I dati relativi agli investimenti netti in beni tangibili nel settore manifatturiero per il triennio 2018-2020 offrono un quadro dettagliato delle dinamiche di accumulazione e rinnovamento del capitale fisico nei diversi Paesi europei, con indicazioni rilevanti anche per alcune economie non OCSE. Le cifre mostrano come le scelte di investimento in macchinari, impianti, edifici e altre infrastrutture produttive siano state influenzate non solo dalla normale ciclicità economica, ma anche da fattori straordinari come l’inizio della pandemia da COVID-19, che ha inciso pesantemente sul 2020. Nel complesso, si osservano tre modelli distinti: economie con crescita costante o quasi, economie caratterizzate da un picco nel 2019 seguito da una contrazione, ed economie con andamenti molto irregolari o fortemente negativi.
Tra
i Paesi con valori assoluti più elevati spiccano Germania, Francia, Spagna,
Italia e Paesi Bassi. La Germania, leader indiscusso per dimensione degli
investimenti netti in beni tangibili, passa da 73.723,4 milioni di unità di
valuta nazionale nel 2018 a 74.672,6 milioni nel 2019, per poi scendere a
64.885,7 milioni nel 2020. Il calo dell’ultimo anno è rilevante in termini
assoluti, ma non compromette il ruolo centrale dell’industria manifatturiera tedesca,
che mantiene un volume di investimenti largamente superiore a quello di
qualsiasi altro Paese. Questa riduzione è probabilmente imputabile alla
contrazione dell’attività industriale durante i lockdown, alle incertezze di
mercato e al rinvio di progetti di espansione o ammodernamento.
La
Francia si colloca stabilmente al secondo posto, con un incremento da 16.023
milioni nel 2018 a 19.294,2 milioni nel 2019, seguito da una flessione a
16.873,8 milioni nel 2020. L’andamento suggerisce un 2019 particolarmente
favorevole per la spesa in capitale fisico, probabilmente sostenuto da
politiche industriali e incentivi, ma anche una certa vulnerabilità agli shock
esterni, come dimostra la contrazione dell’anno successivo. La Spagna mostra un
comportamento simile, passando da 19.116,4 milioni nel 2018 a 19.806,5 milioni
nel 2019, per poi scendere a 18.130,2 milioni nel 2020. Il calo è contenuto,
segno che una parte dell’industria spagnola ha mantenuto capacità di
investimento anche in un contesto difficile.
L’Italia
presenta una dinamica molto più irregolare. Nel 2018 il valore degli
investimenti netti è di 6.965,3 milioni, ma nel 2019 quasi raddoppia,
raggiungendo 12.089,3 milioni, per poi crollare a soli 4.124,4 milioni nel
2020. Questa flessione del 2020 è tra le più drammatiche del campione e
riflette l’impatto pesante della crisi sanitaria su un sistema produttivo
composto in larga parte da piccole e medie imprese, spesso meno resilienti nei
momenti di forte contrazione della domanda e con minore accesso a capitali per
investimenti in condizioni di incertezza.
I
Paesi Bassi registrano un andamento più regolare ma comunque condizionato dalla
crisi. Si parte da 10.141,2 milioni nel 2018, si sale a 11.096,9 milioni nel
2019 e si scende a 8.853,2 milioni nel 2020. Il calo non è marginale, ma i
valori restano elevati, segnalando una capacità strutturale di investimento
importante per un’economia di dimensioni relativamente contenute.
Il
Belgio mostra invece un’impennata notevole tra 2018 e 2019, passando da 3.337,8
milioni a 10.203,5 milioni, per poi ridursi leggermente a 9.480,9 milioni nel
2020. La crescita tra i primi due anni appare eccezionale e potrebbe essere
spiegata da progetti straordinari o da una concentrazione temporale di
investimenti da parte di grandi gruppi manifatturieri. La flessione nel 2020
non annulla il salto di scala raggiunto rispetto al 2018.
Altri
Paesi con andamenti interessanti sono Finlandia e Portogallo. La Finlandia
passa da 3.174,8 milioni nel 2018 a 3.221,8 nel 2019 e poi a 2.883 milioni nel
2020, una riduzione moderata che indica un buon livello di stabilità e
resilienza. Il Portogallo registra invece una discesa continua, da 4.828,7
milioni nel 2018 a 4.430,1 milioni nel 2019 e a 3.833,1 milioni nel 2020,
segnalando una fase di ridimensionamento della spesa in beni tangibili, forse
legata alla ristrutturazione di alcuni comparti industriali o a minore attrattività
di nuovi investimenti.
