioni, non sempre però corrisposti da un reale
aumento del potere d’acquisto. In alcuni casi, come in Lituania o Estonia,
l’incremento nominale si è combinato con una crescita salariale reale, segno di
un’economia in fase di espansione.
Analizzando la
distribuzione per dimensione d’impresa, emerge come nei paesi con strutture
industriali concentrate (Germania, Francia, Slovacchia) la quota di
retribuzioni attribuibile alle grandi aziende superi il 65-70%, mentre in paesi
con forte tessuto di PMI come Italia, Grecia e Portogallo le imprese sotto i
250 addetti contribuiscano a una parte rilevante della massa salariale totale.
Questo aspetto riflette non solo la distribuzione dimensionale delle imprese,
ma anche il livello medio delle retribuzioni: le grandi aziende tendono a
pagare salari più alti, sia per ragioni di produttività sia per la presenza di
contrattazione collettiva più strutturata. Il caso irlandese è particolare: pur
con valori assoluti più bassi rispetto alle principali economie, mostra una
crescita significativa delle retribuzioni nel quinquennio, legata a settori
manifatturieri ad alto valore aggiunto come il farmaceutico e il tecnologico.
Un altro elemento
rilevante è la correlazione tra andamento delle retribuzioni e investimenti in
capitale umano e tecnologia. Nei paesi dove la manifattura è più innovativa e
ad alta specializzazione, come Germania e Paesi Bassi, i salari sono più alti e
la crescita più costante. Al contrario, in economie dove la manifattura è più
orientata a settori tradizionali, la dinamica salariale può essere più lenta e
più sensibile ai cicli economici. In sintesi, i dati mostrano un settore
manifatturiero europeo che, pur attraversato da una crisi senza precedenti nel
2020, ha saputo riprendersi in tempi relativamente brevi, sostenendo e in molti
casi incrementando il livello delle retribuzioni. Le differenze tra paesi e tra
classi dimensionali restano marcate e riflettono strutture produttive,
politiche salariali e livelli di competitività diversi. Guardando al futuro, il
mantenimento di una dinamica retributiva positiva dipenderà dalla capacità
delle imprese di affrontare le sfide legate alla transizione verde e digitale,
alla competizione globale e alla gestione dell’inflazione, garantendo al
contempo una distribuzione equa dei benefici della crescita tra lavoratori di
piccole e grandi realtà produttive.
Fonte: OCSE
Commenti
Posta un commento