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La strategia fiscale australiana nei trattati internazionali del 2024: un'analisi delle ritenute alla fonte

 

Nel contesto delle relazioni fiscali internazionali, i dati relativi ai tassi di ritenuta alla fonte sui dividendi, sugli interessi e sulle royalties applicati dall'Australia nel 2024 ai sensi dei trattati contro la doppia imposizione offrono un quadro estremamente interessante e rivelatore delle strategie adottate dal paese per favorire o regolare i flussi di capitale internazionali. Analizzando la rete di trattati stipulati con diverse controparti, si nota una forte eterogeneità nei livelli di imposizione, con aliquote che variano sensibilmente in base al partner commerciale, all'anno di stipula del trattato e alla categoria di reddito considerata. Per quanto concerne i dividendi, le aliquote oscillano tra un minimo dello 0% e un massimo del 20%, con una concentrazione significativa intorno ai valori del 5% e del 15%. Tra i partner che godono dell’esenzione totale dalla ritenuta alla fonte sui dividendi troviamo la Francia, l’Islanda, il Messico e la Malesia. L’azzeramento dell’aliquota rappresenta un forte incentivo agli investimenti diretti esteri da e verso questi paesi, suggerendo relazioni particolarmente strette o trattative bilaterali che hanno mirato a massimizzare la competitività fiscale. Diversamente, paesi come la Fiji, Kiribati e la Thailandia si vedono applicare tassi del 20%, il massimo registrato, evidenziando un approccio più restrittivo verso economie emergenti o meno strategiche per l'Australia, almeno dal punto di vista degli investimenti in equity. Per la maggior parte delle economie OCSE, il tasso sui dividendi si attesta stabilmente al 5% o al 15%. Stati come il Canada, la Repubblica Ceca, il Cile, la Finlandia, la Germania, Israele, il Giappone, la Nuova Zelanda, la Norvegia, la Svizzera, la Turchia, il Regno Unito e gli Stati Uniti beneficiano del tasso del 5%, molto vantaggioso e indicativo di una relazione economica stabile e consolidata. Al contrario, paesi come Austria, Belgio, Danimarca, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Slovacca, Spagna e Svezia rimangono al 15%, probabilmente riflesso di accordi più risalenti nel tempo o di equilibri negoziali meno favorevoli. Passando all'analisi degli interessi, si osserva una minore dispersione dei tassi rispetto ai dividendi. La maggior parte dei trattati prevede un’aliquota standardizzata al 10%, indicando un tentativo australiano di mantenere una soglia uniforme e prevedibile per i flussi di reddito passivo derivante da strumenti di debito. Tuttavia, emergono eccezioni significative: Corea, India, Malta, Malaysia e Thailandia applicano tassi più elevati, pari al 15% o addirittura al 25% nel caso della Thailandia. Questo indica una politica di protezione fiscale nei confronti di paesi percepiti come ad alto rischio fiscale o con economie caratterizzate da regimi più favorevoli ai flussi finanziari transfrontalieri non sempre in linea con gli standard di trasparenza richiesti. Si nota che l'Islanda rappresenta una rarità, non applicando alcuna ritenuta sugli interessi, probabilmente come esito di un trattato estremamente moderno e favorevole agli scambi bilaterali di capitali. Le royalties, infine, mostrano una struttura di aliquote che si avvicina molto a quella degli interessi, ma con qualche variazione. Anche qui si registra una tendenza generale al 10%, ma alcuni paesi come Finlandia, Francia, Germania, Israele, Giappone, Nuova Zelanda, Norvegia, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti godono di tassi agevolati al 5%. Al contrario, numerosi paesi emergenti e non-OCSE sono soggetti a tassi del 15%, con la Thailandia ancora una volta al vertice delle aliquote più elevate, confermando la prudenza fiscale dell’Australia nei confronti di determinate giurisdizioni. L’analisi temporale dei trattati mostra che gli accordi più recenti tendono ad offrire condizioni più favorevoli agli investitori: ne sono esempio il trattato con l'Islanda (2022) che elimina completamente le ritenute su dividendi e interessi e riduce quelle sulle royalties al 10%, e quello con la Germania (2016) che abbassa in maniera consistente le aliquote sulle tre categorie di reddito. Al contrario, i