Nel
gruppo dei Paesi dell’Europa centrale e orientale si osservano dinamiche
eterogenee. L’Estonia, pur su valori assoluti molto bassi, presenta una
flessione graduale da 618,3 milioni nel 2018 a 507,9 milioni nel 2020, segno di
una contrazione costante. La Lituania mantiene una notevole stabilità, passando
da 1.085 milioni nel 2018 a 1.101,2 milioni nel 2020. La Lettonia cresce
costantemente, da 415,1 milioni a 611,8 milioni, mostrando un trend positivo
unico nel campione per regolarità e direzione. La Slovacchia e la Slovenia,
invece, evidenziano una riduzione: la Slovacchia passa da 3.986,4 milioni a
2.940,9 milioni e la Slovenia da 1.824 milioni a 1.499,9 milioni, con contrazioni
più marcate nel 2020.
La
Grecia è un caso interessante perché registra una lieve flessione tra 2018 e
2019, da 1.388 milioni a 1.244,4 milioni, ma un incremento a 1.495,5 milioni
nel 2020, in controtendenza rispetto alla maggioranza dei Paesi. Questo dato
potrebbe essere il risultato di investimenti legati a programmi di
ammodernamento o fondi europei, che hanno compensato le difficoltà
congiunturali.
Alcuni
Paesi presentano anomalie evidenti. L’Irlanda, per esempio, registra valori
positivi nel 2018 e 2019, rispettivamente 1.243,6 milioni e 1.523,5 milioni, ma
un dato fortemente negativo nel 2020 pari a -880,7 milioni. Un valore negativo
in questo contesto indica una dismissione netta di capitale tangibile,
probabilmente dovuta alla chiusura o alla riduzione di capacità produttive da
parte di alcune multinazionali, fenomeno che in un’economia fortemente
dipendente da investitori esteri può generare oscillazioni molto ampie.
Nei
Paesi più piccoli come Lussemburgo e Malta si riscontrano variazioni importanti
in termini relativi. Il Lussemburgo cresce da 522,2 milioni a 730,1 milioni nel
2019, per poi scendere a 451,6 milioni nel 2020, un calo significativo per
un’economia di ridotte dimensioni. Malta mostra valori molto bassi e
altalenanti: 239,6 milioni nel 2018, zero nel 2019 e 147,2 milioni nel 2020,
con dati che suggeriscono una forte irregolarità degli investimenti
industriali.
Nel
complesso, l’analisi di questi dati evidenzia che il 2019 è stato per molti
Paesi il picco del triennio, mentre il 2020 ha registrato quasi ovunque un
calo, in parte dovuto alla pandemia e alle sue conseguenze economiche.
Tuttavia, il grado di contrazione varia sensibilmente: alcuni Paesi hanno
contenuto la riduzione a pochi punti percentuali, altri hanno subito cali
drastici o addirittura disinvestimenti netti. Le economie più grandi, come
Germania e Francia, hanno mantenuto volumi di investimento molto alti
nonostante la crisi, a conferma della robustezza del loro apparato produttivo e
della capacità di sostenere piani di sviluppo anche in fasi congiunturali
sfavorevoli. Al contrario, Paesi con strutture industriali più fragili o molto
dipendenti da pochi attori internazionali hanno visto fluttuazioni più ampie e,
in alcuni casi, interruzioni nette degli investimenti.
Questi
dati indicano inoltre che la capacità di mantenere un livello stabile di
investimenti in beni tangibili è strettamente legata sia alla dimensione del
mercato interno sia alla presenza di politiche di sostegno all’industria. Dove
il tessuto produttivo è frammentato e composto da piccole imprese, la crisi del
2020 ha comportato riduzioni molto più pronunciate, come nel caso dell’Italia,
mentre dove prevalgono grandi gruppi internazionali o nazionali, il calo è
stato più contenuto. Infine, emerge un aspetto strutturale: l’andamento degli
investimenti in beni tangibili non dipende solo dalla congiuntura economica, ma
anche dalla disponibilità di capitale, dalla fiducia nelle prospettive future e
dall’accesso a finanziamenti pubblici e privati, elementi che continueranno a
essere decisivi per la competitività industriale nei prossimi anni.
Investimento netto in beni materiali. L'investimento netto in beni materiali riflette la differenza tra l'investimento lordo in beni materiali (GITG) e le vendite (SFCF) di beni di investimento materiali.
Fonte:
OCSE
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