L’evoluzione della disuguaglianza del reddito in Italia (2004-2021): un divario territoriale persistente
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Le regioni del Nord mantengono livelli di
disuguaglianza stabili e inferiori rispetto al Mezzogiorno.
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La crisi del 2008 ha ampliato le disparità,
colpendo duramente le regioni meridionali e insulari italiane.
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Gli interventi pubblici durante la pandemia
hanno temporaneamente ridotto la disuguaglianza, senza effetti strutturali
duraturi.
L’analisi
dell’indice di disuguaglianza del reddito netto, misurato dal rapporto S80/S20,
nel periodo compreso tra il 2004 e il 2021, offre una visione articolata delle
differenze economiche tra le regioni italiane e della loro evoluzione nel
tempo. Questo indice, che confronta il reddito posseduto dal 20% più ricco
della popolazione con quello del 20% più povero, riflette la distribuzione
della ricchezza e la capacità dei sistemi economici regionali di garantire
equità. Valori più alti indicano una maggiore disuguaglianza, mentre valori più
bassi corrispondono a una distribuzione più equilibrata del reddito. Nel corso
dei diciotto anni considerati, emergono chiaramente differenze strutturali tra
il Nord e il Sud del paese, ma anche alcune oscillazioni dovute a fattori
economici generali, come la crisi del 2008, la recessione successiva e infine
la crisi pandemica del 2020.
Il Nord Italia
si presenta complessivamente come l’area con i livelli più bassi di
disuguaglianza, con regioni che oscillano tra valori medi di 4 e 5. Piemonte,
Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige mostrano un profilo
relativamente stabile nel tempo, con solo lievi fluttuazioni. Il Piemonte, ad
esempio, passa da 4,8 nel 2004 a 4,4 nel 2021, mostrando una certa capacità di
contenimento delle disparità anche dopo la crisi finanziaria del 2008, che
aveva temporaneamente innalzato il valore a 5,3 nel 2010. Simile è la
traiettoria della Lombardia, che pur partendo da livelli leggermente più
elevati, si mantiene costantemente tra 4,5 e 5,6, senza mai superare soglie di
forte disuguaglianza. Questa stabilità è indice di un sistema economico solido
e diversificato, in cui la capacità produttiva e occupazionale contribuisce a
ridurre gli squilibri. Il Trentino-Alto Adige rappresenta un caso
particolarmente virtuoso, con valori quasi sempre inferiori a 4,5 e una tendenza
alla stabilità, a conferma della forza del suo modello socioeconomico, basato
su coesione territoriale, servizi efficienti e alti livelli di reddito medio.
Il Veneto, con valori intorno a 4 e oscillazioni contenute, rispecchia lo
stesso equilibrio, anche grazie a un tessuto produttivo diffuso e un buon
equilibrio tra aree urbane e rurali.
Nel Nord-Ovest
si distingue la Liguria, che mostra invece una maggiore variabilità e livelli
mediamente più alti di disuguaglianza, con picchi di 5,9 nel 2011 e 2012,
seguiti da una discesa a 4,4 nel 2021. La sua struttura economica,
caratterizzata da un’alta concentrazione di popolazione anziana, un tessuto
produttivo meno dinamico e forti divari tra le aree costiere e interne, può
spiegare questa maggiore vulnerabilità. Anche la Valle d’Aosta mostra un
andamento altalenante, ma sempre su valori contenuti, tra 3,2 e 4,9,
confermando una distribuzione del reddito più equilibrata rispetto alla media
nazionale.
Spostandosi
verso il Centro Italia, Toscana, Umbria, Marche e Lazio mostrano tendenze
diverse ma accomunate da un incremento della disuguaglianza nel periodo
successivo alla crisi del 2008. La Toscana rimane relativamente stabile con
valori medi attorno a 4,5, ma registra un leggero aumento tra il 2014 e il 2018,
probabilmente legato alla stagnazione dei redditi medio-bassi e alla crescita
dei redditi più alti. L’Umbria evidenzia una maggiore volatilità: dopo un
periodo di equilibrio intorno a 4,2-4,4, l’indice tocca valori superiori a 5
nel 2013-2015, segno di un peggioramento delle condizioni economiche locali. Le
Marche, pur mantenendo livelli moderati, mostrano un aumento di disuguaglianza
nel periodo 2011-2015, probabilmente collegato alla crisi industriale che ha
colpito le piccole imprese manifatturiere della regione, per poi registrare un
miglioramento verso la fine del periodo. Il Lazio si distingue nettamente dalle
altre regioni centrali per i suoi valori elevati: con un indice che oscilla tra
5 e 6,6, presenta un livello di disuguaglianza tra i più alti del paese. Roma,
con la concentrazione di redditi molto alti nel settore dei servizi e nella
pubblica amministrazione, accanto a fasce di reddito medio-basse e precarie,
accentua la polarizzazione. L’incremento progressivo fino al 2015 e la
stabilizzazione successiva attorno a 6 riflettono un dualismo socioeconomico
consolidato, in parte mitigato solo negli ultimi anni.
