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Il peso delle politiche pubbliche nella riduzione delle vittime stradali: una prospettiva internazionale


 

 

I dati raccolti dal 2019 al 2023 sui Transport Safety Indicators forniscono una fotografia complessiva molto interessante e allo stesso tempo complessa sull'evoluzione della sicurezza stradale a livello globale. Analizzando i tassi di mortalità per 100.000 abitanti, per miliardo di veicolo-chilometri percorsi e per 10.000 veicoli circolanti, emergono tendenze che riflettono non solo l'efficacia delle politiche di sicurezza stradale, ma anche le dinamiche economiche, sociali e infrastrutturali di ogni singolo paese. Nel contesto delle fatalità per 100.000 abitanti, l'Europa occidentale si distingue come una delle aree più sicure al mondo. Paesi come Germania, Svezia, Svizzera, Norvegia e Paesi Bassi presentano valori compresi tra i 2 e i 4 decessi per 100.000 abitanti, dimostrando una continuità nei progressi fatti negli ultimi decenni attraverso politiche molto rigorose su educazione stradale, controlli, limiti di velocità, tecnologie di sicurezza sui veicoli e miglioramento infrastrutturale. In particolare, la Germania, partendo da 3,7 nel 2019, riesce a mantenere una tendenza stabile, scendendo a 3,4 nel 2023. La Svezia, che già nel 1997 ha introdotto il concetto di Vision Zero, continua ad attestarsi su valori bassissimi intorno ai 2 decessi ogni 100.000 abitanti, confermandosi come modello globale di sicurezza stradale.

Al contrario, negli Stati Uniti si registra un andamento preoccupante. Dal 2019, quando il valore era di 11,1, si assiste a un progressivo peggioramento con un picco di 12,9 nel 2021 e un leggero calo nel 2023 a 12,2. Questo andamento negativo può essere attribuito a numerosi fattori come l'aumento della velocità media sulle strade, l'uso di veicoli più grandi e pesanti come SUV, la crescente distrazione alla guida causata dall'uso di smartphone e dispositivi elettronici, nonché una gestione frammentata delle norme di sicurezza tra i vari stati federali. La pandemia COVID-19 ha avuto un effetto misto: se da un lato la riduzione del traffico nel 2020 ha portato a un calo del numero assoluto di incidenti mortali in molte aree, dall’altro la diminuzione del traffico ha anche incentivato comportamenti di guida più rischiosi, come il superamento dei limiti di velocità e il minore utilizzo delle cinture di sicurezza.

Guardando al tasso di fatalità per miliardo di veicolo-chilometri percorsi, il quadro si fa ancora più preciso nell’identificare i livelli di rischio reale sulla strada. Ancora una volta i paesi nordici, come Norvegia, Finlandia e Svezia, si dimostrano tra i migliori, con valori costantemente al di sotto dei 5 decessi per miliardo di chilometri percorsi. In Norvegia, ad esempio, si passa da 2,3 nel 2019 a 2,4 nel 2023, mantenendo un eccellente standard nonostante le sfide del traffico invernale. Anche qui gli Stati Uniti fanno eccezione in negativo, con un valore che passa da 6,9 nel 2019 a 7,8 nel 2023, nonostante il traffico sia diminuito durante alcuni periodi della pandemia. In Europa orientale si osserva invece una grande varietà di situazioni: la Polonia ha migliorato il proprio tasso riducendolo da 11,7 a 7,4, segnale di investimenti positivi, mentre in paesi come Romania e Bulgaria, pur con riduzioni significative, i livelli rimangono comunque troppo alti.

Passando ai dati delle fatalità rapportate al numero di veicoli in circolazione (per 10.000 veicoli), emergono ancora una volta differenze molto marcate. I paesi con un elevato livello di motorizzazione come Germania, Francia e Regno Unito riescono a mantenere tassi di fatalità molto bassi, grazie probabilmente alla combinazione di strade di buona qualità, severi controlli sulle condizioni dei veicoli e forti campagne di sensibilizzazione. L’Italia presenta dati stabili attorno allo 0,5, posizionandosi nella media europea ma ancora lontana dagli standard dei paesi migliori. La situazione è più difficile nei paesi balcanici e nell’ex Unione Sovietica, dove la qualità delle infrastrutture e dei veicoli rimane inferiore, e il rispetto delle regole di sicurezza è più problematico.

Se allarghiamo l’osservazione ai paesi non OCSE, emerge che in America Latina, il Cile e il Messico mostrano andamenti contrastanti. Il Cile mantiene valori elevati sia per popolazione che per veicoli, mentre il Messico migliora molto nel periodo considerato, grazie a un programma di riforma delle infrastrutture e a una forte azione governativa. In Asia, il Giappone continua ad essere tra i paesi con i migliori risultati nonostante l’altissima densità urbana e il traffico complesso, mentre Corea mostra un lento miglioramento partendo però da valori molto più elevati. La Cina, pur avendo un numero enorme di veicoli e chilometri percorsi, dimostra una gestione abbastanza efficace dell'espansione della mobilità grazie a ingenti investimenti pubblici nella sicurezza.

