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Crisi del finanziamento alle associazioni italiane: riduzione media del –40 % tra il 2005 e il 2023



 

·         I finanziamenti alle associazioni italiane sono diminuiti mediamente del 40% tra il 2005 e il 2023.

·         Tutte le regioni, senza eccezioni, registrano un calo, con punte oltre il 50% nel Nord.

·         La contrazione dei fondi mette a rischio la sostenibilità del Terzo Settore e la coesione sociale.

 

 

Il quadro che emerge dall’analisi dei dati relativi al finanziamento delle associazioni totali tra il 2005 e il 2023 mostra una tendenza generalizzata alla riduzione dei fondi destinati alle realtà associative nelle diverse regioni italiane. Sebbene l’intensità del calo vari da regione a regione, il trend discendente appare costante e diffuso, segnalando una crisi strutturale nel sostegno economico al settore associativo, probabilmente dovuta a una combinazione di fattori economici, istituzionali e sociali. I valori assoluti e percentuali riportati nella colonna finale evidenziano in maniera inequivocabile come nessuna regione abbia registrato un aumento nel lungo periodo: tutte mostrano variazioni negative, in alcuni casi molto significative, che arrivano a sfiorare o superare il 45% di riduzione rispetto ai valori iniziali del 2005.

Le regioni del Nord, tradizionalmente più ricche e caratterizzate da un tessuto associativo più esteso e articolato, partono da livelli medi di finanziamento decisamente più alti rispetto al Mezzogiorno. Tuttavia, anche in queste aree si osserva un progressivo ridimensionamento delle risorse. Il caso più emblematico è quello del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che nel 2005 registrava il valore più elevato in Italia, pari a 38,3, ma che nel 2023 scende a 21, con una riduzione assoluta di 17,3 punti e una variazione percentuale pari a –45,16%. Questo dato riflette non solo un ridimensionamento in termini monetari, ma anche una contrazione nella capacità di sostenere l’associazionismo locale, nonostante la regione mantenga un livello di finanziamento superiore alla media nazionale. Analogamente, il Veneto passa da 24,6 a 12,2, con un calo del 50,4%, che rappresenta la riduzione più marcata in termini percentuali tra tutte le regioni italiane. Anche Lombardia ed Emilia-Romagna, due tra i principali motori economici del Paese, evidenziano una flessione importante: la Lombardia scende da 25 a 14,6, perdendo il 41,6%, mentre l’Emilia-Romagna passa da 26,2 a 14,9, segnando un –43,13%. Questi dati suggeriscono che la contrazione del finanziamento non dipende esclusivamente dalla ricchezza regionale, ma è piuttosto il risultato di un fenomeno sistemico che interessa l’intero territorio nazionale, forse legato alla riduzione dei fondi pubblici, al mutato quadro normativo e all’evoluzione del rapporto tra Stato e Terzo Settore.

Nel Nord-Est, Friuli-Venezia Giulia e Veneto confermano questa tendenza, pur partendo da valori mediamente alti. Il Friuli passa da 21,6 a 14,3, con una riduzione del 33,8%, meno accentuata rispetto ad altre regioni ma comunque significativa. Si può ipotizzare che in queste regioni la rete associativa abbia beneficiato di una maggiore capacità di autofinanziamento o di una più solida base di volontariato, che ha in parte mitigato la flessione dei contributi pubblici. Tuttavia, anche qui l’effetto complessivo resta negativo, segnalando che il sistema di finanziamento è entrato in una fase di contrazione strutturale.

Le regioni del Centro Italia mostrano un andamento simile, con alcune peculiarità. Toscana, Marche e Umbria presentano riduzioni intorno al 35–40%, con un andamento oscillante nel corso degli anni. La Toscana, ad esempio, passa da 24,9 nel 2005 a 14,9 nel 2023, perdendo dieci punti assoluti, pari a un calo del 40,16%. Dopo un picco nel 2010, con 26,5, in corrispondenza probabilmente di interventi straordinari o politiche di sostegno temporanee, si osserva un declino progressivo che si stabilizza negli anni più recenti su valori inferiori a 16. L’Umbria segue un percorso analogo, passando da 19,2 a 11,9, con un calo del 38%, mentre le Marche scendono da 19,6 a 12,9, con una riduzione del 34%. Anche qui la parabola discendente rispecchia probabilmente una minore capacità di attrarre risorse pubbliche, ma anche una progressiva contrazione delle basi associative in seguito alla crisi economica del 2008 e alla riduzione delle politiche di welfare locale.

Il Lazio, nonostante la presenza della capitale e quindi un tessuto associativo particolarmente esteso e variegato, mostra una delle riduzioni più consistenti in termini relativi: da 14,6 a 9,6, con un –34,24%. I valori assoluti sono inferiori rispetto a molte regioni del Nord, il che evidenzia come la concentrazione di organizzazioni non si traduca necessariamente in un maggiore sostegno economico. L’andamento irregolare nel periodo, con fasi di leggera ripresa e successive flessioni, suggerisce che i finanziamenti siano stati influenzati da dinamiche politiche e amministrative legate ai cicli di bilancio e ai cambiamenti di priorità nelle politiche pubbliche.

