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Il reddito pro capite in Italia cresce del 25% in vent’anni ma il divario Nord-Sud resta invariato

 

 

·         Il Nord mantiene redditi alti, il Sud cresce più velocemente ma resta distante.

·         La Sardegna guida la crescita nazionale con un aumento record del 40,9%.

·         Le disuguaglianze territoriali persistono nonostante vent’anni di incremento del reddito medio nazionale.

 

 

L’analisi del reddito disponibile lordo pro capite in Italia dal 2004 al 2022 restituisce un quadro complesso ma estremamente significativo per comprendere le dinamiche economiche e sociali del Paese nel lungo periodo. I dati mostrano non solo la crescita complessiva del reddito nelle diverse regioni italiane, ma anche le profonde disuguaglianze territoriali che continuano a caratterizzare il contesto nazionale. La crescita del reddito disponibile non è uniforme: essa riflette differenze strutturali legate al tessuto produttivo, alla composizione settoriale dell’economia, alla distribuzione occupazionale, alle politiche regionali e alla capacità di attrarre investimenti pubblici e privati. Il periodo analizzato, inoltre, attraversa fasi di forte discontinuità: la crescita moderata degli anni pre-crisi, la contrazione del 2008-2009 dovuta alla grande recessione globale, la successiva fase di lenta ripresa, la stagnazione dei primi anni 2010, il rallentamento dovuto alla crisi del debito sovrano e, infine, gli effetti della pandemia di Covid-19 e della ripresa post-pandemica che si osserva tra il 2021 e il 2022.

Nel Nord Italia si evidenzia una maggiore capacità di mantenere e accrescere il reddito disponibile, in linea con una struttura economica più solida e con livelli di produttività e occupazione più elevati. La Lombardia si conferma la regione con i redditi medi più alti, passando da 20.444 euro nel 2004 a 25.604 nel 2022, con un incremento assoluto di oltre 5.100 euro e una variazione percentuale del 25,24%. Si tratta di un dato significativo che riflette la forza del sistema produttivo lombardo, caratterizzato da una diversificazione settoriale e da un’elevata presenza di imprese a medio-alta tecnologia. Anche il Trentino-Alto Adige mostra performance notevoli, crescendo da 20.269 a 26.162 euro, con un incremento del 29,07%, il più alto tra le regioni settentrionali. Questo risultato può essere spiegato dalla stabilità del mercato del lavoro, dall’elevato livello dei servizi pubblici e da un’autonomia amministrativa che consente politiche di redistribuzione efficaci.

Il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia, pur partendo da valori inferiori rispetto a Lombardia ed Emilia-Romagna, mostrano dinamiche di crescita più sostenute: rispettivamente +26,69% e +26,36%. Il Veneto passa da 17.654 euro nel 2004 a oltre 22.366 nel 2022, consolidando un modello economico fortemente export-oriented, capace di reagire alle crisi globali grazie alla resilienza delle PMI. Friuli-Venezia Giulia segue un percorso simile, beneficiando del settore manifatturiero e della vicinanza con i mercati dell’Europa centrale. Piemonte e Liguria, pur registrando incrementi rispettabili (+22,24% e +24,13%), evidenziano una crescita più lenta, segnale di un progressivo indebolimento del tessuto industriale tradizionale e di una transizione economica verso i servizi non sempre accompagnata da un pari aumento della produttività.

L’Emilia-Romagna si distingue per un reddito pro capite elevato e stabile, che passa da 20.730 a 24.684 euro, con una variazione del 19,07%. Pur mostrando una crescita percentuale più contenuta, il dato conferma la solidità del suo modello produttivo, basato su distretti industriali evoluti, filiere agroalimentari di eccellenza e un sistema di welfare territoriale avanzato. Nel complesso, il Nord si conferma la locomotiva economica del Paese, con valori medi superiori ai 22.000 euro nel 2022 e variazioni percentuali generalmente comprese tra il 20% e il 30%.

Passando al Centro Italia, si osserva una situazione intermedia tra Nord e Sud. La Toscana registra un incremento del 20,33%, con il reddito che cresce da 18.608 a 22.392 euro. Si tratta di una crescita coerente con l’andamento medio nazionale, sostenuta dalla presenza di poli manifatturieri e turistici ma rallentata da una produttività relativamente bassa nei servizi e da una debolezza strutturale nelle aree interne. L’Umbria, invece, si colloca su livelli inferiori: da 17.394 euro a poco più di 20.103, con una variazione del 15,57%, tra le più basse in Italia. Questa regione risente di una crisi industriale prolungata e di un tessuto economico poco dinamico, fattori che hanno limitato la crescita del reddito reale.

