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SIGI 2023: un’analisi globale della disuguaglianza di genere nelle istituzioni sociali

 

La Social Institutions and Gender Index (SIGI), sviluppata dall’OECD Development Centre, rappresenta una misura composita che valuta i livelli di discriminazione subiti dalle donne all’interno delle istituzioni sociali. Lo scopo principale di questo indice è andare oltre l’analisi delle sole disuguaglianze legali, includendo anche quelle formali e informali, che derivano da norme sociali, culturali e consuetudinarie. Il punteggio assegnato a ciascun paese varia da 0 a 100: un valore pari a 0 indica l’assenza totale di discriminazioni, mentre 100 rappresenta il massimo grado di disuguaglianza istituzionalizzata.

La struttura del SIGI si basa su quattro dimensioni fondamentali. La prima è la discriminazione nella famiglia, che considera elementi come il matrimonio precoce, la poligamia e la divisione diseguale dei ruoli domestici. Segue l’integrità fisica limitata, dimensione che comprende la violenza domestica, le mutilazioni genitali femminili e le restrizioni alla libertà di movimento. La terza dimensione riguarda l’accesso a beni produttivi e finanziari, valutando l’eguaglianza nell’accesso alla proprietà, al lavoro e al credito. Infine, la quarta dimensione, quella delle libertà civili, misura il grado di partecipazione delle donne alla vita politica, sociale ed economica.

Nel 2023, il punteggio medio SIGI a livello globale si attesta a 29,2. Questo dato dimostra che la discriminazione strutturale nei confronti delle donne è ancora largamente presente e che i progressi fatti non sono stati sufficienti a garantire l’effettiva parità. Tra le dimensioni, quella con il punteggio più elevato è la discriminazione nella famiglia, che raggiunge 37,9 punti. Questo valore suggerisce che le norme patriarcali siano più radicate nella sfera privata e domestica, dove spesso leggi e controlli pubblici hanno minore incidenza. Seguono l’integrità fisica (27,2), l’accesso ai beni (27,0) e infine le libertà civili (26,5), tutte con punteggi che segnalano livelli ancora elevati di disuguaglianza.

L’Europa si distingue come la regione con i migliori risultati. Con un punteggio medio pari a 13,8, si conferma l’area geografica con il minor grado di discriminazione istituzionale. In tutte le dimensioni analizzate, i punteggi europei restano sensibilmente inferiori alla media globale. La discriminazione familiare, ad esempio, si attesta su 12,2 punti, l’integrità fisica su 17,8, l’accesso ai beni su 10,0 e le libertà civili su 14,6. Tali risultati riflettono politiche pubbliche coerenti e consolidate nel tempo, unite a un tessuto normativo favorevole alla promozione dell’uguaglianza. Tuttavia, non tutto il continente presenta lo stesso livello di avanzamento: nei paesi dell’Europa orientale, come la Bosnia-Erzegovina, la Bulgaria e la Macedonia del Nord, i punteggi risultano più alti, suggerendo che la transizione verso la piena parità sia ancora in corso e richieda interventi più mirati.

In netto contrasto con l’Europa, l’Africa registra il punteggio più alto tra le macroregioni, con una media SIGI pari a 39,8. Le criticità si concentrano soprattutto nella dimensione familiare, che raggiunge un allarmante 52,2. In molte aree del continente, norme patriarcali fortemente radicate continuano a legittimare pratiche come il matrimonio precoce e la poligamia. Anche le altre dimensioni presentano valori preoccupanti: l’integrità fisica raggiunge 29,4, l’accesso ai beni 39,6 e le libertà civili 32,6. In paesi come il Camerun, il Sudan e la Mauritania, la discriminazione familiare supera addirittura quota 80, configurando una delle situazioni più critiche a livello mondiale. Eppure, non mancano segnali incoraggianti. Stati come il Mozambico e il Rwanda registrano punteggi molto più bassi, dimostrando che con adeguate politiche pubbliche e volontà politica è possibile invertire la tendenza.

Anche l’Asia presenta un quadro complesso. Il punteggio medio SIGI della regione è di 37,2, molto vicino a quello africano, a conferma di una persistente discriminazione nei confronti delle donne. Le dimensioni più problematiche sono la discriminazione familiare (51,6), l’integrità fisica (33,4) e le libertà civili (36,5). Paesi come l’India, il Pakistan, l’Iran e l’Iraq registrano i punteggi più alti, rivelando un contesto in cui le donne affrontano gravi limitazioni nei diritti personali e pubblici. L’influenza delle norme religiose e tradizionali, unita a leggi poco efficaci, crea un ambiente ostile all’uguaglianza di genere. Tuttavia, l’Asia non è omogenea. Alcuni paesi, come la Mongolia, la Nuova Zelanda e la Cina Taipei, mostrano punteggi molto più contenuti, segnalando una maggiore apertura verso politiche inclusive. Il caso della Cina continentale è emblematico: se da un lato il paese limita fortemente le libertà politiche, dall’altro registra un punteggio molto basso nell’ambito dell’integrità fisica (8,1), grazie a interventi pubblici efficaci contro la violenza di genere. Tuttavia, l’accesso ai beni produttivi e finanziari resta un punto debole, con un punteggio elevato di 45,6.