Il Mezzogiorno, partendo da valori mediamente più bassi, conferma una situazione di maggiore fragilità e di progressivo impoverimento del tessuto associativo. In Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, i valori iniziali oscillano tra 6 e 15, con cali che, pur partendo da basi più ridotte, risultano comunque percentualmente rilevanti. La Campania, ad esempio, passa da 9,1 a 5,4, perdendo il 40,6%, mentre la Calabria scende da 11,5 a 6,5, segnando un calo del 43,47%. In Sicilia, il finanziamento si riduce da 6,7 a 4,5, pari a una contrazione del 32,83%, e la Sardegna, pur partendo da valori più elevati (18,6), scende a 10,8, perdendo il 41,93%. Questi dati evidenziano la persistente difficoltà delle regioni meridionali nel consolidare un sistema associativo stabile e sostenibile, probabilmente penalizzato da una minore capacità amministrativa, da risorse pubbliche limitate e da una rete di finanziamento spesso frammentata e discontinua. Le oscillazioni annuali, in particolare nei periodi di crisi economica o di transizione politica, hanno contribuito a rendere i finanziamenti più instabili e imprevedibili.

Nel caso della Basilicata, la dinamica è leggermente più favorevole rispetto ad altre regioni del Sud, con una riduzione percentuale del 35%, che rappresenta comunque una perdita significativa. Questo andamento più contenuto può essere interpretato come il risultato di una politica regionale più mirata o di una minore esposizione ai tagli dei trasferimenti nazionali. Tuttavia, resta evidente che anche in queste regioni la capacità di garantire continuità ai finanziamenti è andata progressivamente diminuendo, generando ripercussioni dirette sulla sostenibilità delle associazioni locali.

Alcuni casi specifici meritano particolare attenzione. Il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, pur rimanendo ai vertici nazionali per livello di finanziamento, sono anche tra le regioni che hanno subito i cali più consistenti. La Valle d’Aosta passa infatti da 22,9 a 13,5, perdendo il 41% del valore iniziale, un dato che, se confrontato con la sua dimensione territoriale e demografica, indica un ridimensionamento significativo dell’impegno finanziario. Queste due regioni, che beneficiano di una particolare autonomia e di risorse proprie più elevate rispetto alla media nazionale, mostrano che la tendenza al calo dei finanziamenti è trasversale e non limitata alle aree meno sviluppate. Si tratta quindi di una trasformazione sistemica del modello di sostegno pubblico all’associazionismo.

La Liguria, con un calo del 23,9%, rappresenta un’eccezione relativa, essendo una delle poche regioni con una riduzione inferiore al 25%. Ciò suggerisce una certa stabilità, anche se i valori assoluti restano comunque in diminuzione. La Puglia mostra un andamento simile, con un calo del 25,24%, che pur rimanendo significativo, risulta inferiore alla media nazionale. Questo potrebbe essere il risultato di politiche regionali più orientate alla valorizzazione del terzo settore, oppure di un miglior equilibrio tra risorse pubbliche e private.

Considerando l’andamento complessivo, è possibile individuare tre fasi principali nel periodo analizzato. La prima, compresa tra il 2005 e il 2010, è caratterizzata da un livello di finanziamento generalmente stabile o in leggera crescita, probabilmente sostenuto da programmi europei e nazionali volti alla promozione della cittadinanza attiva e del volontariato. La seconda fase, che si estende dal 2011 al 2016, coincide con un progressivo ridimensionamento delle risorse, in parallelo con la crisi economico-finanziaria e con le politiche di austerità introdotte in Italia e in Europa. La terza fase, dal 2017 al 2023, mostra una stagnazione su livelli più bassi, con una lieve ripresa in alcuni anni, ma senza un recupero stabile. Gli effetti della pandemia di COVID-19, a partire dal 2020, non sembrano aver determinato un aumento strutturale dei finanziamenti, anzi, in molti casi, i valori restano inferiori rispetto al periodo pre-pandemico, segno che gli interventi emergenziali non si sono tradotti in un rafforzamento duraturo delle associazioni.

La variazione percentuale media a livello nazionale si colloca intorno al –40%, con punte superiori al 50% nelle regioni settentrionali e valori più contenuti, ma comunque negativi, nel Sud. Tale dato conferma che, nonostante le differenze territoriali, il sistema di finanziamento delle associazioni italiane ha subito un ridimensionamento profondo e diffuso. Questo fenomeno può avere conseguenze rilevanti sul piano sociale, poiché il mondo associativo svolge un ruolo cruciale nella coesione comunitaria, nella promozione culturale e nell’assistenza ai soggetti più fragili. La riduzione delle risorse, quindi, non riguarda solo la sopravvivenza delle organizzazioni, ma incide direttamente sulla capacità delle comunità locali di offrire servizi, partecipazione e solidarietà.

In conclusione, i dati esaminati delineano un quadro di progressivo impoverimento del finanziamento alle associazioni italiane nel corso di quasi due decenni. Tale tendenza, trasversale e strutturale, riflette probabilmente un mutamento nel ruolo attribuito all’associazionismo nel contesto delle politiche pubbliche, con un progressivo spostamento del peso verso il volontariato non finanziato o verso forme di partenariato pubblico-privato meno legate ai contributi diretti. L’analisi suggerisce l’urgenza di una riflessione politica e istituzionale volta a ridefinire i meccanismi di sostegno, promuovendo una maggiore stabilità e prevedibilità dei finanziamenti, per evitare che la riduzione delle risorse si traduca in un indebolimento irreversibile del tessuto associativo e, di conseguenza, della partecipazione civica in Italia.

 

Fonte: ISTAT

Link: www.istat.it





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