trattati più datati, come quello con i Paesi Bassi del 1976 o con il Belgio del 1979, conservano aliquote più alte, sintomo di una minore flessibilità contrattuale all'epoca della loro stipula o di una mancata revisione successiva. In particolare, il caso della Malaysia è curioso: nonostante l’accordo sia relativamente datato (1981), esso prevede un’aliquota dello 0% sui dividendi, un’eccezione che può essere spiegata con specificità storiche o economiche di quel periodo. Quando si osservano i trattati stipulati con economie non-OCSE, si evidenzia una generale tendenza ad applicare aliquote più elevate rispetto a quelle riservate agli stati membri dell'OCSE. Le ritenute su dividendi e royalties tendono a essere superiori al 10%, come si verifica per esempio con Argentina, Cina, Fiji, India, Indonesia, Kiribati, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam. Solo pochi paesi non-OCSE come il Sudafrica e la Russia riescono ad ottenere condizioni più favorevoli, riflettendo la loro crescente importanza economica o un impegno nella promozione di standard fiscali più trasparenti. La struttura complessiva dei tassi indica una chiara strategia australiana: da un lato agevolare gli investimenti bilaterali con economie avanzate e stabili, dall’altro mantenere una certa cautela verso giurisdizioni percepite come più rischiose o caratterizzate da minori garanzie di compliance fiscale. Tale approccio appare coerente con le politiche internazionali di contrasto all’erosione della base imponibile e al trasferimento degli utili (BEPS) promosse dall’OCSE e riflette un tentativo di bilanciare l’attrazione degli investimenti stranieri con la tutela del gettito fiscale nazionale. In particolare, il fatto che su 29 accordi con controparti OCSE solo 6 prevedano aliquote sui dividendi inferiori al 15% testimonia che l'Australia, pur adottando politiche di apertura, mantiene comunque una certa attenzione alla protezione della propria base imponibile. La presenza di una maggioranza di trattati con aliquote al 10% sugli interessi e sulle royalties indica inoltre che il reddito derivante da capitale non produttivo viene trattato in modo relativamente uniforme, senza concedere vantaggi eccessivi a categorie di reddito meno legate a investimenti produttivi di lungo termine. L’approccio differenziato tra OCSE e non-OCSE si manifesta non solo nelle aliquote più elevate applicate ai paesi emergenti, ma anche nella maggiore variabilità dei trattati con questi ultimi, segno della complessità negoziale e delle differenti priorità di politica estera e commerciale perseguite dall’Australia nel corso degli anni. Un altro aspetto interessante riguarda il diverso trattamento delle tre categorie di reddito: mentre i dividendi sembrano essere l’oggetto principale di agevolazioni fiscali, gli interessi e soprattutto le royalties vengono tutelati con maggiore cautela, probabilmente in virtù della natura di tali flussi, che si prestano più facilmente a fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva e spostamento artificiale dei profitti. I dati dimostrano come, anche nei casi di trattati particolarmente favorevoli, raramente l’Australia concede agevolazioni simultanee su tutte e tre le categorie di reddito, preferendo una gestione selettiva dei vantaggi fiscali a seconda delle caratteristiche del partner e del tipo di reddito prodotto. In sintesi, l’analisi dei tassi di ritenuta alla fonte sui redditi di fonte australiana derivanti da dividendi, interessi e royalties nel 2024 offre uno spaccato chiaro e dettagliato della politica fiscale internazionale dell’Australia. Essa si fonda su principi di prudenza, selettività e promozione degli investimenti produttivi, con una netta preferenza per i rapporti con economie stabili e sviluppate e una gestione più rigorosa dei flussi provenienti da paesi emergenti o a fiscalità meno trasparente. L’evoluzione temporale dei trattati suggerisce inoltre una progressiva apertura verso condizioni più favorevoli, in linea con le tendenze globali di riduzione delle barriere fiscali agli investimenti internazionali, pur mantenendo un costante impegno nella salvaguardia dell’integrità del sistema fiscale nazionale.

Fonte: OCSE

LINK:  https://data-explorer.oecd.org/




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