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Evoluzione globale dell’accesso a combustibili e tecnologie pulite per cucinare (2015-2022)

 

 

L’accesso a combustibili e tecnologie pulite per cucinare rappresenta uno degli indicatori più significativi per valutare il livello di sviluppo umano e di sostenibilità di un Paese. L’analisi dei dati compresi tra il 2015 e il 2022 mostra un quadro estremamente eterogeneo: esistono nazioni in cui la popolazione ha già da tempo raggiunto il 100 per cento di copertura, mentre altre continuano a rimanere molto indietro con percentuali di accesso inferiori al 10 per cento. Questa disuguaglianza riflette le differenze nei livelli di reddito, nelle politiche energetiche, nelle infrastrutture e nella stabilità politica.

Nel mondo ad alto reddito, il problema dell’accesso non si pone quasi per nulla. Paesi come quelli dell’Unione Europea, il Nord America, l’Australia, il Giappone e gran parte delle economie sviluppate presentano un accesso totale o quasi totale alle tecnologie pulite per cucinare. Questo risultato è il frutto di decenni di infrastrutturazione energetica, di mercati maturi dei combustibili moderni e di normative ambientali e sanitarie che hanno favorito la diffusione di soluzioni sicure. Anche in regioni del Medio Oriente ricche di risorse energetiche, come Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, i dati si attestano stabilmente sul 100 per cento. Ciò conferma che, in contesti di abbondanza di risorse e forti capacità economiche, l’accesso universale è sostenibile e garantito.

Diverso è lo scenario nei Paesi a reddito medio. In America Latina e nei Caraibi si osserva una tendenza positiva, con percentuali che oscillano tra l’85 e il 95 per cento e che migliorano gradualmente. Paesi come Brasile, Colombia, Perù ed Ecuador mostrano progressi costanti, mentre in nazioni insulari caraibiche come Giamaica o Grenada emerge invece un leggero calo, probabilmente legato a difficoltà economiche, crisi energetiche locali o dipendenza da importazioni di combustibili. In Asia emergono casi di grande interesse: la Cina è passata da un accesso del 71,5 per cento nel 2015 a quasi l’88 per cento nel 2022, segnando un progresso rapidissimo che riflette investimenti in infrastrutture energetiche moderne e politiche mirate alla riduzione dell’uso del carbone nelle famiglie rurali. L’India mostra un percorso simile, con un salto dal 47 al 74,5 per cento nello stesso periodo, risultato delle politiche pubbliche come il programma Pradhan Mantri Ujjwala Yojana che ha promosso la distribuzione di bombole GPL alle famiglie rurali. Anche il Vietnam si distingue per una crescita spettacolare, passando dal 78 per cento al 98,1 per cento in otto anni.

In altri Paesi a medio reddito, invece, il trend è opposto. L’Iran, ad esempio, è passato dal 97,1 per cento al 95,8 per cento, segnalando una regressione probabilmente legata a sanzioni economiche, instabilità del settore energetico e difficoltà di mantenere la rete di approvvigionamento. Anche la Siria mostra un declino netto, passando dal 96,3 al 90,5 per cento, un calo imputabile alla guerra e al collasso delle infrastrutture. Situazioni simili si osservano in Yemen, che dal 57,4 per cento nel 2015 scende al 48,3 nel 2022, confermando come i conflitti e le crisi politiche abbiano un impatto devastante sull’accesso a servizi essenziali.

Il quadro più problematico rimane però quello dell’Africa subsahariana. Qui la media regionale rimane estremamente bassa: dal 14,7 per cento nel 2015 si arriva appena al 22,2 per cento nel 2022. La crescita c’è, ma è lenta e insufficiente a colmare il divario con il resto del mondo. In Paesi come Burundi, Liberia, Malawi, Madagascar, Sierra Leone o Uganda l’accesso rimane sotto l’1 per cento o addirittura peggiora, segnalando una stagnazione strutturale. In altri, come Nigeria, Tanzania, Etiopia, Kenya e Ghana, si registra invece un miglioramento significativo, con percentuali che raddoppiano o triplicano, pur restando ancora ben al di sotto del 40 per cento. Questo testimonia che gli sforzi per diffondere il gas da cucina o le soluzioni di biocombustibili moderni stanno iniziando a dare risultati, ma la sfida infrastrutturale ed economica è enorme.

Un aspetto interessante emerge osservando i piccoli Stati insulari e le economie più fragili. In molte isole del Pacifico, come Fiji, Samoa o Vanuatu, i livelli di accesso restano bassi o addirittura in calo, a dimostrazione della vulnerabilità di questi Paesi, spesso dipendenti dalle importazioni di combustibili e con popolazioni distribuite in aree remote difficili da servire. Allo stesso tempo, alcuni piccoli Stati caraibici o oceanici come Antigua e Barbuda, Nauru o Trinidad e Tobago registrano un accesso del 100 per cento, riflettendo differenze legate a reddito pro capite, capacità istituzionale e accesso a risorse energetiche.

Guardando agli aggregati regionali e di reddito, emerge un chiaro gradiente. I Paesi ad alto reddito sono stabili sul 100 per cento, quelli a reddito medio-alto sono ormai prossimi all’universalità con valori che nel 2022 superano l’89 per cento, quelli a reddito medio-basso hanno compiuto progressi notevoli passando dal 42 al 60 per cento circa, mentre i Paesi a basso reddito rimangono fanalino di coda con poco più del 18 per cento. A livello globale, si osserva un progresso significativo: dal 63,7 per cento del 2015 si arriva al 73,7 per cento nel 2022. In sette anni circa 10 punti percentuali in più della popolazione mondiale hanno avuto accesso a combustibili e tecnologie pulite, un risultato che testimonia gli sforzi di governi, organizzazioni internazionali e settore privato, ma che non è ancora sufficiente per garantire il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile che punta a un accesso universale entro il 2030.

La crescita più rapida si osserva nei Paesi asiatici emergenti, dove politiche pubbliche, incentivi e industrializzazione hanno accelerato la transizione. In Africa invece il ritmo è troppo lento rispetto all’incremento demografico: la popolazione cresce a un tasso superiore alla diffusione di combustibili puliti, con il risultato che in termini assoluti il numero di persone senza accesso rimane molto alto. Un ulteriore elemento da sottolineare è che la pandemia di Covid-19, nonostante abbia colpito l’economia globale, non sembra avere invertito drasticamente i trend, anche se in alcuni Paesi più fragili ha rallentato i progressi o addirittura generato regressi, come in Iran, Siria, Yemen e in diverse isole.

In conclusione, i dati mostrano un mondo diviso in due. Da una parte vi sono Paesi e regioni che hanno già risolto il problema dell’accesso a combustibili e tecnologie pulite per cucinare, vivendo ormai una realtà consolidata di universalità. Dall’altra vi sono aree del pianeta, in particolare l’Africa subsahariana e alcuni Stati fragili o in conflitto, dove cucinare rimane un’attività pericolosa per la salute e per l’ambiente, svolta con mezzi rudimentali e altamente inquinanti. Il progresso a livello globale è evidente e incoraggiante, ma le profonde disuguaglianze regionali richiedono interventi mirati, investimenti infrastrutturali, cooperazione internazionale e politiche pubbliche innovative per garantire che il diritto a cucinare in sicurezza non sia un privilegio di pochi ma una realtà universale. Solo in questo modo si potrà pensare di centrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 e migliorare in maniera sostanziale la qualità della vita di miliardi di persone.

 

 

Fonte: World Bank

Link: https://databank.worldbank.org/source/world-development-indicators#

 


 

 

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