Il quadro cambia
radicalmente nel Mezzogiorno, dove i valori di disuguaglianza sono
sensibilmente più elevati e più variabili. Le regioni meridionali e insulari,
in media, presentano rapporti S80/S20 compresi tra 6 e 8 nei momenti di
maggiore squilibrio, segno di forti disparità nella distribuzione del reddito.
La Campania emerge come una delle regioni più diseguali, con un picco
eccezionale di 10 nel 2012, uno dei valori più alti registrati in tutto il
periodo, a testimonianza delle profonde difficoltà economiche e della
polarizzazione tra aree urbane e periferiche. Nonostante un successivo
miglioramento, i valori restano alti, attestandosi a 5,9 nel 2021. Anche la
Sicilia presenta livelli di disuguaglianza elevati e persistenti, oscillando
tra 6 e 9, con picchi di 9,2 nel 2015 e una graduale discesa negli anni
successivi. Il perdurare di questi valori elevati è indicativo della debolezza
del mercato del lavoro, della diffusione dell’economia informale e della
difficoltà di accesso a opportunità economiche equilibrate. La Calabria segue
un andamento simile, con valori stabilmente alti, spesso superiori a 6, e
picchi di 8,2 nel 2014, segno di una fragilità strutturale.
Nelle regioni
del Sud continentale la Puglia mostra valori mediamente inferiori rispetto a
Campania e Sicilia, ma comunque elevati rispetto al Centro-Nord. Il periodo più
critico è tra il 2013 e il 2018, quando l’indice si stabilizza tra 5,8 e 6,2,
segnalando un ampliamento della forbice sociale, mentre nel 2021 scende a 4,1,
un valore sorprendentemente basso che potrebbe riflettere interventi
straordinari di sostegno al reddito legati alla pandemia. Basilicata e Molise,
pur piccole e con fluttuazioni notevoli, confermano la maggiore vulnerabilità
delle regioni meridionali: la Basilicata raggiunge 6,6 nel 2010 e 6,4 nel 2017,
mentre il Molise segna un picco eccezionale di 8,6 nel 2019, per poi tornare a
livelli più contenuti. L’Abruzzo, regione di transizione tra Centro e Sud,
mantiene valori medi attorno a 4,5-5, con solo brevi momenti di incremento,
mostrando una distribuzione più equilibrata rispetto alle regioni meridionali.
La Sardegna,
infine, presenta un andamento intermedio ma tendenzialmente crescente fino al
2019, con valori che passano da 4,5 nel 2005 a 6,9 nel 2019, segno di un
progressivo aumento delle disparità sociali, probabilmente legato alla perdita
di posti di lavoro nei settori tradizionali e alla concentrazione della
ricchezza nelle aree urbane e turistiche. Solo negli ultimi anni l’indice
mostra una lieve riduzione.
L’analisi
temporale complessiva suggerisce che la crisi finanziaria globale del 2008 e le
successive politiche di austerità abbiano avuto un impatto significativo
sull’aumento della disuguaglianza, in particolare nel periodo 2009-2014. In
molte regioni si osserva un peggioramento proprio in quegli anni, quando la
contrazione dei redditi da lavoro e l’aumento della disoccupazione hanno inciso
in modo diseguale sui diversi strati sociali. A partire dal 2015, la situazione
tende a stabilizzarsi, con un lieve miglioramento in alcune regioni del Nord e
una stagnazione nel Sud, segno che la ripresa economica non è stata equamente
distribuita. L’effetto della pandemia del 2020 si riflette in una lieve
riduzione della disuguaglianza in diverse regioni, probabilmente dovuta agli
interventi pubblici di sostegno al reddito, che hanno temporaneamente attenuato
le disparità più marcate. Tuttavia, questo effetto sembra transitorio, e nel
2021 si intravedono segnali di ritorno a livelli precedenti in molte aree.
Nel complesso,
la lettura di questi dati mette in luce la persistenza del divario territoriale
italiano. Le regioni settentrionali mostrano livelli di disuguaglianza
paragonabili a quelli dei paesi europei più equilibrati, mentre il Mezzogiorno
si avvicina a contesti di marcata disparità, con concentrazioni di reddito
elevate in piccoli gruppi e una larga fascia di popolazione a basso reddito.
Ciò riflette non solo le differenze economiche strutturali ma anche le diverse
capacità istituzionali e amministrative di promuovere politiche redistributive
efficaci. L’Italia, nel suo complesso, appare come un paese duale, in cui la
coesione economica e sociale rimane una sfida aperta. L’indice S80/S20, pur
evidenziando miglioramenti marginali in alcune aree, conferma che la crescita
economica, da sola, non è sufficiente a ridurre le disuguaglianze senza
politiche mirate di inclusione, sostegno al lavoro e redistribuzione del reddito.
La traiettoria tra il 2004 e il 2021 racconta dunque non solo una storia di
crisi e riprese, ma anche la resilienza e le contraddizioni di un sistema
economico che continua a cercare un equilibrio tra efficienza e equità.
Fonte: ISTAT
Link: www.istat.it 
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