Produttività manifatturiera e dimensione d’impresa: un confronto internazionale tra il 2018 e il 2022
L’analisi della produttività del lavoro nel settore manifatturiero, suddivisa per classe dimensionale d’impresa e per paese nel periodo 2018-2022, offre una fotografia dettagliata delle dinamiche strutturali delle economie industriali, mettendo in evidenza le profonde differenze tra paesi e tra imprese di diversa dimensione. I dati, espressi in milioni di valuta nazionale, permettono un confronto relativo nel tempo e tra le diverse categorie dimensionali, distinguendo tra piccole e medie imprese (da 1 a 249 addetti) e grandi imprese (250 addetti o più).
Una delle prime
evidenze è la marcata e costante superiorità in termini di produttività del
lavoro da parte delle grandi imprese. Questa tendenza appare pressoché
universale nei paesi analizzati. In economie come l’Ungheria, l’Islanda e la
Corea del Sud, la differenza tra piccole e grandi imprese è significativa e
tende ad ampliarsi nel tempo. In Ungheria, ad esempio, la produttività delle
PMI passa da 6,5 a 9,9 milioni di unità di valuta nazionale tra il 2018 e il
2022, mentre quella delle grandi imprese cresce da 14,2 a 20,9 milioni. La distanza
crescente suggerisce che le grandi aziende non solo sono più produttive, ma
migliorano la loro efficienza più rapidamente delle piccole imprese,
probabilmente grazie a economie di scala, maggiore accesso al capitale e
capacità di adottare tecnologie avanzate.
Un caso simile è
l’Islanda, dove le grandi imprese aumentano la produttività da 16,1 a 30,1
milioni nello stesso periodo, mentre le PMI crescono da 9,7 a 14 milioni. Anche
qui, il divario è netto e crescente. Questi dati sottolineano la difficoltà strutturale
delle PMI ad eguagliare le performance delle grandi imprese, soprattutto in un
contesto di crescente complessità tecnologica e globalizzazione dei mercati.
La Corea del Sud
si distingue per livelli eccezionalmente alti di produttività nel settore
manifatturiero. Nel 2018, la produttività media delle imprese è di 196,3
milioni, con le PMI a 123,4 milioni e le grandi imprese a ben 393,7 milioni.
Anche se i dati per il 2021 e 2022 non sono disponibili, quelli fino al 2020
confermano l’estrema efficienza del settore industriale coreano, soprattutto
tra le grandi imprese. Questo risultato riflette probabilmente l’elevato grado
di innovazione tecnologica, l’automazione dei processi e il forte orientamento
all’export che caratterizzano l’economia coreana.
A confronto,
molti paesi dell’Europa occidentale presentano valori di produttività
nettamente più bassi e stabili nel tempo. Austria, Belgio, Francia, Germania e
Italia mostrano valori costanti pari a 0,1 milioni per quasi tutte le classi
dimensionali e gli anni. Questo potrebbe essere parzialmente attribuito alla
modalità di rilevazione in valuta nazionale, che potrebbe mascherare la
crescita reale se non corretta per inflazione o potere d’acquisto. Tuttavia, la
sostanziale stabilità dei valori suggerisce anche un settore manifatturiero
maturo ma poco dinamico, potenzialmente rallentato da vincoli normativi,
rigidità del mercato del lavoro o un’adozione tecnologica più lenta rispetto ai
paesi asiatici.
Differenze
altrettanto marcate emergono tra paesi con settori industriali tecnologicamente
avanzati e quelli con economie meno sviluppate. Estonia, Lettonia e Lituania,
ad esempio, riportano valori di produttività prossimi allo zero per tutti gli
anni e le dimensioni d’impresa. Questo potrebbe indicare una rilevanza
marginale del settore manifatturiero in termini di valore aggiunto, una
prevalenza di microimprese o un basso livello di innovazione e
digitalizzazione.
Diversa è la
situazione nella Repubblica Ceca, in Svezia e in Danimarca, dove i livelli di
produttività sono più equilibrati tra piccole e grandi imprese. Nella
Repubblica Ceca, ad esempio, le PMI aumentano da 0,6 a 0,7 milioni tra il 2018
e il 2022, mentre le grandi imprese passano da 1,1 a 1,3 milioni. Si tratta di
un miglioramento moderato ma costante, che riflette un settore industriale
solido e ben supportato. Anche in Danimarca e Svezia si nota una stabilità
nella distanza tra le due classi dimensionali, suggerendo che esistano
condizioni favorevoli affinché anche le PMI possano migliorare la loro
efficienza. In questi paesi, politiche industriali efficaci, un buon sistema di
formazione professionale e un forte legame tra imprese e innovazione
tecnologica contribuiscono probabilmente a contenere il divario.
