L’analisi dei dati relativi alle persone occupate
non retribuite nel settore manifatturiero nei Paesi europei tra il 2018 e il
2020 evidenzia una componente dell’occupazione spesso marginale nei dibattiti
economici, ma significativa per comprendere meglio la struttura produttiva e le
sue dinamiche sociali. La categoria degli occupati non retribuiti include in
genere titolari d’impresa, membri della famiglia che contribuiscono al lavoro
senza percepire un salario formale e, in alcuni contesti, forme di collaborazione
atipica. Questi dati, suddivisi per dimensione d’impresa, permettono di
cogliere il peso relativo di questa componente sia nelle piccole e medie
imprese (PMI) sia nelle grandi aziende. In Austria, i valori mostrano un
incremento moderato, passando da 21.372 nel 2018 a 23.411 nel 2020, con la
quasi totalità concentrata nelle PMI. Nelle grandi imprese austriache il
fenomeno è minimo, con meno di 400 persone ogni anno. Il caso belga presenta
numeri più elevati, soprattutto nel 2019 e 2020, con oltre 38.000 occupati non
retribuiti, di cui più del 99% nelle PMI. Questo conferma un tratto comune a
gran parte dei Paesi: l’occupazione non retribuita è tipica delle realtà
produttive minori, dove il legame familiare o proprietario è più stretto. In
Estonia, i dati sono nettamente inferiori, con un crollo significativo nel 2020
a poco più di 1.200 unità, rispetto a oltre 2.300 del 2018, segnalando una
riduzione del ricorso a questa forma di lavoro o una possibile formalizzazione
contrattuale. La Finlandia mostra valori costanti, poco sopra le 10.000 unità,
quasi tutte nelle PMI, con un leggero incremento nel 2020. In Francia il dato è
stabile ma elevato in termini assoluti, oltre 84.000 nel 2018 e quasi 97.000
nel 2020, interamente nelle PMI, segno che nelle grandi imprese manifatturiere
francesi il lavoro non retribuito è praticamente inesistente, probabilmente per
via della struttura societaria e delle norme sul lavoro. In Germania si
osservano valori molto alti, prossimi o superiori alle 190.000 unità, con una
quota non trascurabile, circa l’8-9 mila persone, nelle grandi aziende. Questo
rappresenta un’eccezione rispetto alla maggior parte degli altri Paesi, dove la
presenza nelle grandi imprese è minima o nulla. In Grecia il numero rimane
stabile intorno a 55-56 mila, quasi esclusivamente nelle PMI, mentre in Irlanda
i valori sono modesti, poco sopra le 7.000 unità, con oscillazioni contenute e
una piccola quota nelle grandi imprese solo nel 2019. L’Italia si distingue per
il dato più alto dell’intero campione: oltre 470.000 persone nel 2018, in calo
costante fino a 424.483 nel 2020. La concentrazione nelle PMI è quasi totale, a
testimonianza del peso della micro e piccola impresa familiare nel sistema
produttivo italiano. Nei Paesi baltici emergono situazioni differenti: la
Lettonia passa da oltre 5.400 unità nel 2018 a poco più di 4.300 nel 2020, con
un calo brusco nel 2019, mentre la Lituania registra un incremento, superando
le 11.000 unità nel 2020. In Lussemburgo i valori sono estremamente bassi,
inferiori alle 200 unità, senza significative variazioni. Nei Paesi Bassi il
dato si mantiene stabile intorno alle 45.000 unità, tutte nelle PMI, segno di
una certa persistenza strutturale di questa tipologia occupazionale. In
Portogallo si registrano circa 33.000 occupati non retribuiti, anch’essi quasi
totalmente nelle PMI, con leggere flessioni e rialzi. La Slovacchia presenta
valori molto elevati rispetto alla popolazione e alla dimensione del settore:
oltre 62.000 nel 2018 e circa 66.000 nel 2019, ma con un calo nel 2020, sempre
con una quota minima nelle grandi aziende. La Slovenia mostra una crescita
rilevante, passando da circa 12.000 a oltre 13.500 unità nel 2020, con un dato
anomalo: più di 1.100 persone nelle grandi imprese, un caso raro che
meriterebbe un’analisi qualitativa. In Spagna, i valori oscillano leggermente
intorno ai 105.000, con una distribuzione simile a quella greca, quasi
esclusivamente nelle PMI. Nei Paesi non OCSE considerati, Cipro presenta valori
molto bassi, sotto le 2.000 unità, stabili o in leggero calo, sempre totalmente
nelle PMI. Malta, infine, ha meno di 1.700 persone, anch’esse concentrate nelle
piccole realtà produttive. L’analisi congiunta dei dati conferma che
l’occupazione non retribuita nel manifatturiero europeo è prevalentemente un
fenomeno delle PMI, legato a modelli di impresa familiare o proprietaria, con
un’incidenza molto ridotta nelle grandi aziende. I casi più rilevanti in valore
assoluto sono Italia, Germania e Francia, ma con differenze strutturali: in
Italia la componente è enorme e in calo, in Germania è alta e relativamente
stabile con una quota non trascurabile nelle grandi aziende, in Francia è
consistente ma priva di presenza nei grandi gruppi. Alcuni Paesi mostrano
tendenze di riduzione, come Estonia, Lettonia e Italia, forse per processi di
formalizzazione o riorganizzazione aziendale, mentre altri, come Slovenia e
Lituania, evidenziano aumenti che possono derivare da un rafforzamento delle
imprese familiari o da contesti economici che spingono a ricorrere a lavoro
familiare non retribuito per contenere i costi. Sul piano macroeconomico, la
presenza di un’ampia quota di lavoro non retribuito nelle PMI può avere effetti
ambivalenti: da un lato garantisce flessibilità e resilienza, soprattutto in
periodi di crisi o in settori a margini ridotti, dall’altro solleva
interrogativi sulla sostenibilità sociale e previdenziale di tali modelli,
poiché questi lavoratori possono essere esclusi da contributi e tutele formali.
La concentrazione geografica del fenomeno in alcuni Paesi, come Italia,
Germania e Francia, suggerisce che il quadro normativo, le tradizioni
imprenditoriali e la struttura settoriale influiscono profondamente sulla
diffusione di questa pratica. In prospettiva, la digitalizzazione, i
cambiamenti nella normativa del lavoro e l’evoluzione demografica potrebbero
ridurre progressivamente l’uso di occupazione non retribuita, spingendo verso
contratti formali anche nelle microimprese. Tuttavia, in contesti dove il
legame familiare è un elemento identitario dell’impresa, questa tipologia di
lavoro potrebbe mantenere un ruolo rilevante, soprattutto in settori
manifatturieri tradizionali ad alta intensità di manodopera.
Fonte: OCSE
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