Il disagio economico delle famiglie italiane si riduce del 70% in vent’anni ma resta forte il divario Nord-Sud
·        
Il disagio economico cala drasticamente,
ma le differenze territoriali restano profonde tra Nord e Sud.
·        
Le regioni settentrionali mostrano
maggiore resilienza economica e recupero rapido dopo le crisi principali.
·        
Sicilia, Puglia e Basilicata migliorano
nettamente, ma Campania e Calabria restano in difficoltà strutturale.
L’analisi dei
dati relativi alla percentuale di famiglie che dichiarano una grande difficoltà
ad arrivare a fine mese nel periodo compreso tra il 2004 e il 2022 consente di
tracciare un quadro complesso dell’evoluzione delle condizioni economiche e
sociali delle regioni italiane, evidenziando forti divari territoriali,
dinamiche temporali legate alle crisi economiche e ai processi di ripresa,
nonché profonde differenze strutturali tra il Nord e il Sud del Paese.
L’andamento di questo indicatore rappresenta infatti una misura indiretta ma
significativa del disagio economico e della vulnerabilità sociale delle
famiglie italiane, influenzata da fattori come l’andamento dell’occupazione, i
livelli salariali, il costo della vita, l’efficacia delle politiche sociali e
la solidità del tessuto produttivo regionale.
Nel complesso,
il dato più evidente è la forte riduzione percentuale del numero di famiglie
che dichiarano gravi difficoltà economiche nel corso del periodo analizzato,
con variazioni in molti casi negative superiori al 60 o 70 per cento. Tuttavia,
dietro questa apparente tendenza positiva si nascondono percorsi regionali
molto diversi e oscillazioni significative nel tempo, legate soprattutto alla
crisi finanziaria globale del 2008, alla crisi del debito sovrano europeo del
2011 e alla pandemia del 2020. In generale, le regioni del Nord mostrano
livelli di disagio economico nettamente inferiori rispetto a quelle del
Mezzogiorno, ma anche una maggiore capacità di recupero dopo le fasi di crisi,
grazie a un tessuto produttivo più solido e a tassi di occupazione più elevati.
Analizzando il
Nord-Ovest, il Piemonte presenta un andamento altalenante, con un picco di
difficoltà nel 2007, seguito da un progressivo miglioramento e una
significativa riduzione fino al 2022, con un calo del 42 per cento rispetto ai
valori iniziali. Anche la Liguria e la Lombardia seguono un percorso simile,
caratterizzato da un peggioramento nella fase immediatamente successiva alla
crisi del 2008, ma da un progressivo miglioramento nel decennio successivo,
culminato in una riduzione del disagio di oltre il 70 per cento in entrambi i
casi. La Valle d’Aosta, pur avendo dati parzialmente incompleti, mostra una
tendenza generale al miglioramento, confermando la maggiore resilienza delle regioni
settentrionali.
Nel Nord-Est si
osserva una situazione altrettanto interessante. Il Trentino-Alto Adige,
regione tradizionalmente caratterizzata da elevati standard di vita e bassi
livelli di disoccupazione, registra valori costantemente tra i più bassi
d’Italia, con una riduzione complessiva del 66 per cento. Il Veneto, nonostante
una crescita del disagio durante gli anni della crisi economica, mostra un
netto miglioramento a partire dal 2013, con un calo del 60 per cento rispetto
al 2004. Il Friuli-Venezia Giulia, pur partendo da livelli intermedi, evidenzia
una contrazione ancora più marcata, pari al 76 per cento, segno di un contesto
socioeconomico capace di recuperare rapidamente dopo le difficoltà.
L’Emilia-Romagna segue una traiettoria analoga, confermando la propria solidità
economica e la capacità del suo sistema produttivo e di welfare di attutire gli
effetti delle crisi, con una riduzione dell’81 per cento, tra le più
significative del Paese.
Nel Centro
Italia i dati mostrano un’evoluzione più variegata. La Toscana, che nel 2004
aveva valori piuttosto elevati (oltre l’11 per cento), ha conosciuto una
graduale diminuzione fino a toccare nel 2022 livelli prossimi al 2,5 per cento,
con una variazione negativa del 78 per cento. L’Umbria mostra un andamento più
irregolare, con picchi nel 2014 e nel 2015 e un calo solo più recente, che
porta comunque a una riduzione del 70 per cento. Le Marche presentano un
percorso altalenante, con una forte impennata del disagio economico tra il 2007
e il 2012, ma un recupero significativo nella fase successiva, chiudendo con un
calo del 61 per cento. Il Lazio, regione caratterizzata da forti disuguaglianze
interne, risente maggiormente della crisi del 2008 e dei problemi strutturali
legati all’alto costo della vita nell’area metropolitana di Roma, ma nel lungo
periodo mostra comunque una riduzione del 75 per cento.
