L’analisi
delle aliquote standard di ritenuta alla fonte applicate sui redditi societari,
aggiornata al 2024, offre un panorama estremamente eterogeneo e articolato. I
dati raccolti, relativi a 568 punti informativi distribuiti tra paesi OCSE e
non-OCSE, mostrano profonde differenze nelle politiche fiscali applicate sui
principali flussi di reddito internazionale: dividendi, interessi, royalties e
prestazioni di servizi tecnici. Questa varietà riflette scelte strategiche,
contesti economici, vincoli normativi locali e politiche di attrazione degli
investimenti esteri.
Tra i paesi
OCSE, si rileva una tendenza generale alla moderazione delle aliquote,
specialmente su interessi e royalties. In particolare, diverse economie mature,
come la Germania e il Lussemburgo, applicano un’aliquota dello 0% su interessi
e royalties, probabilmente per favorire flussi di capitale in entrata e
incentivare le attività di ricerca e sviluppo. Similmente, paesi come l’Estonia
eliminano quasi del tutto la tassazione su dividendi e interessi, mantenendo
solo un'imposizione minima su royalties e servizi tecnici. Tuttavia, in alcune
giurisdizioni la pressione fiscale resta alta: si pensi all'Australia e al
Belgio, che applicano un 30% sui dividendi, o alla Repubblica Ceca e alla
Slovacchia, che impongono il 35% su tutte le categorie di reddito considerate.
Anche
all’interno dell’area OCSE emergono differenze notevoli. La Francia, ad
esempio, mantiene un’imposizione sui dividendi pari al 25%, mentre la Svezia
tassa i dividendi al 30% ma non applica alcuna ritenuta su interessi e
royalties. In controtendenza, l’Italia applica il 26% su dividendi e interessi
e una più elevata tassazione sui redditi da royalties (30%), azzerando tuttavia
la ritenuta sui servizi tecnici, una scelta che riflette la volontà di favorire
gli scambi di competenze e know-how.
Diverse
economie, come l’Ungheria e l’Irlanda, adottano approcci più favorevoli:
l’Ungheria, in particolare, si distingue per l’assenza totale di ritenute su
tutte le categorie, rafforzando la sua attrattività per holding e
multinazionali. In Irlanda, la ritenuta su dividendi è fissata al 25%, mentre
gli interessi e royalties sono tassati al 20%, ma i servizi tecnici non sono
soggetti a tassazione alla fonte.
Passando
alle economie non-OCSE, il quadro si fa ancora più complesso. Numerose
giurisdizioni offshore, come Anguilla, Bahamas, Isole Cayman, Jersey e
Guernsey, applicano aliquote pari a zero su tutti i redditi considerati. Questi
territori, noti per la loro funzione di paradisi fiscali, offrono un contesto
ideale per le strutture di ottimizzazione fiscale, benché siano sempre più
sottoposti a pressioni internazionali per incrementare la trasparenza.
Tra le economie
emergenti, invece, si osservano sia politiche di forte attrattività fiscale sia
approcci più tradizionali. Ad esempio, l’Albania e l’Armenia applicano aliquote
relativamente basse (intorno al 10-15%), puntando a bilanciare l’attrazione di
investimenti esteri con esigenze di gettito pubblico. Al contrario, paesi come
l’Argentina o la Giamaica impongono aliquote molto elevate, rispettivamente al
35% e oltre il 33%, su tutte le categorie di reddito, il che può scoraggiare
investimenti stranieri nonostante i vantaggi competitivi in termini di costo
della manodopera o risorse naturali.
Alcune
situazioni sono particolarmente interessanti da un punto di vista strategico.
Il Qatar, ad esempio, applica uno 0% sui dividendi, ma una tassazione contenuta
al 5% su interessi e royalties, mantenendo competitività senza azzerare del
tutto la contribuzione fiscale. Analogamente, Hong Kong (Cina) applica
un’aliquota quasi nulla sulle royalties (4,95%) e ritenute nulle su dividendi,
interessi e servizi tecnici, confermando la sua funzione di hub finanziario
globale. Singapore, sebbene più selettiva, mantiene bassi livelli di tassazione
(ad esempio, 10-17% su royalties e servizi tecnici) sostenendo la sua posizione
di leadership regionale.
