Il Nord perde il primato civico: Trentino-Alto Adige (-8,6 punti) e Veneto (-10,5) segnano i cali più pesanti
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La partecipazione sociale cala ovunque: in media
-20% tra il 2013 e il 2023.
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Il Nord perde più terreno, mentre il Sud mostra
maggiore tenuta nelle reti comunitarie.
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La pandemia accelera il declino, ma emergono nuove
forme di partecipazione digitale e informale.
L’indicatore di
“partecipazione sociale” rappresenta una misura significativa del capitale
civico e relazionale di una comunità, descrivendo il grado con cui i cittadini
prendono parte ad attività collettive, associative, culturali, di volontariato
o di impegno civico. Analizzando i dati relativi al periodo 2013–2023, emerge
un quadro complessivamente negativo per tutte le regioni italiane, con cali più
o meno accentuati che segnalano un indebolimento della partecipazione
collettiva e un progressivo ripiegamento verso forme più individuali di vita
sociale. Il dato medio nazionale, pur non esplicitato, risulta in chiara
diminuzione, e la pandemia da COVID-19, collocata a metà della serie temporale,
rappresenta un punto di svolta decisivo nel restringimento delle occasioni di
interazione e impegno pubblico. Tuttavia, nonostante la flessione
generalizzata, persistono differenze territoriali rilevanti che permettono di
interpretare le dinamiche locali in termini di resilienza, capacità di
adattamento e coesione civica.
Nel Nord Italia, tradizionalmente più attivo sul piano del volontariato
e delle associazioni, si osserva un arretramento significativo. Il
Trentino-Alto Adige, che nel 2013 presentava il valore più alto d’Italia con il
45,4%, scende a 36,8 nel 2023, con una variazione negativa di 8,6 punti, pari a
quasi il 19%. Questa regione, storicamente caratterizzata da un forte tessuto
civico e cooperativo, vede dunque una riduzione della partecipazione, che può
essere attribuita a un generale cambiamento nella forma dell’impegno sociale:
meno adesione formale alle organizzazioni, più partecipazione occasionale e
digitale. Anche il Veneto, da sempre fra le regioni con più alta propensione
alla cittadinanza attiva, registra un calo ancora più consistente, passando da
40,6 a 30,1 (-10,5 punti, pari a -25,9%). Tale riduzione, che si concentra
soprattutto dopo il 2019, riflette la crisi del modello associativo
tradizionale, colpito sia dalla pandemia sia da un progressivo disinteresse
delle generazioni più giovani verso la militanza civica.
Un andamento simile si osserva in Friuli-Venezia Giulia ed
Emilia-Romagna, dove la partecipazione sociale scende rispettivamente da 38 a
27,9 (-26,6%) e da 35,9 a 28,6 (-20,3%). L’Emilia-Romagna, pur perdendo oltre
sette punti, si mantiene su livelli relativamente alti, segno che il sistema
cooperativo e il volontariato continuano a rappresentare un pilastro del
modello sociale locale. Tuttavia, la tendenza negativa suggerisce una
trasformazione del concetto stesso di partecipazione: meno presenza nelle
associazioni e più attivismo informale o digitale.
In Lombardia, la più popolosa e urbanizzata delle regioni
italiane, la partecipazione scende da 36 a 28,8, con una perdita di 7,2 punti
(-20%). Il dato è significativo perché mostra come la complessità delle aree
metropolitane tenda a indebolire la partecipazione civica, sostituita spesso da
forme di socialità frammentate e legate a interessi individuali. Anche il
Piemonte e la Liguria confermano questa tendenza: il primo cala da 31,4 a 25,2
(-19,7%) e la seconda da 27 a 25,3 (-6,3%). In entrambi i casi, la flessione
coincide con la perdita di un certo senso di comunità tipico dei territori
industriali e urbani, ma anche con una minore presenza di iniziative locali di
aggregazione rispetto al passato.
Nel Centro Italia, le regioni mostrano una riduzione più
contenuta, ma comunque evidente. Toscana, Umbria e Marche perdono
rispettivamente 6,3, 5,5 e 5,7 punti, tutte con variazioni percentuali intorno
al 17–19%. Il Lazio si distingue per una flessione più moderata (-3,2 punti,
pari a -10,3%), ma la sua partecipazione resta relativamente bassa, con valori
che nel 2023 non superano il 28%. La struttura socioeconomica di Roma e delle
aree limitrofe, caratterizzata da elevata mobilità, eterogeneità culturale e
ritmi di vita intensi, contribuisce a spiegare la difficoltà nel mantenere una
partecipazione stabile. Tuttavia, in tutto il Centro Italia si rileva un crollo
evidente nel biennio 2020–2021, con valori che in alcune regioni si riducono di
oltre dieci punti, segno dell’impatto immediato delle restrizioni pandemiche
sulle attività collettive e di volontariato.
Il Mezzogiorno, storicamente caratterizzato da una partecipazione
sociale inferiore rispetto al Nord, conferma anche in questo caso la distanza,
ma con una dinamica interessante: la diminuzione è meno accentuata in alcune
regioni, probabilmente perché il livello iniziale era già basso. In Campania,
ad esempio, la partecipazione cala solo di 1,1 punti (-4,8%), rimanendo però su
valori molto contenuti, intorno al 21,6% nel 2023. In Molise, la flessione è di
3,2 punti (-12,3%), mentre in Puglia e in Calabria si osservano cali
rispettivamente di -3,4 e -5 punti, con percentuali finali tra il 20% e il 24%.