La Turchia
presenta un’evoluzione interessante. Nel 2018, le PMI registrano una
produttività di 0,1 milioni, mentre le grandi imprese sono a 0,2 milioni. Nel
2022, le PMI raggiungono 0,3 milioni e le grandi imprese 0,8 milioni. Pur
rimanendo su livelli assoluti bassi rispetto ai paesi OCSE più avanzati, il
tasso di crescita è significativo e testimonia un processo di
industrializzazione in corso, supportato da politiche di promozione del settore
manifatturiero e da una giovane forza lavoro.
Tra i paesi non
OCSE, si distinguono la Serbia e la Macedonia del Nord, che mostrano un
miglioramento costante. La Serbia passa da una produttività nelle grandi
imprese di 2,3 milioni nel 2018 a 3,3 milioni nel 2022. Le PMI, nello stesso
periodo, aumentano da 1,4 a 1,9 milioni. Si tratta di segnali incoraggianti per
economie che stanno ancora rafforzando la loro base industriale e cercano di
colmare i divari infrastrutturali e tecnologici con l’Europa occidentale.
Al contrario, in
paesi come Portogallo, Grecia e Spagna, i livelli di produttività restano bassi
e con poca variazione. Il Portogallo, ad esempio, mostra solo un lieve
incremento dal 2021, probabilmente legato alla ripresa post-pandemica o a
politiche di digitalizzazione. Tuttavia, resta evidente una difficoltà
strutturale ad aumentare l’efficienza produttiva, in parte dovuta a una scarsa
specializzazione industriale, ridotti investimenti in ricerca e sviluppo e
difficoltà di accesso al credito da parte delle PMI.
Un caso anomalo
è rappresentato dall’Irlanda, dove i dati per le PMI sono spesso mancanti o
molto bassi, mentre le grandi imprese raggiungono una produttività di 1,1
milioni nel 2022. Questo può essere spiegato dalla struttura economica del
paese, fortemente dominata da multinazionali nei settori farmaceutico e
tecnologico, con un contributo relativamente marginale delle piccole imprese
alla produzione industriale.
Alcuni paesi,
come il Giappone, il Regno Unito e Israele, presentano dati parziali o mancanti
per diversi anni. Questa discontinuità limita la possibilità di effettuare
confronti affidabili e suggerisce differenze nei metodi di raccolta statistica,
ritardi nei report nazionali o restrizioni legate alla riservatezza dei dati.
Da un punto di
vista politico ed economico, queste evidenze suggeriscono diverse implicazioni.
La persistente superiorità delle grandi imprese evidenzia l’importanza delle
economie di scala e dell’accesso alle tecnologie. Tuttavia, considerando che le
PMI rappresentano la maggior parte del tessuto produttivo in termini
occupazionali, diventa cruciale rafforzare i percorsi di crescita per queste
imprese, supportandole nell’adozione del digitale, nell’internazionalizzazione
e nell’accesso al credito. I dati dimostrano anche che le politiche industriali
orientate all’innovazione, come in Corea e Ungheria, possono generare
miglioramenti tangibili nella produttività.
In diversi
paesi, la debolezza produttiva delle PMI è una sfida strutturale che richiede
interventi coordinati a livello di politiche pubbliche, infrastrutture,
formazione e incentivi fiscali. È essenziale promuovere un’industria più
inclusiva e competitiva, capace di valorizzare il contributo delle imprese di
ogni dimensione.
In conclusione,
i dati sulla produttività nel settore manifatturiero tra il 2018 e il 2022
rivelano uno scenario fortemente disomogeneo. Le grandi imprese mantengono un
vantaggio costante e in crescita in quasi tutti i paesi, mentre le PMI, pur
mostrando in alcuni casi segnali positivi, restano spesso distanziate. La
sfida, per i prossimi anni, sarà quella di rafforzare l’efficienza delle
piccole imprese, ridurre i divari tra paesi e dimensioni aziendali, e
promuovere modelli industriali più resilienti, innovativi e inclusivi. Solo
così sarà possibile sostenere una crescita duratura e competitiva nell’economia
globale.
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