Un altro
elemento degno di nota è rappresentato dai casi di aliquote fortemente
differenziate per tipologia di reddito all’interno dello stesso paese. In
Arabia Saudita, ad esempio, la tassazione sui dividendi è limitata al 5%, ma su
interessi e royalties si sale al 16%, probabilmente per proteggere le rimesse
finanziarie mentre si incentivano gli investimenti diretti. In Sudafrica,
invece, i dividendi sono tassati al 20%, gli interessi al 15% e le royalties al
15%, ma le prestazioni di servizi tecnici sono esenti.
Inoltre, vi
sono paesi dove la tassazione su un certo tipo di reddito è azzerata per
incentivare specifiche attività economiche. È il caso, ad esempio, del Brasile,
che applica aliquote pari a 0% su dividendi, interessi e royalties, tassando
solo i servizi tecnici al 15%. Similmente, il Regno Unito non applica ritenute
sui dividendi societari, mantenendo però un 20% su interessi e royalties.
In paesi con
economie meno stabili o sottoposte a volatilità politica ed economica, le
aliquote tendono a essere elevate per compensare i rischi percepiti dagli
investitori. È il caso della Groenlandia, che impone un’imposta del 44% sui
dividendi, e del Perù, che arriva a tassare interessi e royalties al 30%.
Dall'analisi
emergono anche segnali di evoluzione nelle strategie fiscali globali. Le economie
in via di sviluppo stanno sempre più cercando di bilanciare la necessità di
attrarre capitali stranieri con il bisogno di finanziare i propri bilanci
pubblici. Ne sono un esempio i paesi africani come la Costa d’Avorio o il
Camerun, che applicano aliquote comprese tra il 10% e il 20% in maniera
piuttosto uniforme su tutte le categorie di reddito, segnalando una tendenza
verso regimi fiscali semplificati e prevedibili.
Allo stesso
tempo, alcuni paesi stanno introducendo specifiche agevolazioni o esenzioni per
i settori tecnologici e innovativi. Si veda il caso di Malta e degli Emirati
Arabi Uniti, che non impongono ritenute su nessuna delle quattro categorie di
reddito considerate, nella logica di favorire l’insediamento di startup
tecnologiche e società multinazionali.
La presenza
di molti paesi con aliquote variabili anche all'interno delle stesse categorie
di reddito suggerisce che non esiste una soluzione universale nel disegno delle
politiche fiscali internazionali. Le scelte sono spesso modellate da strategie
di politica economica interna, dal grado di apertura dell’economia al commercio
internazionale, dalla forza delle istituzioni e dalla pressione fiscale
generale.
Un aspetto
critico che emerge dallo studio riguarda la gestione del rischio di doppia
imposizione. In assenza di accordi bilaterali specifici, le ritenute alla fonte
possono sovrapporsi alle imposte dovute nello stato di residenza del
beneficiario, generando un carico fiscale effettivo molto elevato. La stipula
di trattati per evitare la doppia imposizione diventa quindi un elemento chiave
della diplomazia economica moderna, tanto per i paesi ad alta tassazione quanto
per quelli a fiscalità privilegiata.
In sintesi,
il dataset sulle aliquote standard di ritenuta alla fonte per il 2024 descrive
un mondo fiscale estremamente frammentato, in cui coesistono approcci
radicalmente diversi, dai regimi offshore a tassazione zero alle economie
mature che applicano aliquote moderate e selettive, fino a paesi emergenti che
alternano politiche di forte attrattività a strategie più protettive. Per le
imprese multinazionali, la gestione efficace della fiscalità internazionale
richiede un monitoraggio costante delle normative, un’attenta pianificazione
delle catene di valore globali e un utilizzo strategico delle convenzioni
contro la doppia imposizione, pena l’erosione dei margini di profitto e
l’aumento dell’esposizione a rischi fiscali non previsti.
Fonte: OCSE
Link: https://data-explorer.oecd.org/
Commenti
Posta un commento