La Basilicata è l’eccezione più negativa del Sud, con un crollo di dieci punti
(-31,5%), passando da 31,7 a 21,7. La Sicilia e la Sardegna registrano
anch’esse cali significativi: -6,1 punti per la prima e -4,2 per la seconda.
L’analisi del Sud mette in evidenza come, pur partendo da livelli
di partecipazione più bassi, le comunità meridionali abbiano mostrato una
maggiore tenuta relativa durante il decennio. Questo può essere attribuito al
fatto che in molti contesti del Mezzogiorno la partecipazione non si esprime
attraverso canali formali o istituzionali, ma piuttosto attraverso reti
informali, legate alla famiglia, al vicinato o alla parrocchia, che non sempre
vengono intercettate dalle indagini statistiche. Inoltre, la crisi pandemica,
pur colpendo duramente anche al Sud, ha in parte rafforzato la solidarietà
comunitaria, anche se non necessariamente la partecipazione in senso
organizzato.
Un punto di riflessione importante è rappresentato dal crollo
generalizzato tra il 2019 e il 2021, periodo che coincide con la pandemia da
COVID-19. Tutte le regioni registrano in quei due anni un crollo netto dei
valori, con minimi storici nel 2021. La sospensione delle attività associative,
le restrizioni alla socialità, la chiusura di scuole, centri culturali e
parrocchie hanno ridotto drasticamente le occasioni di partecipazione. Anche
dopo la ripresa, nel 2022 e 2023, i livelli di partecipazione non sono tornati
ai valori pre-pandemici, suggerendo che parte del capitale sociale si è
disperso o trasformato.
La crisi della partecipazione sociale non riguarda solo la
quantità, ma anche la qualità. Laddove i dati mostrano una flessione, è
probabile che si stia verificando un mutamento strutturale nelle forme del
coinvolgimento civico. I cittadini partecipano sempre meno in modo continuativo
e istituzionalizzato, e più spesso in modo episodico o digitale, tramite
campagne online, crowdfunding o movimenti spontanei. Queste nuove modalità non
sempre vengono rilevate dagli indicatori tradizionali, ma incidono
profondamente sul modo in cui si costruisce la coesione sociale.
Un altro elemento di rilievo riguarda la correlazione tra
partecipazione sociale e benessere territoriale. Le regioni con i livelli più
alti di partecipazione (come il Trentino-Alto Adige, il Veneto o
l’Emilia-Romagna) sono anche quelle che, storicamente, presentano maggior
benessere economico, livelli più alti di istruzione e una più consolidata
cultura civica. Tuttavia, proprio queste regioni mostrano i cali più marcati
nel periodo considerato, segno che la ricchezza materiale non basta a
preservare l’impegno civico quando cambiano le forme di socialità. Al contrario,
in alcune regioni del Sud, pur restando più basse, le variazioni sono
contenute, evidenziando una resilienza del tessuto comunitario informale.
Nel complesso, la partecipazione sociale in Italia appare in fase
di riduzione strutturale, con un calo medio che si aggira attorno al 20%
rispetto al 2013. Questa tendenza riflette fenomeni di lungo periodo:
l’invecchiamento della popolazione, la trasformazione del tempo libero, la
frammentazione dei legami sociali e la crescente sfiducia verso le istituzioni
collettive. La crisi pandemica ha accentuato queste dinamiche, ma non ne è
l’unica causa. Già prima del 2020, i dati mostravano un declino costante in
molte regioni, a dimostrazione che il problema affonda le radici in cambiamenti
culturali più profondi.
Guardando al futuro, la sfida sarà quella di rigenerare la
partecipazione attraverso forme nuove, più flessibili e inclusive. Le
istituzioni locali e nazionali potrebbero incentivare il volontariato
giovanile, la cittadinanza attiva digitale e la collaborazione tra associazioni
e scuole. Allo stesso tempo, è necessario riconoscere e valorizzare le reti di
solidarietà informali, spesso invisibili ma vitali per la tenuta sociale di
molti territori, specialmente nel Mezzogiorno.
In conclusione, i dati
sulla partecipazione sociale tra il 2013 e il 2023 raccontano la storia di
un’Italia che partecipa meno, ma non necessariamente si è chiusa in sé stessa.
La forma della partecipazione si è trasformata, spostandosi dai luoghi fisici
alle reti digitali, dalle associazioni strutturate ai movimenti spontanei.
Tuttavia, la riduzione numerica rimane un segnale d’allarme: una società meno
partecipativa rischia di essere anche meno coesa e meno capace di affrontare
collettivamente le proprie sfide. Il recupero di un autentico spirito civico
passa dunque per un rinnovamento culturale che riporti al centro il valore
dell’impegno comune, dell’appartenenza e della collaborazione, senza le quali
nessuna comunità può dirsi veramente solida.
Fonte: ISTAT
Link: www.istat.it
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