Passando al
Mezzogiorno, la situazione cambia radicalmente. Le regioni meridionali e
insulari partono da livelli di disagio economico molto più elevati, spesso
superiori al 20 o 25 per cento, e in alcuni casi superano il 30 per cento nei
periodi di maggiore difficoltà. Tuttavia, anche qui si riscontra una tendenza
generale al miglioramento, seppur con intensità e regolarità diverse. In
Abruzzo, ad esempio, il valore cresce fino al 22,8 per cento nel 2014, per poi
diminuire lentamente fino al 2022, con un calo complessivo del 17 per cento. In
Molise l’andamento è fortemente oscillante, con un picco nel 2020 e una
riduzione limitata del 15 per cento complessivo, a conferma della vulnerabilità
economica di una regione piccola e poco diversificata.
La Campania
resta una delle regioni con i valori più elevati per tutto il periodo, con
punte drammatiche tra il 2008 e il 2015, quando oltre un terzo delle famiglie
dichiarava gravi difficoltà economiche. Sebbene si osservi una diminuzione nel
lungo periodo, la riduzione percentuale è contenuta (solo il 7 per cento),
segno di un disagio strutturale radicato. La Puglia, pur partendo da valori
simili, mostra un’evoluzione più positiva, con un calo del 68 per cento, dovuto
probabilmente a una lenta ma costante crescita del tessuto produttivo locale e
a una parziale stabilizzazione del mercato del lavoro.
La Basilicata
presenta un andamento interessante: dopo anni di valori molto elevati,
superiori al 20 per cento, registra una riduzione drastica fino al 2022, con un
calo di quasi l’80 per cento, il che potrebbe riflettere l’impatto di politiche
di sviluppo locale e di un progressivo miglioramento delle condizioni
socioeconomiche. La Calabria, pur mostrando una riduzione del 30 per cento,
rimane tra le regioni più problematiche, con un forte peggioramento durante la
crisi del 2008 e una ripresa discontinua.
La Sicilia
rappresenta uno dei casi più emblematici: i valori partono da livelli
altissimi, superiori al 28 per cento, raggiungono il massimo storico nel 2012
con oltre il 45 per cento delle famiglie in difficoltà, per poi diminuire fino
a 8,8 nel 2022, con una riduzione complessiva di quasi il 69 per cento. Questo
trend suggerisce una lenta ma significativa inversione di tendenza,
probabilmente dovuta alla crescita di alcuni settori produttivi e all’efficacia
di misure di sostegno al reddito introdotte negli anni più recenti. La Sardegna
mostra invece una traiettoria meno lineare: dopo un peggioramento fino al 2014,
con valori sopra il 25 per cento, il disagio cala progressivamente fino al
2022, con una diminuzione del 30 per cento.
Nel complesso,
la lettura comparata di questi dati mette in luce la persistenza del divario
Nord-Sud, ma anche un generale miglioramento delle condizioni economiche delle
famiglie italiane rispetto all’inizio degli anni Duemila. Tuttavia, la
riduzione del disagio non è necessariamente sinonimo di un reale aumento del
benessere: può riflettere, in parte, cambiamenti nella percezione soggettiva
delle difficoltà economiche, una maggiore adattabilità delle famiglie o
l’impatto temporaneo di misure di sostegno pubblico. Inoltre, le crisi
economiche e sanitarie degli ultimi anni hanno inciso in modo differenziato: la
crisi del 2008 ha colpito duramente il Centro-Nord, mentre la pandemia del 2020
ha aggravato la situazione nel Mezzogiorno, dove l’economia informale e il
turismo rappresentano settori cruciali.
Un altro
elemento rilevante riguarda la volatilità dei dati: regioni come Molise,
Abruzzo o Sardegna mostrano forti oscillazioni da un anno all’altro, segno di
una maggiore vulnerabilità a shock esterni e di un tessuto economico più
fragile. Al contrario, regioni come Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e
Veneto presentano curve più stabili e progressive, confermando la correlazione
tra sviluppo industriale, stabilità occupazionale e capacità di tenuta sociale.
È infine
importante sottolineare come la riduzione complessiva del disagio non elimini
le disuguaglianze territoriali: nel 2022, le regioni del Nord presentano valori
medi inferiori al 5 per cento, mentre molte aree del Sud restano sopra il 10,
con punte che raggiungono ancora livelli preoccupanti. Questa forbice
geografica rappresenta una delle principali sfide per la coesione economica e
sociale del Paese, evidenziando la necessità di politiche mirate a rafforzare
le opportunità occupazionali, migliorare i servizi e sostenere i redditi
familiari nelle aree più svantaggiate. In sintesi, i dati mostrano un’Italia
che, pur avendo complessivamente migliorato la propria capacità di far fronte
alle difficoltà economiche, rimane ancora profondamente divisa tra territori
resilienti e territori vulnerabili, tra regioni che hanno saputo cogliere le
opportunità della modernizzazione e regioni ancora ancorate a modelli di
sviluppo fragili e discontinui.
Fonte: ISTAT
Link: www.istat.it 
Commenti
Posta un commento