L’aumento
del livello del mare, alimentato dal cambiamento climatico e dal riscaldamento
globale, costituisce una minaccia crescente per le popolazioni costiere di
tutto il mondo. In questo contesto, l’analisi dell’esposizione della
popolazione a eventi di inondazione costiera con un periodo di ritorno di 100
anni rivela differenze significative in termini di vulnerabilità tra le regioni
e i Paesi. I dati analizzati qui, espressi come percentuale della popolazione
regionale esposta, offrono una fotografia allarmante del rischio incombente per
milioni di persone. Tra tutte le aree analizzate, spicca Flevoland (Paesi
Bassi), dove il 100% della popolazione è esposto al rischio di inondazione
costiera. Segue da vicino Zeeland, sempre nei Paesi Bassi, con un’esposizione
del 99,4%. Altri esempi estremi includono Bremen in Germania (76,1%), Utrecht
(68,1%), e Nunavut in Canada (55,3%). Il caso dei Paesi Bassi è emblematico:
gran parte del territorio olandese si trova sotto il livello del mare, e
l’elevata densità di popolazione in aree costiere rende l’intero sistema
socio-economico vulnerabile. Tuttavia, i Paesi Bassi rappresentano anche un
modello avanzato di gestione del rischio idraulico, con infrastrutture come
dighe, barriere mobili e sistemi di pompaggio che hanno ridotto drasticamente
il rischio reale, pur lasciando invariata l’esposizione teorica. Anche la
regione canadese di Nunavut, benché scarsamente popolata, ha un’altissima esposizione.
Qui il rischio è particolarmente critico per le comunità indigene, che spesso
vivono in prossimità delle coste artiche e che dispongono di risorse limitate
per far fronte alle emergenze climatiche. Bremen e Hamburg in Germania
presentano anch’esse alti livelli di esposizione (rispettivamente 76,1% e
30,2%). In questi casi, le cause principali sono la densità urbana in
prossimità dell'estuario del fiume Elba e l’assenza di barriere naturali
efficaci. Åland, un arcipelago finlandese nel Mar Baltico, mostra
un’esposizione del 45,7%, segnale che anche regioni meno densamente abitate non
sono immuni al rischio climatico. In Norvegia, Northern Norway si distingue con
un’esposizione del 34,5%, evidenziando l’impatto del cambiamento climatico
sulle regioni artiche. Molte regioni mostrano livelli di esposizione moderati
ma significativi. È il caso di Zealand (Danimarca) con 14,7%, British Columbia
(Canada) con 7,0%, e Mecklenburg-Vorpommern (Germania) con 11,5%. Anche in
queste aree, sebbene la popolazione a rischio sia una minoranza, la
concentrazione urbana vicino alle coste aumenta il potenziale impatto economico
e sociale di un evento catastrofico. Giappone presenta una varietà di
situazioni: la regione di Hokuriku ha un’esposizione del 13,4%, Toukai del 13,6%,
mentre aree densamente popolate come Kansai e Chugoku hanno valori intorno al
6-7%. Nonostante l’elevato rischio, il Giappone ha implementato solide
politiche di adattamento, tra cui evacuazioni regolari, barriere costiere e
piani urbanistici. Nel Regno Unito, regioni come South East England (7,6%) e
East of England (10,0%) sono significativamente esposte. Anche se meno estreme
rispetto ai Paesi Bassi, queste aree includono grandi città costiere e sono
economicamente strategiche. Anche l’Islanda, con la sua Capital Region esposta
al 10,6%, mostra come la topografia insulare non offra sempre protezione
sufficiente, specialmente se combinata con lo scioglimento dei ghiacciai e le
mareggiate. Una vasta gamma di regioni nel mondo riporta esposizione teoricamente
bassa (0,1-1%). Tuttavia, ciò non significa assenza di rischio. Paesi come
Australia (New South Wales: 0.8%, Queensland: 1.9%), Francia
(Provence-Alpes-Côte d’Azur: 0.9%), Spagna, Italia e Portogallo mostrano valori
percentuali relativamente bassi. Tuttavia, la combinazione di crescita
demografica, urbanizzazione e aumento del livello del mare potrebbe cambiare
rapidamente questo quadro. In Stati Uniti, molte aree densamente popolate come
la California (1.7%) e Massachusetts (1.4%) hanno esposizioni moderate, ma il
potenziale danno economico è molto alto a causa del valore delle infrastrutture
costiere. Alcuni Stati come Florida e Texas mostrano valori paradossalmente
bassi, ma è importante ricordare che questi dati rappresentano stime
conservative e non includono proiezioni di peggioramento climatico.
Uno
dei punti più critici sollevati da questo dataset riguarda l’equità climatica.
Regioni come Nunavut, Åland, e molte isole nel Pacifico e nell’Artico hanno
un'esposizione altissima ma pochissimi mezzi per difendersi. Qui si scontrano i
principi della giustizia climatica: le popolazioni meno responsabili per le
emissioni di gas serra sono spesso le più esposte.
Inoltre,
Paesi come il Bangladesh o alcune isole caraibiche (non rappresentate nei dati
OECD) sono esempi tipici di popolazioni che vivono costantemente sull'orlo del
disastro. Anche se non compaiono in questa analisi, devono essere menzionati
come parte della riflessione globale.
Il
dataset fornisce un quadro essenziale per i pianificatori urbani, i governi e
le organizzazioni non governative. Le città costiere devono ripensare le
strategie di sviluppo, includendo infrastrutture resistenti al clima, zone di
protezione ambientale e strumenti di evacuazione efficaci.
In
regioni come il Benelux e il Nord Europa, dove la tecnologia consente la
costruzione di barriere e pompe, il focus è sulla manutenzione e
modernizzazione delle difese esistenti. In Paesi a medio reddito, la priorità è
garantire l'accesso a dati e strumenti previsionali. In Paesi in via di
sviluppo, invece, l'assistenza internazionale diventa fondamentale.
Questa analisi
evidenzia con forza quanto sia urgente intraprendere un'azione coordinata e
differenziata per contrastare il rischio crescente di inondazioni costiere. I
dati parlano chiaro: in alcune regioni del mondo, l'intera popolazione risiede
in aree ad alto rischio, mentre in altre, pur con percentuali esposte più
contenute, la presenza di infrastrutture strategiche o densamente popolate
rende comunque elevato l'impatto potenziale di eventi estremi.
Per affrontare
efficacemente questa sfida è indispensabile sviluppare una strategia globale
articolata su tre direttrici fondamentali. La prima è la mitigazione, che si
traduce in un impegno concreto nella riduzione delle emissioni climalteranti,
con l'obiettivo di rallentare l'innalzamento del livello del mare e limitare la
frequenza degli eventi estremi. La seconda direttrice è l’adattamento, inteso
come progettazione e implementazione di infrastrutture resilienti, nonché una
pianificazione urbana lungimirante e attenta alla geografia del rischio.
Infine, la terza componente imprescindibile è la solidarietà internazionale,
affinché le regioni economicamente più vulnerabili possano accedere alle
risorse, alle tecnologie e al supporto necessario per proteggere le proprie
popolazioni.
In definitiva,
il destino delle aree costiere sarà determinato dalla capacità co
llettiva di
prevenire i danni, adattarsi alle nuove condizioni ambientali e, nei casi più
estremi, affrontare anche la prospettiva di spostamenti forzati. Le mappe del
rischio climatico stanno cambiando rapidamente e l’urgenza dell’intervento non
può più essere rimandata: il tempo per agire è adesso.
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