Le Marche mostrano un dato interessante, con un aumento del 29,30% e una crescita da 16.270 a oltre 21.037 euro. Questo risultato, superiore alla media nazionale, riflette un recupero importante nel post-crisi grazie alla diversificazione produttiva e all’export. Il Lazio, pur avendo il reddito medio più alto del Centro (da 18.762 a 22.280 euro), cresce solo del 18,75%, segno di una forte concentrazione dei redditi nell’area metropolitana di Roma e di una debole redistribuzione territoriale. Nel complesso, le regioni centrali presentano un reddito medio nel 2022 attorno ai 21.000 euro, evidenziando un divario di circa 3.000 euro rispetto al Nord.

Il Mezzogiorno mostra, come atteso, i livelli più bassi di reddito disponibile, ma con alcune sorprese positive in termini di crescita percentuale. Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna partono da valori significativamente inferiori, compresi tra 11.000 e 13.000 euro nel 2004, ma in molti casi evidenziano tassi di crescita superiori al 30%. La Puglia, per esempio, cresce del 33,52%, passando da 12.164 a 16.241 euro. Un andamento simile si osserva in Basilicata (+33,29%) e Sicilia (+34,16%), che mostrano miglioramenti consistenti pur mantenendo valori assoluti modesti. La Calabria cresce del 31,93%, mentre il Molise segna un aumento del 33,26%.

Il caso più rilevante è quello della Sardegna, che, con una crescita del 40,94%, è la regione italiana con il più alto incremento percentuale nel periodo considerato. Il reddito sardo passa da 12.742 euro nel 2004 a quasi 17.960 nel 2022, un aumento di oltre 5.200 euro. Questo risultato è in parte spiegabile con la modernizzazione di alcuni settori produttivi, la crescita del turismo e una maggiore partecipazione femminile al lavoro. Tuttavia, nonostante tali miglioramenti, il divario tra Sud e Nord resta ampio: nel 2022 il reddito medio nelle regioni meridionali è inferiore di circa il 30% rispetto a quello del Nord.

La Campania, pur avendo una crescita del 25,82%, rimane la regione con il reddito più basso in valore assoluto (15.427 euro nel 2022). Ciò conferma le difficoltà strutturali di un’economia fortemente dipendente dal settore pubblico e da attività a bassa produttività. L’Abruzzo, pur appartenendo all’area meridionale, si distingue per un reddito più elevato (18.044 euro) e una crescita del 27,04%, grazie a un tessuto industriale più sviluppato e a una maggiore integrazione con il Centro Italia.

Guardando al dato complessivo, si nota come la crescita del reddito disponibile in Italia tra il 2004 e il 2022 sia stata mediamente compresa tra il 20% e il 25%, con punte superiori al 30% nel Sud e valori più contenuti nelle regioni più ricche. Tuttavia, questa convergenza percentuale non ha ridotto in modo sostanziale il divario territoriale, poiché le regioni partite da livelli più bassi hanno sì registrato tassi di crescita maggiori, ma in valore assoluto il gap resta ampio. Nel 2022, ad esempio, la differenza tra la Lombardia e la Campania è di oltre 10.000 euro, una distanza praticamente identica a quella di inizio periodo.

Le crisi economiche del 2008-2009 e del 2012-2013 si riflettono chiaramente nei dati: quasi tutte le regioni mostrano un calo del reddito in quegli anni, seguito da una ripresa lenta e irregolare. Il Nord, pur colpito dalla recessione, ha recuperato più rapidamente grazie alla maggiore competitività del suo sistema produttivo. Il Centro ha sofferto un rallentamento più prolungato, mentre il Sud ha faticato maggiormente a recuperare i livelli pre-crisi. Solo dopo il 2015 si osserva una tendenza alla crescita più uniforme, interrotta brevemente nel 2020 a causa della pandemia, ma poi ripresa con forza nel biennio successivo.

In sintesi, i dati confermano che la crescita del reddito disponibile in Italia tra il 2004 e il 2022 è stata reale ma diseguale. Il Nord mantiene un vantaggio consolidato, il Centro si colloca in posizione intermedia e il Sud continua a inseguire, mostrando segni di miglioramento che tuttavia non bastano a colmare i divari strutturali. L’aumento percentuale più marcato nel Mezzogiorno non si traduce in una riduzione significativa delle disparità, poiché le regioni meridionali restano lontane dai livelli di benessere delle aree più sviluppate. Le politiche di coesione territoriale, l’innovazione tecnologica, la qualità del lavoro e l’efficacia dei servizi pubblici restano fattori cruciali per comprendere e orientare le future evoluzioni del reddito disponibile nel Paese. In prospettiva, la sfida per l’Italia sarà riuscire a trasformare la crescita nominale in un miglioramento effettivo del benessere, riducendo le disuguaglianze e garantendo una distribuzione più equilibrata delle opportunità economiche tra Nord e Sud.

 

Fonte: ISTAT

Link: www.istat.it














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