La bilancia dei
pagamenti, e in particolare il conto corrente, rappresenta uno degli strumenti
più rilevanti per comprendere la posizione esterna di un paese. Il saldo di
questo conto mette in relazione le entrate e le uscite derivanti da beni,
servizi, redditi e trasferimenti, e quando è positivo segnala un avanzo, cioè
un risparmio netto verso l’estero, mentre quando è negativo indica un disavanzo
e quindi una dipendenza dal finanziamento esterno. Osservando i dati relativi
al periodo compreso tra il 2020 e il 2024, emerge chiaramente come eventi
globali di grande impatto, dalla pandemia alle interruzioni nelle catene di
approvvigionamento fino alla crisi energetica seguita alla guerra in Ucraina,
abbiano influenzato i saldi dei diversi paesi. L’utilizzo di un parametro
normalizzato, espresso come percentuale del prodotto interno lordo, consente di
confrontare economie molto diverse per dimensioni, mettendo sullo stesso piano
giganti come Stati Uniti e Germania e paesi più piccoli come Estonia,
Lussemburgo o Islanda.
Nel complesso si
possono notare alcune tendenze generali che caratterizzano la traiettoria degli
anni osservati. I paesi tradizionalmente in avanzo, come Germania, Paesi Bassi,
Danimarca, Svezia, Norvegia, Svizzera, Corea e Giappone, hanno mantenuto saldi
positivi anche durante le fasi più turbolente, dimostrando la resilienza delle
loro economie aperte e orientate all’export. Tuttavia, le oscillazioni non sono
mancate: la Germania, ad esempio, ha visto diminuire il proprio surplus nel
2022, per poi recuperare rapidamente, mentre la Norvegia ha beneficiato in modo
straordinario dei rincari energetici tra 2021 e 2022, registrando valori record
difficilmente replicabili in condizioni normali.
Diversa è la
situazione per i paesi mediterranei e latinoamericani, dove la tradizione di
disavanzo strutturale continua a manifestarsi. Grecia, Spagna, Italia,
Portogallo, Cile, Colombia, Costa Rica e in parte anche Messico hanno mostrato
difficoltà costanti nel mantenere in equilibrio il proprio conto corrente,
spesso a causa della dipendenza dalle importazioni energetiche o della
debolezza del settore manifatturiero rispetto alla domanda interna. In Grecia
il disavanzo ha raggiunto livelli molto marcati nel 2022, mentre in Italia si è
osservata una flessione seguita da un recupero parziale. Alcuni segnali di
miglioramento emergono negli ultimi anni, specialmente per Spagna e Portogallo,
che sono riusciti a trasformare il saldo in avanzo nel 2023 e nel 2024,
beneficiando della ripresa del turismo e di una maggiore diversificazione
produttiva.
Un altro
elemento che caratterizza il periodo è l’effetto dell’energia. Paesi
esportatori netti di materie prime come la Norvegia hanno conosciuto avanzi
eccezionali grazie al forte rialzo dei prezzi internazionali del petrolio e del
gas, mentre gli importatori hanno sofferto un peggioramento temporaneo dei loro
conti. Questo spiega perché economie industriali avanzate ma prive di risorse,
come Italia, Corea o Giappone, abbiano registrato saldi più bassi nel 2022, per
poi migliorare man mano che l’equilibrio dei mercati energetici si è
stabilizzato.
Un discorso a
parte meritano i piccoli Stati o le economie molto aperte, per le quali la
volatilità è maggiore. Lussemburgo, Irlanda, Islanda ed Estonia presentano
variazioni consistenti di anno in anno, legate al peso sproporzionato di alcuni
settori. L’Irlanda, ad esempio, ha visto un impressionante balzo in avanti del
saldo nel 2021, dovuto in gran parte alle attività delle multinazionali nel
settore tecnologico e farmaceutico, con valori che restano ampiamente positivi
negli anni successivi. Lussemburgo mostra un andamento simile, con avanzi
robusti che riflettono la centralità del sistema finanziario. Al contrario,
Islanda ed Estonia, molto dipendenti dal turismo e dal commercio regionale,
hanno incontrato difficoltà più marcate soprattutto nel periodo immediatamente
successivo alla pandemia.
Infine,
guardando alle grandi economie anglosassoni, emerge un quadro tendenzialmente
negativo. Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia hanno mantenuto quasi
sempre un disavanzo del conto corrente, in alcuni casi leggero, in altri più
marcato. Gli Stati Uniti, ad esempio, oscillano tra valori intorno al -3 e al
-4 per cento del PIL, un livello che riflette la forte propensione
all’importazione di beni e il ruolo del dollaro come valuta di riserva
mondiale, che rende sostenibile un deficit cronico. Il Regno Unito ha mostrato
un peggioramento nel 2023, mentre il Canada mantiene un disavanzo contenuto e
relativamente stabile. L’Australia, dopo un avanzo consistente nel biennio
2020-2021, è tornata in territorio negativo negli anni successivi, in parte per
l’andamento della domanda asiatica di materie prime e per i cicli dei prezzi
delle commodities.
In sintesi, il
periodo 2020-2024 mette in luce la forte influenza dei fattori globali sul
conto corrente dei vari paesi, ma conferma anche alcune caratteristiche
strutturali di lungo periodo. Le economie esportatrici nette del Nord Europa,
dell’Asia orientale e della Svizzera continuano a consolidare la loro
posizione, mentre quelle più deboli, in particolare nell’area mediterranea e
latinoamericana, faticano a ridurre i disavanzi. I piccoli Stati restano molto
volatili a causa della specializzazione settoriale, mentre le grandi economie
anglosassoni confermano la loro tendenza a vivere con un deficit strutturale,
sostenuto dall’attrattiva dei loro mercati finanziari. L’evoluzione dei
prossimi anni dipenderà dall’andamento del commercio internazionale, dalla
transizione energetica e dalle politiche fiscali e industriali adottate a
livello nazionale, ma i dati disponibili mostrano già chiaramente come i conti
con l’estero siano un riflesso diretto delle trasformazioni economiche e geopolitiche
globali.
Fonte: OCSE
Commenti
Posta un commento