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La disciplina delle regole di limitazione degli interessi: un'analisi globale delle pratiche fiscali nel 2024

 

Il 2024 presenta un quadro articolato e stratificato delle regole di limitazione degli interessi applicate a livello mondiale, evidenziando un'adozione molto ampia, soprattutto tra le economie OCSE, di strumenti volti a contrastare pratiche di erosione della base imponibile attraverso il ricorso eccessivo all'indebitamento. Analizzando i 1041 data points selezionati emergono tendenze precise: la grande maggioranza dei paesi ha in vigore almeno una forma di regolamentazione volta a limitare la deducibilità degli interessi passivi, con schemi che oscillano tra il thin capitalization rule, earnings stripping rule e formule miste o alternative. Il thin capitalization, basato su rapporti debt-to-equity o debt-to-assets, risulta uno dei modelli più diffusi, applicato ad esempio in Australia, Canada, Belgio e Giappone, spesso con coefficienti di riferimento che vanno da 1.5:1 a 5:1. L'earnings stripping, generalmente agganciato a formule di tipo Interest-to-EBITDA con soglie standardizzate attorno al 30% (0.3 ratio), è altrettanto prevalente in Europa (es. Germania, Francia, Italia) e nelle Americhe (es. Argentina, Canada). Un elemento rilevante che emerge è l'adozione di soglie de minimis in molti ordinamenti, con importi che variano da poche centinaia di migliaia di euro (es. Finlandia con 500.000 EUR) a importi ben più consistenti come negli Stati Uniti (25 milioni USD) o nel Regno Unito (2 milioni GBP), a sottolineare un tentativo di salvaguardare i contribuenti minori dagli oneri di compliance eccessiva. Altra osservazione critica riguarda l'approccio alla deducibilità rispetto agli interessi su debiti con parti correlate: nella quasi totalità dei paesi, la disciplina tiene conto del rischio che operazioni intra-gruppo siano strumentali alla pianificazione fiscale aggressiva, imponendo limiti più stringenti o esclusioni specifiche. Per quanto concerne la possibilità di riportare in avanti gli interessi non dedotti, i cosiddetti carry forward, l'analisi mostra che numerose giurisdizioni, come Austria, Belgio, Danimarca e Finlandia, consentono tali meccanismi, mentre il carry back è meno diffuso, segnalando una maggiore attenzione a proteggere la base imponibile corrente piuttosto che restituire agevolazioni retroattive. Un dato interessante risiede nella possibilità, in alcuni ordinamenti, di ricaratterizzare gli interessi come dividendi, tipicamente soggetti a regimi fiscali differenti e spesso meno favorevoli, misura adottata ad esempio dal Canada nella sua regola thin cap, a ulteriore testimonianza dell'intento di chiudere spazi di arbitraggio normativo. La presenza di regole di gruppo, ossia misure che permettono calcoli su base consolidata o che introducono ratio su base di gruppo (group ratio rules), appare limitata ma comunque rilevante in ordinamenti con economie fortemente globalizzate e imprese multinazionali strutturate. Da notare inoltre come l'impianto normativo sia completato, in molti paesi, da regole mirate (targeted rules) contro rischi particolari non coperti dalla disciplina generale, come avviene in Australia e Belgio, che affiancano alle regole di thin capitalization anche altre normative su earnings stripping. Non mancano infine economie che, pur appartenendo al quadro OCSE o emergenti, non applicano regole di limitazione degli interessi in modo formale o sistematico, come risulta dai casi di Israele, Angola, Anguilla, Armenia, Barbados, Bahamas, Bahrain e altri ancora, configurando possibili rischi di concorrenza fiscale dannosa. Sul piano metodologico, si osserva una preferenza diffusa per l'applicazione delle regole agli interessi netti piuttosto che lordi, in modo da tener conto anche degli interessi attivi e non penalizzare eccessivamente le imprese con strutture finanziarie bilanciate. D'altra parte, l'uso del gross interest expense emerge in alcuni paesi, ad esempio negli Stati Uniti in modo combinato, o in Canada per la prima delle due regole, o ancora in paesi latinoamericani come il Messico, segnalando una scelta più severa in chiave anti-abuso. La varietà dei financial ratio adottati è ampia ma comunque riconducibile a pochi schemi standardizzati: oltre al classico debt-to-equity, appaiono debt-to-assets, interest-to-EBITDA e, meno frequentemente, il rapporto tra interesse dedotto e valore fiscale degli asset totali (Danimarca). In Francia, si incontra anche il safe harbour basato sulla percentuale dei net interest expenses. Alcuni paesi (Australia, Nuova Zelanda) introducono meccanismi di safe harbour che consentono soglie più alte qualora l'impresa possa dimostrare una posizione finanziaria in linea con quella del gruppo mondiale, riconoscendo così la diversità strutturale delle imprese multinazionali. È evidente anche una certa convergenza internazionale verso l'applicazione di regole earnings stripping uniformate sulla percentuale del 30% di EBITDA, coerentemente con gli orientamenti OCSE e il piano d'azione BEPS (Base Erosion and Profit Shifting). Tuttavia, vi sono anche eccezioni come i Paesi Bassi, che adottano un limite più restrittivo del 20%, o la Norvegia con un limite del 25%, indicando un approccio più prudente o aggressivo a seconda delle specifiche esigenze di protezione della base imponibile. Le economie emergenti, pur aderendo sempre più alle best practices internazionali, mostrano ancora ampie differenze: ad esempio l'Argentina ha un approccio sofisticato che tiene conto non solo degli interessi ma anche delle differenze di cambio e dell'indicizzazione, mentre paesi come Botswana o Mongolia si limitano a semplici regole di rapporto debito-capitale. Si nota infine che in molte economie in via di sviluppo l'effettiva implementazione pratica delle regole può risultare più complessa a causa di capacità amministrative limitate, il che rischia di vanificare l'efficacia delle normative pur formalmente adottate. L'analisi conferma inoltre il ruolo crescente del coordinamento internazionale: l'influenza della Direttiva ATAD dell'Unione Europea è evidente nei paesi membri che adottano regole molto simili sia nei parametri sia nelle possibilità di deroga, come si osserva nei casi di Malta, Italia, Romania e Spagna. L'adozione di carry forward delle eccedenze, l'introduzione di de minimis comuni (3 milioni di euro) e la possibilità di calcolare il rapporto a livello di gruppo non consolidato sono indici di una crescente armonizzazione normativa. Un altro trend rilevante è il rafforzamento dei presidi anti-abuso attraverso meccanismi di esclusione di specifici tipi di interessi, come quelli corrisposti a parti correlate residenti in paradisi fiscali o a soggetti privilegiati da regimi fiscali di favore. Si osserva infine che alcune economie come la Svizzera e la Nuova Zelanda preferiscono parametri più flessibili, tarando il rapporto debito/attivo sulla base del valore di mercato o delle liabilities globali, piuttosto che su parametri contabili rigidi, per meglio riflettere la reale posizione finanziaria delle imprese. Complessivamente, il quadro emerso dai dati evidenzia come la limitazione alla deducibilità degli interessi sia ormai uno strumento standard nella lotta internazionale contro l'erosione della base imponibile e il profit shifting, ma anche come esista una significativa varietà nelle modalità di applicazione, nelle soglie e nelle tecniche operative, riflettendo le diverse priorità politiche, fiscali ed economiche dei singoli paesi.

 

Fonte: OCSE

Link: https://data-explorer.oecd.org/




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