L’analisi dei
dati relativi agli occupati espressi in unità equivalenti a tempo pieno nel
settore manifatturiero per il periodo 2018-2022 evidenzia un panorama
articolato, influenzato sia da dinamiche strutturali sia da eventi
congiunturali come la pandemia di COVID-19 e le successive fasi di ripresa. I
valori, espressi in unità equivalenti a tempo pieno, consentono di valutare la
reale capacità occupazionale al netto di contratti part-time, fornendo un
indicatore omogeneo e comparabile della forza lavoro effettiva impegnata nella
produzione industriale.
Partendo
dall’Austria, si osserva una sostanziale stabilità nel numero di occupati a
tempo pieno, con un leggero incremento dai 614.536 del 2018 ai 637.848 del
2022, segnale di una struttura industriale solida e di una buona capacità di
assorbimento della manodopera anche nelle fasi di rallentamento. Il Belgio
mostra un andamento più irregolare: si passa da 413.188 unità nel 2018 a un
massimo di 421.867 nel 2019, seguito da una contrazione nel 2020 a 387.512, che
riflette l’impatto della crisi sanitaria. Negli anni successivi si registra una
graduale risalita, fino a 412.899 nel 2022, senza però raggiungere i livelli
pre-pandemici, a indicare una ripresa ancora incompleta.
In Estonia, la
variazione è contenuta, oscillando tra 104.983 e 108.577 unità, con una leggera
flessione nel 2020 seguita da una ripresa moderata. La Finlandia mostra un
andamento complessivamente stabile, ma con un lieve calo nel 2021 a 290.321
unità, probabilmente legato a fattori ciclici e a riduzioni temporanee di
attività in alcuni comparti, recuperato nel 2022 con 299.328 unità.
La Francia
presenta un quadro di crescita costante, passando da 2.730.254 unità nel 2018 a
2.883.016 nel 2022. L’aumento è significativo anche considerando la pandemia,
che non ha determinato una contrazione netta, ma al contrario un’espansione
della base occupazionale. Ciò suggerisce politiche industriali e di sostegno
all’occupazione efficaci, oltre a una forte resilienza del settore
manifatturiero nazionale. Anche la Germania, pur con numeri assoluti nettamente
superiori, evidenzia una dinamica simile: da 7.425.554 unità nel 2018 a
7.360.903 nel 2022, passando per una contrazione nel 2020 (7.218.244) e una
ripresa graduale nei due anni successivi. Questo andamento riflette la capacità
del sistema industriale tedesco di assorbire shock, sebbene la crescita
post-pandemia sia stata meno marcata rispetto ad altri Paesi.
In Grecia, la
traiettoria è più irregolare: da 296.767 unità nel 2018 si scende
progressivamente fino a 281.541 nel 2021, seguita da una brusca risalita a
312.376 nel 2022. Questo recupero potrebbe essere legato a programmi di
rilancio del settore, investimenti esteri o progetti infrastrutturali che hanno
generato nuova occupazione manifatturiera. L’Irlanda mostra un andamento
complessivamente positivo, con un incremento costante da 212.338 unità nel 2018
a 252.858 nel 2022, segnale di un’espansione industriale significativa,
probabilmente trainata dai settori ad alta tecnologia e da investimenti di multinazionali.
L’Italia
presenta una contrazione sensibile nel 2020, da 2.808.302 a 2.576.520 unità, in
linea con le restrizioni produttive imposte dalla pandemia, seguita da un
recupero vigoroso che porta il dato a 2.915.002 nel 2022, superando i livelli
pre-crisi. Questo risultato evidenzia la capacità di recupero del settore,
sostenuto sia dalla domanda interna sia da esportazioni robuste. In Lettonia e
Lituania, i valori restano su scala ridotta ma mostrano una resilienza
significativa, con cali modesti nel 2020 e recuperi completi entro il 2022. La
Lituania in particolare passa da 200.770 unità nel 2018 a 212.074 nel 2022,
segnando una crescita moderata ma costante.
Il Lussemburgo
registra oscillazioni contenute, con un calo nel 2020 a 32.451 unità e un ritorno
a 33.027 nel 2022, segno di un mercato del lavoro manifatturiero di piccola
scala ma stabile. I Paesi Bassi mantengono un livello elevato e stabile di
occupazione a tempo pieno, da 605.170 nel 2018 a 636.246 nel 2022, con
variazioni minime anche negli anni critici, a testimonianza di una forte tenuta
industriale. Il Portogallo, pur con una contrazione nel 2020 a 681.744 unità,
recupera gradualmente fino a 705.796 nel 2022, quasi in linea con i valori
pre-pandemia.
La Slovacchia
evidenzia un calo più marcato, da 449.111 nel 2018 a 417.590 nel 2020, con una
stabilizzazione nei due anni successivi intorno alle 419.000 unità, segnale di
un recupero ancora parziale. La Slovenia fornisce dati solo dal 2021, partendo
da 188.129 unità e salendo a 193.668 nel 2022, indicando una crescita recente.
La Spagna mostra un andamento di crescita moderata, da 1.839.977 unità nel 2018
a 1.953.258 nel 2022, con una flessione minima nel 2020 e una ripresa solida
nei due anni successivi.
Tra le economie
non OCSE, Cipro e Malta mostrano dimensioni contenute ma andamenti positivi.
Cipro passa da 32.042 unità nel 2018 a 35.533 nel 2022, con una crescita
costante. Malta, invece, presenta un lieve calo complessivo, da 21.180 unità
nel 2018 a 20.676 nel 2022, pur con oscillazioni intermedie.
Nel complesso, i
dati mettono in luce come la pandemia abbia colpito in modo differenziato i
Paesi europei, con alcuni che hanno subito contrazioni più marcate e altri che
hanno mantenuto una relativa stabilità o addirittura aumentato l’occupazione a
tempo pieno. I fattori determinanti sembrano essere stati la struttura
industriale, la capacità di adattamento delle imprese, il peso dei settori ad
alta tecnologia e la rapidità e l’efficacia delle misure di sostegno pubblico.
Paesi con una forte vocazione all’export e con filiere produttive flessibili,
come Germania, Francia, Italia e Paesi Bassi, hanno mostrato una buona
resilienza, mentre economie più piccole o meno diversificate hanno registrato
impatti più pronunciati e recuperi più lenti.
Fonte: OCSE
Commenti
Posta un commento