L’America, con un punteggio SIGI medio di 20,9, si colloca in una posizione intermedia. Il continente americano è caratterizzato da una forte eterogeneità: mentre Stati Uniti e Canada presentano punteggi inferiori a 20, molti paesi dell’America Centrale e del Sud superano i 25 punti. Haiti, in particolare, raggiunge un preoccupante 46,4. Le principali criticità si osservano nella sfera dell’integrità fisica, dove il punteggio medio è di 25,8, e nell’accesso ai beni, con un valore di 22,4. Le libertà civili risultano leggermente meno problematiche (16,2), mentre la discriminazione familiare si attesta a 21,3. Paesi come il Cile e il Messico evidenziano criticità in dimensioni specifiche, in particolare per quanto riguarda la sicurezza delle donne. Al contrario, Costa Rica e Uruguay si distinguono per politiche più efficaci e per una maggiore equità di genere.

Tra i gruppi economici internazionali, il G7 e l’OCSE registrano i risultati più positivi, con punteggi medi rispettivamente di 16,2 e 15,3. Questi numeri riflettono contesti in cui le donne beneficiano di una maggiore protezione legale e di opportunità più ampie. Diversa è la situazione del G20, il cui punteggio medio è di 23,9. La presenza, al suo interno, di economie emergenti con forti disuguaglianze spiega questo divario. Il confronto tra G7 e G20 mette in evidenza come lo sviluppo economico non si traduca automaticamente in una riduzione della discriminazione di genere. Le norme patriarcali, infatti, continuano a esercitare una forte influenza anche in società in rapida crescita.

Un approfondimento sulle dimensioni specifiche consente di comprendere meglio le dinamiche globali. La discriminazione nella famiglia si conferma come l’ambito più critico, con un punteggio medio globale di 37,9. Le norme sociali e religiose che legittimano il controllo maschile sulle decisioni familiari, il matrimonio precoce e l’esclusione delle donne dalla gestione della vita domestica sono ancora profondamente radicate. L’integrità fisica, con un punteggio medio di 27,2, mette in luce l’esistenza di violenze sistemiche contro le donne, spesso non denunciate e non punite. In questo ambito, l’Europa occidentale si distingue per le sue politiche di prevenzione e contrasto, che hanno portato a punteggi inferiori a 10 in paesi come la Francia, la Germania e la Svezia.

Anche l’accesso ai beni produttivi e finanziari rivela disuguaglianze economiche profonde. Le donne, in molte parti del mondo, non hanno gli stessi diritti degli uomini nella gestione della proprietà, nell’ottenimento del credito o nell’accesso al lavoro. Questo è particolarmente evidente in Africa e in Asia, ma si osserva anche in paesi industrializzati, dove barriere informali e culturali continuano a ostacolare la piena partecipazione economica femminile. Le libertà civili, infine, con un punteggio medio di 26,5, mostrano che in molte società le donne non sono ancora completamente libere di esprimere le proprie opinioni, partecipare alla vita pubblica o accedere alle cariche politiche. Anche in Europa, dove la situazione è migliore, permangono fenomeni di sotto-rappresentanza femminile, specialmente nei ruoli di leadership.

L’analisi della SIGI 2023 conferma che la discriminazione di genere è ancora un problema sistemico e globale. Essa si manifesta in forme diverse, spesso sottili e difficili da sradicare, che spaziano dalle leggi ai comportamenti quotidiani, dalle istituzioni alle credenze culturali. La dimensione familiare appare come la più resistente al cambiamento, anche nei paesi più sviluppati. Inoltre, il progresso economico non garantisce automaticamente il superamento delle disuguaglianze: è necessaria una volontà politica esplicita, accompagnata da politiche pubbliche coerenti e inclusive.

L’Europa occidentale emerge come una delle regioni più avanzate, ma anche qui esistono aree grigie che richiedono attenzione. Le regioni più critiche, invece, sono quelle in cui le norme patriarcali sono legittimate dalla tradizione o dalla religione, rendendo particolarmente difficile ogni tentativo di riforma. In questi contesti, l’azione deve essere multilivello: è indispensabile lavorare sull’educazione, promuovere l’empowerment femminile, riformare il quadro normativo e sostenere la leadership delle donne.

Un ulteriore elemento cruciale riguarda la disponibilità dei dati. In molti paesi, l’assenza di statistiche disaggregate per genere impedisce una valutazione completa e limita l’efficacia delle politiche. Investire nella raccolta e nella trasparenza dei dati è quindi un passaggio imprescindibile per monitorare i progressi e garantire interventi mirati.

Infine, è importante sottolineare che la parità di genere non rappresenta soltanto un principio etico e giuridico, ma costituisce anche un fattore determinante per lo sviluppo sostenibile, la crescita economica e la coesione sociale. La SIGI 2023 ci offre una mappa preziosa per comprendere dove si trovano le principali criticità e ci invita a intervenire con decisione. Solo attraverso un impegno collettivo, articolato e continuo sarà possibile costruire un futuro più equo, in cui tutte le persone, indipendentemente dal genere, possano vivere libere da discriminazioni e con pari opportunità.

 

Fonte: OCSE

Link: www.oecd.org








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