Particolarmente preoccupante è la situazione nei paesi dell’ex Unione Sovietica e in quelli balcanici. Kazakhstan, Armenia, Georgia e Moldova presentano dati molto alti in termini di morti per abitante, per chilometro percorso e per veicolo. Si tratta di paesi in cui, oltre alla mancanza di infrastrutture moderne, pesa la scarsa applicazione delle normative stradali e il limitato accesso a veicoli moderni dotati di sistemi di sicurezza attiva e passiva. Il dato della Moldova, ad esempio, mostra tassi di fatalità estremamente elevati rapportati ai veicoli in circolazione.

Il periodo 2020-2021, influenzato dalla pandemia, introduce anomalie che vanno interpretate con attenzione. Sebbene in generale vi sia stato un calo del traffico, e quindi anche delle collisioni, il numero di morti per chilometro percorso è aumentato in diversi paesi, segnalando un deterioramento del comportamento degli utenti della strada. Gli Stati Uniti ne sono l’esempio più evidente. In Europa, invece, l’effetto della pandemia ha visto una riduzione sia degli incidenti che delle fatalità grazie anche a lockdown più severi e prolungati.

Sul piano tecnico e infrastrutturale, emerge con forza come gli investimenti nella manutenzione delle strade, la costruzione di autostrade sicure e separate dal traffico urbano, e l’adozione di tecnologie di monitoraggio elettronico abbiano un impatto diretto sui risultati di sicurezza. La presenza di autovelox fissi, di sistemi automatici di rilevamento delle infrazioni, l’uso di barriere di sicurezza migliorate e l’introduzione di rotatorie invece degli incroci tradizionali sono tutte misure che hanno dimostrato di ridurre in modo sensibile la mortalità.

Le innovazioni tecnologiche nei veicoli stessi hanno contribuito al miglioramento generale. Il diffondersi di sistemi come l'ABS, l'ESP, la frenata automatica d'emergenza, il mantenimento della corsia e il rilevamento di ostacoli ha sicuramente ridotto il numero di incidenti mortali nei paesi ad alto tasso di penetrazione di auto moderne. Tuttavia, in molte regioni, specialmente nell'Est Europa, in Asia centrale e in Africa, il parco veicolare resta vecchio e poco sicuro, vanificando in parte i benefici che la tecnologia moderna potrebbe apportare.

Sul fronte legislativo si osserva una marcata correlazione tra severità delle norme e riduzione delle vittime. I paesi che hanno introdotto tolleranza zero su alcol, limiti di velocità rigorosi e l’obbligatorietà delle cinture anche sui sedili posteriori hanno registrato miglioramenti più rapidi e consistenti. Anche l'educazione stradale nelle scuole si dimostra una misura di medio-lungo termine particolarmente efficace, come dimostrato dai paesi nordici.

Guardando al futuro, emergono nuove sfide. L’aumento della micromobilità, con monopattini elettrici e biciclette a pedalata assistita, introduce nuove dinamiche di rischio nelle aree urbane. I dati preliminari suggeriscono che se da un lato questi mezzi riducono il traffico automobilistico, dall’altro aumentano l'esposizione dei soggetti vulnerabili ad incidenti gravi. Altro tema rilevante è l’invecchiamento della popolazione: la crescente percentuale di conducenti anziani comporta un aumento del rischio di incidenti legati alla diminuita reattività e alla minore capacità visiva.

Infine, l'avvento della guida autonoma e semi-autonoma porrà nuove questioni sia normative che etiche. Se da un lato i veicoli autonomi promettono di ridurre drasticamente il numero degli incidenti causati da errore umano, dall’altro la loro introduzione su scala ampia richiederà profondi cambiamenti infrastrutturali, normativi e culturali.

In sintesi, i dati sui Transport Safety Indicators dal 2019 al 2023 mostrano una tendenza generale al miglioramento, ma anche una forte disuguaglianza tra aree geografiche e livelli di sviluppo. Dove le politiche pubbliche, l’innovazione tecnologica e l’educazione civica si sono integrate efficacemente, i risultati sono stati tangibili e positivi. Dove invece permangono carenze infrastrutturali, veicoli obsoleti e legislazioni deboli, la sicurezza stradale rimane una sfida aperta. Per il futuro, il progresso dipenderà sempre di più dalla capacità di adottare approcci integrati, innovativi e fortemente focalizzati sulla prevenzione.

 

Fonte: OCSE

LINK: https://data-explorer.oecd.org/







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